Componenti Boeing 787 non sicure, indagate a Brindisi 7 persone e due società per «attentato alla sicurezza dei trasporti»
Secondo la Procura di Brindisi due società di componentistica aerospaziale, con sede in Puglia, hanno realizzato e venduto a Leonardo e a Boeing parti aeree per la produzione dei settori 44 e 46 del Boeing 787 Dreamliner «con caratteristiche di resistenza statica e allo stress notevolmente inferiori, con riflessi sulla sicurezza del trasporto». Dei circa 6.000 elementi di aeroplano sequestrati per gli esami qualitativi, le perizie hanno constatato che la non conformità di almeno 4.829 componenti realizzate in titanio e di almeno 1.158 componenti di alluminio. Elementi realizzati in titanio puro, invece di lega di titanio, e in leghe di alluminio difformi da quelle previste. A chiusura dell’inchiesta sono sette le persone indagate, oltre alle due società brindisine, che la Procura ritiene coinvolti in una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati che vanno dall’attentato alla sicurezza dei trasporti, all’inquinamento ambientale, alla frode in commercio. I magistrati, oltre alla consulenza di tecnici specializzati, si sono avvalsi di rogatoria internazionale negli Stati Uniti stabilendo che, nel lungo periodo, le componenti difformi avrebbero potuto causare danno alla sicurezza dei velivoli, imponendo alla compagnia americana l’avvio di una campagna straordinaria di manutenzione degli aeromobili coinvolti. L’inchiesta è stata avviata dopo una precedente indagine conclusasi nel 2021, che aveva portato al sequestro dei compendi aziendali delle due società per fatti di bancarotta, a tre arresti e alla denuncia di altri quattro indagati.
I reati ambientali
Tra i reati contestati, in un filone di indagine parallelo, anche quello di danno ambientale. Secondo la Procura le due società sversavano rifiuti pericolosi in cisterne e terreni della zona industriale di Brindisi, inquinando di cromo, rame, zinco, arsenico e piombo e altre sostanze nocive l’area «sino alla profondità di tre metri, in concentrazioni largamente superiori ai limiti, previsti dalla normativa per le zone industriali». Gli inquirenti hanno individuato 35 cisterne che contenevano ciascuna 1.000 litri di rifiuti speciali. Secondo quanto sostiene la Procura, gli indagati avrebbero rimosso una parte del muro di cinta tra le aree di proprietà per poi svuotare nel terreno di altri privati, e nei pozzetti di drenaggio delle acque meteoriche, il contenuto di diverse cisterne con le sostanze pericolose. Le attività d’indagine sono state condotte dalla squadra mobile di Brindisi e da militari della Guardia di finanza.
Foto di archivio: EPA/DEAN LEWINS