Sotto la lente tutta l'area del ghetto e gli obiettivi sensibili della comunità ebraica
All’indomani del corteo per la Palestina a Roma, culminato negli scontri tra manifestanti e polizia in piazzale Ostiense, cresce l’allerta in vista del primo anniversario del 7 ottobre, giorno del violento attacco di Hamas contro Israele che ha dato il via all’escalation in Medio Oriente. Domani, alla Sinagoga di Roma, si terrà una cerimonia commemorativa alla presenza della premier Giorgia Meloni. Nella Capitale saranno implementate misure di sicurezza straordinarie, in particolare su tutta l’area del ghetto e attorno agli obiettivi sensibili della comunità ebraica.
I commenti della comunità ebraica sul corteo pro Palestina: «Un abuso della libertà di manifestare»
Alla vigilia dell’anniversario del 7 ottobre, la comunità ebraica è tornata a commentare anche gli scontri che si sono verificati ieri a Roma in occasione del corteo per la Palestina. «Quanto visto ieri non è stato libero pensiero, è stato abuso della libertà di manifestare di chi cerca di destabilizzare uno Stato di diritto. I palestinesi stessi sono abusati senza capire che il loro slogan e quello dei pro Pal viene incanalato per arrivare alla distruzione di Israele e all’incitamento alla violenza con le aberranti accuse e ribaltamento di ogni verità», ha detto Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane. Dello stesso avviso anche Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma, che ha ringraziato le forze dell’ordine per aver contrastato «con equilibrio e professionalità» gruppi «che avevano lo scopo evidente di creare disordini».
Questa settimana si divertiranno parecchio gli amanti del cantautorato puro, l’italica industria discografica infatti propone il nuovo singoli di Vinicio Capossela, di Colapesce e di Diodato, tre cavalli di razza assoluti della nostra musica, infatti i pezzi sono tutti e tre meravigliosi. Tornano con un nuovo bellissimo brano anche i Tre Allegri Ragazzi Morti, emozionanti i Savana Funk con Willie Peyote, commovente Martina Attili, sorpresa Epoque, stupendi gli album di Folcast e soprattutto quello dei Sequoia, davvero imperdibile. In zona rap segnaliamo due ottimi pezzi di due favolosi producer, Shablo e Bobo, entrambi particolarmente atmosferici, entrambi particolarmente intensi. Le note dolenti: il disco di Emma è valido giusto a metà, buone le intenzioni ma ancora insufficiente il risultato, Sarah si lancia in un pop sfacciato e scoordinato, il suo pezzo è pochissima roba. Gio Evan torna con quell’insano ottimismo jovanottiano che incita al vandalismo domestico, mentre MamboLosco delude rimanendo incastrato nei soliti cliché fatti di aria fritta.
Chicca della settimana: Forma liquida, magnifico disco di ceneri.
A voi tutte le nostre recensioni alle uscite italiane della settimana.
Vinicio Capossela – Voodoo Mambo
E se Vinicio Capossela avesse concluso una stagione di ricerca intellettuale, letteraria, epica, immaginifica e stesse provando a rientrare in quei canoni melodicamente più accessibili con i quali ha conquistato i nostri cuori? No perché nessun caposseliano doc ascoltando Voodoo Mambo potrà resistere alla tentazione di ripensare a …E allora mambo o La regina del Florida, ma perfino in un certo senso a Che cossé l’amor. A quei brani che sanno del sudore dell’euforia, l’ebbrezza dell’evento, del gesto artistico immenso ed affannato, che travalica agevolmente i confini della bella canzone fino a diventare filosofia di vita, indicazione nitida rispetto ad uno stare al mondo. Voodoo Mambo magari non cambierà la vita, ma Capossela con i suoi pezzi tende sempre alla luna, e non c’è da chiedere, c’è solo da ammirare.
