In Evidenza IsraeleTrasporti pubbliciFedez
ATTUALITÀImmigrazioneItaliaLampedusaMar MediterraneoNaufragiSicilia

In dieci anni 30mila migranti hanno perso la vita nel Mediterraneo. Oltre la metà delle vittime non è mai stata identificata

03 Ottobre 2024 - 08:26 Alessandra Mancini
30mila morti nel Mediterraneo dal 2014
30mila morti nel Mediterraneo dal 2014
Secondo i dati della Fondazione Ismu, nel 2024 già registrati 1.452 tra morti e dispersi. L'appello del Comitato 3 ottobre: «Diamo un nome alle vittime dei naufragi»

Sono passati 11 anni dalla tragedia avvenuta al largo di Lampedusa che costò la vita a 368 persone migranti. La maggior parte di loro erano fuggite dall’Eritrea, stipati su un barcone fatiscente di 20 metri salpato dalla Libia. Da allora il 3 ottobre è diventata una data “simbolica” per commemorare le vittime e per ricordare le migliaia di persone che ogni anno muoiono nel Mediterraneo. Negli ultimi dieci anni 30mila persone hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere via mare l’Italia per fuggire da guerre, persecuzioni, miseria, crisi umanitarie. Stando ai dati della Fondazione Ismu, 1.452 sono i morti e i dispersi nel 2024. Mentre un anno fa 3.155 persone hanno perso la vita nel Mare Nostrum, il quarto valore più alto dal 2014. Le politiche (restrittive) europee e nazionali in materia di immigrazione, la costruzione di muri alle porte della Fortezza Europa, gli accordi con Paesi terzi per bloccare le partenze e l’assenza di canali legali e sicuri, hanno costretto migliaia di persone a prendere parte a viaggi migratori sempre diversi e, soprattutto, più pericolosi. Sia via terra, che via mare.

Le nove peggiori tragedie per numero di morti e dispersi hanno riguardato proprio il Mediterraneo centrale. In particolare, la tratta che porta all’Italia. Il naufragio più grave del 2024 è avvenuto lo scorso 17 giugno nelle acque italiane del Mar Ionio, vicino alla Calabria, con 66 tra morti e dispersi, tra cui ben 27 minorenni, in assoluto il secondo valore più alto di sempre di minori fra tutte le tragedie del mare. Potrebbero essere oltre 6mila i minorenni morti o dispersi, più del quintuplo di quelli effettivamente registrati. Secondo i dati del progetto Missing Migrants – IOM, infatti, nel decennio fra il 2014 e il 2023 sarebbero almeno 1.214 i minorenni morti o dispersi nel Mediterraneo, con una incidenza sul totale delle vittime che è passata da meno dell’1% nel 2014 a più del 5% sia l’anno scorso, che quest’anno. Si tratta, però, di dati parziali poiché non sempre – o addirittura raramente – viene riportata l’effettiva età.

Dare un’identità e una dignità alle vittime

Ciò che è certo è che oltre la metà di coloro la cui morte in mare è stata in qualche modo documentata, sono rimasti ignoti (report A decade of documenting migrant deaths di OIM). Anche nel caso di recupero dei corpi senza vita, non sempre questi vengono identificati. Eppure, la restituzione dell’identità e della dignità ha effetti di portata enorme non solo sul benessere psicologico e la rielaborazione del trauma da parte dei famigliari, ma anche ripercussioni dal punto di vista amministrativo. Senza i certificati di morte non è, ad esempio, possibile dare inizio all’iter burocratico per effettuare il ricongiungimento di un minore rimasto orfano con il parente in vita attualmente in un altro Paese.

E dare un nome a tutte le vittime del Mediterraneo rappresenta una grande sfida per l’Europa. Stando a quanto riporta il report del “Comitato 3 ottobre”, organizzazione no-profit istituita all’indomani della tragedia al largo delle acque siciliane, a livello internazionale, europeo o nazionale, non esiste una Convenzione o una legge specifica che tuteli i diritti non solo della vittima ma anche dei famigliri attraverso una procedura di identificazione, tramite il Dna o altri sistemi, e pertanto di attribuzione di un nome, un volto, una storia alla persona. Ciò significa che la procedura di identificazione potrebbe trovare fondamento attraverso l’applicazione di principi previsti a livello generale o in altri ambiti diversi dai naufragi, a tutela sia del defunto che dei parenti. La Ong chiede da tempo all’Ue e agli Stati membri di agire al fine di istituire o implementare un database in ogni Stato europeo dove raccogliere tutte le informazioni su cadaveri senza nome e migranti scomparsi. E un hub dove i famigliari possano essere intervistati e i dati ante mortem catalogati.

Come funziona in Italia?

In Italia esistono alcuni strumenti, anche giuridici, e procedure volte ad identificare alle vittime di naufragi nel Mediterraneo. Ciò è reso possibile anche grazie alla collaborazione tra istituzioni, università, enti di ricerca e organizzazioni umanitarie. Nel 2007 è stato istituito l’Ufficio del Commissario straordinario del governo per le persone scomparse (non solo in circostanze che riguardano l’immigrazione) e sono stati sottoscritti alcuni protocolli d’intesa, nel 2014 (Lampedusa) e nel 2016 (Catania-Melilli), che hanno dato avvio a studi pilota e conseguenti progetti per l’identificazione delle persone annegate al largo della coste italiane.

La prima analisi è partita proprio dopo i naufragi del 3 e dell’11 ottobre 2013 alle porte di Lampedusa. A settembre del 2014 il commissario straordinario del governo e il capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno hanno sottoscritto con l’Università degli Studi di Milano e il laboratori Lebanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), un protocollo d’intesa volto a favorire l’identificazione delle salme senza identità recuperati a seguito dei naufragi. Tale intesa riconosce, si legge, che «l’identificazione delle salme risponde alle legittime aspettative dei familiari, quali pervengono all’Ufficio del Commissario anche per il tramite delle Autorità diplomatiche dai Paesi del nord e centro Africa, assumendo rilievo sia sotto il profilo etico che giuridico». L’obiettivo: dare un’identità e una dignità ai tanti corpi senza vita annegati nel Mediterraneo. Dare un nome alle vittime, anche per la memoria di chi resta.

Foto copertina: ANSA/ELENA ELEFANTE RESQSHIP | Il veliero ong Nadir ha soccorso un gommone di 10 metri con a bordo 47 persone al largo di Lampedusa

leggi anche