Renato Zero: «Sto scrivendo un film, poi farò il regista. Gli insulti omofobi? Erano incitamenti…»
Renato Zero era sul palco nel giorno del suo compleanno al Forum di Assago. E i fan gli hanno fatto gli auguri con i cori. «Canto tre ore abbondanti, non come alcuni che fanno un paio di canzoni e via… Magari guadagnerei di più, e sicuramente mi stancherei di meno, facendo tre stadi, ma arrivando dal teatro mi piace l’idea del cartellone pieno», dice oggi al Corriere. Ribadendo che continua a scrivere: «Sempre. Adesso sto scrivendo un film, di cui sarò anche regista. Non sarà una pellicola autobiografica, ma non posso anticipare di più».
Il ritiro
E non considera l’idea di ritirarsi: «Sarebbe frustrante, un bavaglio che ti mette seduto e in silenzio definitivamente. L’astrazione da questo mondo sarebbe pensabile se non avessi più nulla da dire. Ho visto artisti come Léo Ferré, Charles Aznavour, Nina Simone, Paul Anka calcare le scene col fiato corto, ma ho capito che si può rinunciare a un certo tipo di atteggiamento se si ha una coscienza generosa». Dice che con la sua musica in questi anni ha descritto «come Zappa, Dylan o Cohen, movimenti e modificazioni della società. Ho messo a fuoco il tragitto esistenziale di Renato Zero ma anche quello degli italiani». E spiega: «Al Sud la mia presenza negli anni è stata carente perché non ci sono strutture. La musica e l’intrattenimento sembrano dare fastidio al processo evolutivo. Non c’è una censura scritta, ma silenziosamente c’è questo filtro, una volontà istituzionale di mantenere il Paese all’oscuro della cultura».
Zerolandia
Renato Zero spiega che è stato anche silenziato: «Nel 1979 misero i sigilli al tendone di Zerolandia: un abuso autoritario. Nel 1981, a una manifestazione al Castello Sforzesco di Milano cui partecipavo con altri artisti, morì una ragazza che aveva il torto di trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e di essere mia fan. Il giorno dopo i titoli erano “Renato Zero canta. Tiziana Canesi muore”. La mia carriera sarebbe potuta precipitare. Che rabbia… Per fortuna avevo seminato bene. Mi spiace che il sindaco di allora non perse la poltrona: avrebbe capito la gravità dell’accusa. E ancora i tre sindaci di Roma che in 14 anni non sono riusciti farmi realizzare Fonopoli, un centro per lo spettacolo».
Gli insulti omofobi
Oggi sul palco va in total black: «A 74 anni l’opportunità di uno sfogo giovanile non è più attraverso costumi e trucchi, ma con la fame di libertà e di indipendenza. E la libertà oggi non è più così automatica». E sui ragazzi manganellati in piazza: «Un certo potere usa la forza pubblica non come deterrente, ma come spauracchio. Il popolo è sovrano, ma se alla sovranità togli l’azione diventa un cartone animato. E lo dico da figlio di un poliziotto. Ci vorrebbe un governo con un’identità reale e non fittizia». Infine, sugli insulti omofobi: «Quelli degli esordi erano incitamenti: se superi quella volgare certificazione farai strada. Allora mi fermavo a parlare con questi ragazzi di borgata. Capivano che volevamo la stessa libertà e alla fine mi dicevano “ecco il nostro numero di telefono, se qualcuno te dà fastidio chiamace”».