Colapesce – La malvagità
I brani di Colapesce orbitano tra l’asfalto e il cielo, non toccano mai terra, non vanno mai a rintanarsi tra le nuvole. Galleggiano, si spargono nell’aria, come vapore, e tu te le puoi respirare a pieni polmoni, puoi farle entrare dentro in modo tale da entrarci tu dentro e vivere di quelle sensazioni alle quali rimandano. La malvagità è una canzone scritta per Iddu, film diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza che racconta un fatto relativo alla latitanza di Mattia Messina Denaro, per questo Colapesce azzarda una spericolata (e riuscitissima) umanizzazione della malvagità, la ridisegna con tratti ultratangibili per rimpicciolirla, per sbugiardarla, per ricalibrarla a fenomeno terreno, meno biblico, meno inevitabile anche. Forse, si spera, magari. Riesce perfino ad ingentilirne i connotati grazie non solo ad una poetica sempre altissima, sempre ispiratissima, ma anche per questi archi maestosi, da grande cinema, regalati dal maestro Davide Rossi. La malvagità è un tuffo in un mare rinfrescante ma nero, rigenerante ma nero, immenso e meraviglioso. Ma nero.
Diodato – Un atto di rivoluzione
Il tema affrontato da Diodato in Un atto di rivoluzione è centrale. Anzi, meglio: il tema affrontato da Diodato in Un atto di rivoluzione deve essere centrale, talmente centrale da alzare le braccia, attirare l’attenzione dell’arbitro e chiamare un time out. Qual è il valore che l’essere umano oggi da alla musica? Cosa fa e può fare ancora la musica per noi? La caduta verticale, veloce, sembrerebbe anche inarrestabile, sicuramente deprimente, di qualsiasi forma di intellettualismo nella musica, anche italiana, specie italiana, la rende meno utile alla causa delle nostre singole vite. La musica non ferma più le guerre, non richiama più ad una morale, nemmeno invita più alla disobbedienza rispetto una morale, non si occupa più di niente che vada oltre un certo intrattenimento. Molti degli artisti che oggi hanno successo in Italia sono talmente giovani da considerare normale panorama questo scatafascio di scivolo verso gli inferi, non conoscono, e nemmeno sembrano percepire, la differenza tra un pezzo che ha successo e un pezzo che ha significato. Altri artisti quell’intento non sono mai stati capaci di capirlo, figuriamoci di farne parte fondamentale del proprio agire in musica. Poi fortunatamente ci sono cantautori come Diodato, specie in via d’estinzione ormai, che perlomeno si pongono la domanda. In questo caso con un pezzo splendido, una canzone che si interroga sulla natura della canzone stessa, una sorta di meta canzone che denuncia una situazione oggettivamente molto grave, anche se a nessuno sembra importare, finché si fattura e le ciminiere sbuffano hit va bene così. Diodato ha l’umiltà di fare un passo indietro, di diminuire lo zoom, di mettersi in discussione lui per primo. Ma, perlomeno da questo dubbio, lo tiriamo fuori noi: chiunque abbia ancora cuore per portare avanti la propria musica con una poetica sempre così delicata, sempre così profonda, sarà non solo un buon artista, ma un artista capace di salvare il mondo con in canna il pezzo giusto, un rivoluzionario appunto. Hasta siempre.
