Valeria Marini e la truffa alla madre con l’investimento in bitcoin: «Ha perso 350 mila euro»

L’attrice racconta la truffa di un produttore in tribunale

La madre di Valeria Marini Gianna Orrù ha perso oltre 350 mila euro in un investimento in bitcoin. A proporglielo è stato il produttore cinematografico Giuseppe Milazzo Andreani tra il 2018 e il 2019. Ora lui è a processo con l’accusa di truffa. E ieri davanti al giudice monocratico di Roma ha sfilato per testimoniare proprio la figlia: «Questa persona ha distrutto mia madre, che essendo una donna d’onore si vergognava di essere stata raggirata al punto di rifiutarsi persino di aprirmi la porta di casa», ha raccontato la showgirl. Milazzo, racconta oggi Il Messaggero, voleva girare con lei un cortometraggio: L’Ultimo applauso.


Il film e i bitcoin

«Sosteneva che avrei potuto interpretare una parte e che per il progetto avrebbe utilizzato i fondi Imaie (l’istituto mutualistico per la tutela degli artisti ndr). Si era presentato sostenendo che aveva girato il video del mio matrimonio (con l’imprenditore Giovanni Cottone, ndr), ma io non mi ricordavo di lui», ha detto Marini. «Così ci siamo incontrati nel mio ufficio e ha presentato la domanda a nome mio, percependo 15 o 20mila euro», ha aggiunto. «Mia madre, dopo aver visionato il corto, lo aveva contattato perché sosteneva che non fosse venuto bene e aveva chiesto alcune modifiche in fase di montaggio. Dopodiché, si è sempre occupata lei della faccenda perché io ero impegnata in altre trasmissioni. Con lei, Milazzo ha sempre avuto un atteggiamento ossequioso e la contattava spesso per cercare di stringere un rapporto di lavoro, ma non si è mai presentato come intermediario finanziario».


L’investimento

Poi è arrivato l’investimento. Marini non ne sapeva nulla finché la somma non ha raggiunto i 200 mila euro: «All’inizio non sapevo cosa avesse, ma la vedevo sempre giù di morale e infatti ho subito pensato che avesse qualche problema di salute. Poi mi ha raccontato, ma nutriva la speranza che il suo denaro le fosse restituito soprattutto per una questione d’onore». A quel punto l’ha aiutata: «Le ho dato casa mia perché non poteva nemmeno pagare l’affitto». E ha ingaggiato un investigatore privato. Perché Milazzo sosteneva di essere stato truffato da un certo Andrea Inturri, trader finanziario che lo aveva convinto a investire in bitcoin.

Il truffatore del truffatore

Ma Inturri in realtà non esisteva. «Era un trucco per apparire agli occhi di mia madre come una persona a sua volta truffata», dice Marini. Anche Aurora Messina, l’attrice co-protagonista del corto, era stata contattata proprio dal produttore per prendere parte al progetto, a fronte di un versamento di 20mila euro. Messina non aveva mai denunciato «per vergogna».

Nel gennaio dell’anno scorso il gip Angelo Giannetti ha archiviato il procedimento avviato dalle querele sporte dalle due donne perché, si legge, «non è certa la circostanza che la mancata distribuzione del cortometraggio sia dipesa dal dolo iniziale dell’indagato. Né che le somme di denaro corrisposte dalle querelanti non siano state effettivamente impiegate da Milazzo Andreani per la produzione dell’opera, sebbene in termini rivelatisi poi improduttivi».

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