Stretta su pirateria tv e pezzotto, non solo multe: cosa rischia chi non denuncia

Con due emendamenti al decreto Omnibus il governo insiste sulla sua linea, dopo il “piracy shield”

Tolleranza zero: questa è la linea del governo in merito alla pirateria televisiva. All’interno del Decreto Omnibus, passato ieri in commissioni Bilancio e Finanze del Senato, sono stati approvati due emendamenti anti-pezzotto» firmati da Fratelli d’Italia e Forza Italia. Tra questi, il più discusso prevede il carcere fino a un anno per chi fruisce di servizi illegali o ne è a conoscenza ma non li denuncia. Oggi pomeriggio, lunedì 30 settembre, la questione sarà posta in Aula per poi passare in seconda lettura alla Camera.


Il primo emendamento

L’Agcom, autorità per le garanzie nelle comunicazioni, avrà potere di estendere i suoi provvedimenti urgenti e cautelari anche ai «fornitori di servizi di Vpn e quelli di Dns pubblicamente disponibili (come Google, ndr) ovunque residente e ovunque localizzati». Ricadrà quindi anche sulle spalle degli intermediari di rete la responsabilità di bloccare l’accesso ai contenuti sportivi diffusi abusivamente in violazione del diritto d’autore e della legge anti-pirateria 93 del 2023. Il limite temporale entro cui dovranno interrompere l’accessibilità al servizio rimane invariata: mezz’ora «dalla notificazione del provvedimento di disabilitazione».


Non verrà però solo sanzionato chi gestisce il traffico illecito, ma anche chi non denuncia tempestivamente pur essendo a conoscenza «che siano in corso, siano state compiute o tentate condotte penalmente rilevanti». A questi sarà contestata l’omissione di segnalazione e comunicazione, per la quale è prevista una pena fino a un anno di carcere. D’altra parte, però, l’Agcom dovrà rendere nuovamente accessibili gli indirizzi Ip bloccati da almeno sei mesi e che non risultano più utilizzati per finalità illecite.

La responsabilità dei prestatori

Il secondo emendamento, il 6.0.36, agisce modificando proprio la legge anti-pirateria. In particolare si concentra sui «prestatori di servizi di accesso alla rete, i soggetti gestori di motori di ricerca e i fornitori di servizi della società dell’informazione, inclusi i fornitori e gli intermediari di Vpn, gli operatori di content delivery network, i fornitori di servizi di sicurezza internet e di DNS distribuiti, che si pongono tra i visitatori di un sito, e gli hosting provider che agiscono come reverse proxy server per siti web». Un lungo elenco di tecnicismi per individuare quelle figure sul web che permettono all’utente di accedere a un servizio fungendo da porte di ingresso alla Rete. In quelli che sfruttano il metodo reverse proxy l’utente non fa richiesta diretta di contenuti a un server principale ma li inoltra a un intermediario laterale, che glieli restituisce.

Pure queste figure del mondo web, quando ne sono a conoscenza, dovranno denunciare immediatamente all’autorità competente «tali circostanze, fornendo tutte le informazioni disponibili». Nel caso di omissione di segnalazione, anche i prestatori di servizio sono punibili con il carcere. E varrà anche per coloro che non hanno una sede fisica in Europa: se il servizio è raggiungibile dal territorio italiano, il prestatore deve designare una persona fisica o giuridica che la rappresenti legalmente. Due emendamenti che vanno a rinforzare il protocollo firmato dieci giorni fa proprio dall’Agcom, con Guardia di Finanza e procura della Repubblica di Roma. Secondo questo nuovo regolamento, sarà possibile accedere alle identità di chi usufruisce dei servizi streaming illegali, che potranno essere colpiti con sanzioni da 150 fino a 5mila euro.

I dubbi sulla stretta

La “tolleranza zero” non è però ben vista da Assotelecomunicazioni, in particolare per l’inclusione tra i responsabili degli operatori e degli intermediari. «Hanno contribuito in modo essenziale alla riuscita di piracy shield», ha messo in guardia Asstel. «Riteniamo che l’approccio collaborativo attuato fino a oggi non debba essere ostacolato dall’attribuzione agli Operatori di responsabilità di natura penale, che non sono coerenti con la natura di fornitori di servizi di accesso alla rete e con i principi generali dell’ordinamento delle comunicazioni stabiliti a livello comunitario».

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