Emma – Souvenir (Extended Edition)
Siamo stati felici quando Emma ha inaugurato un percorso musicale decisamente diverso, culminato al Festival di Sanremo con Apnea, hit vera, solida, efficacissima, rimasta ingolfata tra tutte le altre hit sfarfallanti che Amadeus ha preteso in playlist per il suo Festivalbar 2.0. Eravamo felici perché è sempre una buona notizia quando una artista così amata si rende conto dei limiti del proprio fare musica, che quella ostentata plastificazione non va più e non è nemmeno artisticamente dignitosa. E allora si impegna a modellare il proprio approccio rispetto ai tempi, rispetto il proprio vissuto, rispetto la propria visione, decisamente e drammaticamente pop fino a poco tempo fa. Certo è un percorso complesso e non si può di certo dire che si può, quindi deve, fermare con Souvenir, in cui si viaggia pericolosamente tra alti e bassi, tra pezzi nei quali questa nuova passata di vernice sulla sua natura ipercommerciale arricchisce, convince, entusiasma anche, pensiamo a French Riviera, Carne viva, Indaco e pezzi fin troppo ammiccanti, privi di un’anima, di un significato profondo, ma che mettono in mostra grandi capriole sonore a livello di produzione per risultare ancora un’artista cool. E non c’è niente di meno cool di qualcuno che vuole dimostrarti a tutti i costi di essere cool. Così Souvenir, alla fine della fiera, risulta un disco di passaggio, riuscito solo a metà. Ma, in tutta onestà, confidiamo in una costante maturazione di Emma, perché se c’è una cosa che ha sempre dimostrato è di vivere il proprio sentimentalismo, la propria ispirazione, con entrambi i piedi, con grande trasporto, con una cazzimma che alle volte le sfugge quasi di mano, che non riesce ancora a domare. Quando ne prenderà distanza probabilmente arriverà il pezzo che aspettiamo da anni, quello che farà la differenza nella sua carriera e non solo nella sua settimana. Si perché i pezzi di Souvenir non vanno oltre.
Tre Allegri Ragazzi Morti – La nuova canzone per me
La nuova canzone per me dei TARM in realtà è una nuova canzone per noi. Noi tutti, chiunque abbia amato la band di Pordenone dagli inizi, chi c’è cresciuto, chi si è lasciato raccontare dalle loro splendide canzoni, chi in quella scrittura così diretta ci ha percepito un’essenza filosoficamente alternativa, a livello umano oltre che musicale. I TARM hanno arredato con toni gentili ma incisivi quel sottobosco musicale che prevede non solo chi la fa la musica, ma anche chi la ascolta, riuscendo a coinvolgere il proprio pubblico in un viaggio favoloso, che negli anni non ha subito trazioni, deviazioni o tradimenti. I TARM sono sempre rimasti i TARM, sono solo aumentati di numero, non sono più tre ma hanno formato, educato e cresciuto una generazione che in quegli scheletri, in quelle maschere, riescono a specchiarsi lucidamente. La nuova canzone per me, con questa attitude vagamente vintage, con queste chitarre stuzzicate con questa brillantezza, è importante perché è l’omaggio che i Ragazzi Morti dedicano non solo a se stessi e alla propria carriera, non hanno mai dato segno di necessitare di tali umane debolezze, ma a noi, alla propria comunità, alla strada camminata assieme, che si è fatta ormai tanta e che, abbiamo l’impressione, ancora ne avrà di colossali e meravigliosi paesaggi da mostrare.
Shablo feat. Izi e Joshua – Hope
Il tocco di Shablo è incredibile, le barre di Izi di rara fattura, il graffio di Joshua da una profondità abissale al pezzo. Questa Hope è una canzone che ti avvolge, che ti soffoca con questa atmosfera impegnata ancor più che cupa, che bada alla parola, la rimette al centro, e si resta abbagliati da certi lampi di pura letteratura. Rap quando è fatto bene.
Bobo, Baby Gang, Guè e Paky – All Eyes On Me
Bobo, uno dei più preparati producer della scena rap italiana, si mette in prima linea e sforna una mina di pezzo. All Eyes On Me è complesso, un labirinto di suoni cool dentro il quale perdersi, un brano che si trascina a lampi improvvisi che rimbalzano tra le barre di tre rapper che certamente sanno come scrivere accattivando il pubblico urban e questo simple di Pusherman di Curtis Mayfield che si aggira sopra il pezzo come un corvo, con questo rondò di eccellente fattura. Dietro All Eyes On Me c’è la voglia di andare oltre, di portare il rap puro, anche se di qualità media (perché non è che Baby Gang, Guè e Paky siano sti gran letterati), oltre la soglia del già sentito. Bravissimo.
