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Colapesce e la colonna sonora di «Iddu», il film su Matteo Messina Denaro: «Basta mitizzare la mafia» – L’intervista

08 Ottobre 2024 - 17:10 Gabriele Fazio
Il cantautore di scuola siciliana parla del periodo stragista in Sicilia: «Mi ricordo l'atmosfera di terrore che c'era in giro, i morti ammazzati tutte le settimane»

Siamo nella Sicilia di inizio millennio. Dopo alcuni anni in prigione per mafia, Catello, politico di lungo corso, ha perso tutto. Quando i Servizi Segreti italiani gli chiedono aiuto per catturare il suo figlioccio Matteo (Messina Denaro), ultimo grande latitante di mafia in circolazione, Catello coglie l’occasione per rimettersi in gioco. È questo l’incipit di Iddu, film scritto e diretto da Fabio Grassadonia e Antonio Piazza con Elio Germano e Toni Servillo, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia dove ha conquistato il premio Soundtrack Star Award 2024, come miglior colonna sonora. Una colonna sonora affidata a Colapesce, cantautore di scuola siciliana che negli ultimi anni ha conosciuto il successo mainstream grazie alla collaborazione con il collega Dimartino.

Un rapporto intimo quello di Lorenzo Urciullo, così all’anagrafe Colapesce, con il cinema: disciplina che ha già affrontato in prima persona (ancora insieme a Dimartino) come sceneggiatore, attore e, naturalmente, compositore della colonna sonora del film La primavera della mia vita, che gli è valso un Nastro D’argento. Nel caso di Iddu la sfida era decisamente più impegnativa, non solo in quanto musicista ma anche come siciliano: «Io sono nato nei primi anni ’80 – racconta a Open – quindi nei primi anni ’90 ero piccolo ma già cosciente. Mi ricordo l’atmosfera di terrore che c’era in giro, nella stampa, nelle persone, è una cosa che un bambino, anche se è piccolo, interiorizza. Io mi ricordo i morti ammazzati tutte le settimane, mi ricordo che spesso a tavola si parlava di mafia, del dramma che c’era in corso. Poi in gran parte del popolo siciliano è cambiato qualcosa con le uccisioni di Falcone e Borsellino, che io ricordo benissimo. C’è stata proprio una rottura netta tra cosa era giusto e cosa era sbagliato. Ovviamente non in tutti, anzi poi si è tentato con il cinema, con le serie, quasi di mitizzare alcune cose della mafia, che è una cosa che Fabio e Antonio nei loro film evitano come la peste ed io sono d’accordo».

Così raccontare la mafia, intesa anche come icona della malvagità in generale, diventa responsabilità degli artisti, una responsabilità da prendere molto sul serio: «Molti giovani non hanno la capacità di leggere esattamente cosa stanno vedendo, quindi gli arriva solo un messaggio superficiale. Questa è una cosa molto pericolosa e secondo me l’arte in generale dovrebbe tenerne conto, specialmente in questo momento storico. Basta mitizzare queste cose ma bisogna cominciare a raccontarle per quello che sono, quindi lo schifo e l’immondizia vera».

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