Iran, Khamenei guida la preghiera dopo 5 anni: «7 ottobre legittimo. Se necessario, colpiremo ancora Israele»
Formare una «cintura di difesa» comune contro il nemico israeliano: questo il richiamo dell’ayatollah Alì Khamenei rivolto ai paesi musulmani. Cinque anni dopo il suo ultimo discorso pubblico, il Supremo leader iraniano è comparso nuovamente stamattina, 4 ottobre, in occasione del sermone del venerdì. Un’occasione, per le migliaia di persone presenti dentro e fuori la moschea Imam Khomeini Grand Mosalla a Teheran, di commemorare Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah ucciso in un raid israeliano su Beirut lo scorso venerdì.
Il 7 ottobre «attacco legittimo»
Il significato del discorso era già chiaro dalla scenografia: accanto al “trono” di Khamenei un ritratto del defunto Nasrallah e un fucile. Di fronte a lui una enorme folla, che dalle prime ore della mattina – in attesa del suo leader – ha ascoltato oratori e imam definire «martirio» la morte del capo di Hezbollah. È la prima volta che Khamenei guida la preghiera dal gennaio 2020, dopo l’uccisione americana del comandante delle Guardie della Rivoluzione Qasem Soleimani. «Ogni singolo Paese ha il diritto ultimo di difendersi dalla tirannia», esordisce l’ayatollah. Un diritto che avrebbe esercitato l’Iran con l’attacco missilistico «legale e legittimo» di martedì. Ma anche Hamas con il massacro del 7 ottobre, «atto legittimo» anche questo.
«Il popolo palestinese ha il diritto di opporsi a quei criminali, alle forze di occupazione. Non c’è un solo tribunale o organizzazione internazionale che possa biasimare il popolo palestinese per aver semplicemente difeso la propria patria», continua Khamenei. Che poi ritorna a paragonare l’azione di Hamas con la pioggia di missili balistici che l’Iran ha lanciato verso Israele: «Il brillante attacco è stata la minima punizione per i crimini senza precedenti del regime lupesco e assetato di sangue, che agisce come cane rabbioso degli Stati Uniti nella regione».
L’alleanza e la fine della «pazienza strategica»
La strada per il futuro è già segnata. Viene ripetuto più volte il richiamo a una «cintura contro il nemico» che accomuni tutti gli stati musulmani, un’asse della Resistenza. Perché Israele «semina divisione tra fratelli», e per questo è nemico «dei palestinesi, dei libanesi, degli egiziani e degli iracheni, del popolo yemenita e siriano». Un parallelo di quella «mappa della maledizione» che il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva mostrato nel suo discorso all’ultima Assemblea generale dell’Onu. Poi la minaccia diretta a Tel Aviv: «Il regime (Israele, ndr) non durerà a lungo. L’Iran continuerà ad adempiere al suo dovere né con fretta né con ritardo. I nostri responsabili politici e militari agiranno con logica e saggezza. Se necessario, in futuro, colpiremo di nuovo il regime israeliano fino all’eliminazione della vergognosa esistenza dei sionisti». Con l’obiettivo di ridurre lo Stato ebraico a una semplice porta commerciale per l’esportazione dell’energia dal Medio Oriente all’Europa.
«La pazienza strategica è finita», ha chiosato Khamenei annunciando il definitivo cambio di rotta nei rapporti internazionali. L’abbandono, quindi, della dottrina di temporeggiamento adottata negli ultimi anni per aumentare la propria capacità economico-militare e tenere viva la deterrenza nucleare. Un enorme passo, già preannunciato dalla ricomparsa pubblica del Leader supremo, che rischia di essere il primo verso la definitiva escalation.