Savana Funk feat. Willie Peyote – Wa Zina
L’umanità che trasudano le barre di Willie Peyote dimostra ancora una volta quanto è necessario avere artisti di un certo spessore intellettuale e quanto è necessario che questo talento sia messo al servizio non solo di un mero intrattenimento ma di cause reali, in questo caso la rivoluzione iraniana, il che ovviamente invita a riflettere su quanto copiosamente sanguinino ancora le ferite inferte dai vari fascismi distribuiti per il mondo. Wa Zina è naturalmente orchestrata dai Savana Funk, una delle più entusiasmanti realtà del panorama musicale italiano, questo loro piglio da sala prove, che non bada all’andatura del mercato discografico ma segue una via squisitamente artistica, servirebbe trasformarlo in una stella cometa, affinché tutti vedano, affinché tutti seguano. Pezzo fortissimo.
Sarah – Tacchi (fra le dita)
L’arzigogolata produzione pop/dance di Itaca forse è stata così pensata per coprire i buchi di un brano spudoratamente innocuo, piuttosto bruttarello, inespressivo nel testo ed interpretato con l’intensità della macchietta, senza alcuna autenticità. Bocciato.
Martina Attili – Occhi blu
L’ultimo saluto di un padre a sua figlia, un brano che vibra della forza della semplicità e quella semplicità, così comune, ti straccia il cuore, ti atterra, ti rade al suolo. È tutto qui, in questo mondo, nella nostra vita, «dai un bacio alla mamma quando ne avrà bisogno», «pettina i capelli a tua sorella», «ricorda a tuo fratello di lavarsi i denti», «controlla le piante», niente che non ci riguardi da vicino, niente che non possiamo comprendere, niente che non ci riduca in cenere dal pianto. E dietro questo brano non si cela uno squadrone della morte di autori, c’è solo questa talentuosissima ragazza e il suo pianoforte, c’è la volontà di esporre una sensibilità rara e speciale. Infatti poi vengono fuori pezzi di rara bellezza e speciali. Certamente speciali. Grazie.
Gio Evan – Palo santo
Gioioso inno all’amicizia che pulsa della solita retorica da quattro soldi. Jovanotti, ma comprato dal cinese sotto casa.
MamboLosco – Connessioni
Tutto spiattellato, comune, rasoterra, niente di nuovo, niente di interessante. Niente di niente.
Sethu feat. Bnkr44 – Sottosopra
Sethu e i Bnkr44 si incontrano in quel luogo musicale a loro assai comune, quello in cui esprimersi è una sguaiata necessità, quello in cui tutto è diretto e si porta sul groppone un significato ben preciso. Sottosopra viaggia su questo ritmo forsennato che non concede pause, che non lascia scampo, scalmanato, da cantare e da pogare, da sudare e da provare a schiacciare mentre si fa si con la testa.
Matteo Romano – Tornado
Una brutta ballad che ad un certo punto esplode in un brutto brano dance. «Sei tornato come un tornado» rientra agevolmente tra i peggiori versi mai ponderati da mente umana.
M.E.R.L.O.T. – Sex and cocaine
Brano assai caldo, che non rispetta la promessa rockeggiante del titolo, ma che ci dice che Sex and cocaine, questa altalena di emozioni destabilizzanti, non si adatta solo a ritmi andanti ma anche ad un auto ballad ottimamente fatta dal bravissimo M.E.R.L.O.T., che si dedica questo brano dimostrando notevole compassione per il momento evidentemente difficile che stava vivendo e che ha voluto inquadrare con tale maestria.
Ceneri – Forma liquida
Un arcobaleno di sentimenti da osservare attoniti attraverso il fascinosissimo cantautorato della bravissima ceneri. L’album è una perla assoluta, non un solo brano che vada fuori rotta, che risulti in qualche modo ammiccante o sgraziato nel quadro, splendido, che l’artista classe 2000 voleva proporci. Sonorità acustiche che si mescolano meravigliosamente bene con quelle tech, due tempi verbali che si fondono in un’unica sospensione, quella creata dal sussurro di voce incisivo di ceneri. Dentro poi si trova di tutto, una visione in soggettiva che non lascia dubbi, che ti fa immergere in un’atmosfera astratta dove tutto, contemporaneamente, si guarda da fuori e si vive da dentro. Le emozioni fanno letteralmente vibrare e questa vibrazione stuzzica qualcosa di profondo, una sorta di valanga dalla quale non vedi scampo, come quando si perde il controllo del proprio corpo, ma in questo caso solo del proprio cuore, del proprio plesso solare, perché è lì che in punta di fioretto colpisce ceneri. Di sicuro uno dei migliori album del 2024.
Epoque – Tram 83
Complesso mettere insieme l’intensità di una narrazione, anche articolata, che magari ha bisogno di ampio respiro, con una coolness decisa, brillante ed inattaccabile. Epoque ci riesce con invidiabile leggiadria, con uno stile moderno ed entusiasmante, senza sbavature, senza rinunciare anche a riferimenti intellettuali come Tram 83 appunto, romanzo del congolese Fiston Mwanza Mujila. Come si fa a rendere vendibile questo malloppo di roba sulla carta del tutto invendibile, del tutto contraria a ciò che va in questo momento sul mercato? Semplice, basta essere Epoque. Che sballo di pezzo.
Folcast – Tutti i miei piani
I dischi, perlomeno concettualmente, dovrebbero essere sempre così: una visione chiara, un’apertura totale, supportata da un’energica struttura sonora, netta, anche nella volontà di raccontare qualcosa e, quella cosa, farla arrivare senza intoppi, anzi arricchirla di una produzione ricca, sostanziosa, che lascia satolli e felici. Canzoni trascinanti come Manifesto egoista, Se scoppiassi tu,1+1 e 8 di mattina. Noi di album, specie di cantautori uomini, di questo livello, ne abbiamo sentiti proprio pochi ultimamente. Non una sbavatura, un grande carattere, una penna che mette insieme narrazione e sentimentalismo, ciò che accade e ciò che ti fa scattare dentro. Più di così è davvero difficile. Ottimo lavoro.
Ciliari – Attacchi di panico
Strapparsi il cuore dal petto e mostrarlo attraverso un caleidoscopio musicale, un brano che sanguina, pur non essendo una spudorata ballad, anzi, soprattutto grazie al fatto che si tratta di un indie pop incisivo, abbastanza forzuto, non notiamo particolare sofferenza nemmeno nel cantato. Ma basta un’immagine: il protagonista, in macchina, solo, a Milano, pensando ad una storia finita, per farci salire un’angoscia in gola che la metà già ci spingerebbe a suicidarci con la discografia di Laura Pausini. Invece per fortuna questo buco ce lo riempie il bravissimo Ciliari con una canzone molto onesta, molto coinvolgente, a tal punto che avresti voglia di offrirgli una birra per dargli una pacca sulla schiena e, come si fa con i vecchi amici in Sicilia, esclamare: «futtitinni!» (tradotto: «fregatene»). Ma, tutto sommato, meglio tenersi stretta la sofferenza se poi si traduce in canzoni così valide. Bravo.
Anzj – Illumina
Quello di Anzj è un esordio assai coraggioso, quasi provocatorio. Undici tracce pregne di significato, di voci, di sonorità tech portate fino al ciglio del dirupo, di immagini evocative. Anzj non imbocca niente, non rende niente facile, pretende che l’ascoltatore si spinga con lui fino al punto in cui tutti i pezzi del puzzle di questo disco si sistemino al proprio posto. Che bellezza Somma di noi, Crepuscolo, Per un attimo con te, Fever Dreams, tutte canzoni che esistendo creano non solo un’atmosfera ma un intero universo, che è ancora confuso, per certi aspetti acerbo, ma è questo il guaio (che guaio proprio non è, anzi, ad avercene) di chi punta sulla sperimentazione: non si smette mai, c’è sempre qualcosa da cercare, il doppio delle cose da trovare. E noi rimaniamo qui ad aspettare.
Manitoba – Numero zero
I Manitoba hanno dovuto ammortizzare come si deve il post X Factor, ma poi hanno scoperto come sopravvivere: pensando alla musica. Numero zero come titolo già dice assai riguardo questa intenzione di rinascita lontano dai circoletti televisivi e radiofonici, ma riappropriandosi del crudo palco, riempiendolo di musica suonata, sangue e sudore. Alla fine la ricetta è certamente gustosa, perché questo bel disco dei Manitoba suona proprio in maniera genuina, non c’è un solo pezzo destinato alla classifica, sia chiaro, ma molti più di uno invece destinati alle playlist di chi là fuori di musica se ne intende. Ecco, questo essere ormai mitologico, l’intenditore di musica, che suona ormai talmente vecchio che lo metteranno presto tra le carte del Mercante in Fiera, certamente resterà soddisfatto di pezzi come Jane, Gianni Tristezza, Fiori e baci e Futuro. Noi sicuramente.
Angelica Bove – Bellissimo e poi niente
Ce la ricordavamo come artista dal carattere assai interessante Angelica Bove in quel di X Factor, ritrovarla così, oggi, con questa attitudine così sfacciatamente pop, è oggettivamente una delusione. Il pezzo non funziona e si perde proprio in questo affannoso provare a funzionare, lei non sembra totalmente dentro la canzone, l’interpretazione non è azzeccata, non è centrata e l’ascoltatore è portato a distrarsi perché è come se istintivamente sentisse che non ne vale la pena. Noi abbiamo ascoltato attentamente e possiamo dirlo: caro amico, hai ragione, tutto sommato non ne valeva la pena. Spiace.
Sequoia – La Terra Santa
Ciò che tiene insieme queste dieci bellissime tracce che fanno dunque de La Terra Santa un bellissimo album, è il tocco, la visione, la prospettiva, musicale e narrativa, dei Sequoia e di Matteo Cantaluppi, eccellenza della produzione pop italiana. Suona tutto come un meraviglioso disco indie rock anni ’90, uno di quelli che hanno segnato la storia, uno di quei cult assoluti ed indispensabili. La scrittura è di altissimo livello, ci verrebbe da dire impressionante se non fosse che in realtà da queste pagine i Sequoia c’erano già passati all’uscita dei primi singoli, Aspetto te, Autunno ’91, Vlora e La Terra Santa, quindi non ci aspettavamo niente di meno di questa perla che poi alla fine, in effetti, è venuta fuori. Nella musica di oggi per farcela le opzioni sono poche e molto varie: ci sono i talent ovviamente, ma quelli li lasciamo a quelle figurine fameliche che, forti della propria gioventù, pretendono tutto e subito. Un’altra possibilità è presentare qualcosa di estremamente nuovo, che è complesso, ma non impossibile, infatti quasi ogni settimana ci ritroviamo a presentarvi progetti che provano, in alcuni casi riescono, ad azzardare suggestioni diverse rispetto alla musica che gira. E poi un’ultima possibilità è proporre qualcosa che, a prescindere dall’innovazione, dalle classifiche, dal mercato, dagli stream, dai numeri, dai dati, dai follower, dalla visibilità, dalla riconoscibilità, ha un intento artistico di un altro livello, più alto, più significativo, superiore. I Sequoia hanno preso questa strada, La Terra Santa è così, un disco da appuntarsi al petto, un disco che ci si può vantare di aver ascoltato, di avergli concesso una possibilità in una vita sempre più frenetica, e alla fine hai scoperto un tesoro. La Terra Santa infatti è un tesoro.