Piero Marrazzo e la vita oltre lo scandalo: «Tutti vanno al Pride ma la sessualità resta un’arma per colpire»
«Non fa bene tacere. Grazie alle mie figlie ho capito che la mia, la nostra, vita non era riducibile a uno “scandalo”, ma era la vicenda complessa di una famiglia». Pietro Marrazzo, detto Piero, torna a parlare in un’intervista di Roberto Gressi sul settimanale 7 del «Corriere della Sera» in occasione dell’uscita del suo libro «Storia senza eroi». Un romanzo scritto a otto mani, quelle dell’ex presidente della Regione Lazio e quelle delle tre figlie, che ripercorre la sua vita. I genitori, il fratello Riccardo e lo scandalo che nel 2009 lo costrinse a dimettersi e eclissarsi dalla scena politica. L’ammissione, dopo il ricatto di quattro carabinieri, di aver avuto rapporti occasionali con una prostituta transessuale, presso cui si era recato con l’auto di servizio della regione. A pagarne il prezzo è lui e la sua famiglia. Il «frutto di una debolezza della vita privata», come la definisce lo stesso Marrazzo, è dato in pasto ai giornali scandalistici. E dai giornali si trasferisce alla quotidianità: la separazione con la seconda moglie Roberta Serdoz, gli insulti ricevuti dalle tre figlie Giulia, Diletta e Chiara. Proprio quelle che, insieme al padre, si sono imbarcate in un viaggio per tentare di scavare. E, forse, capire.
Il “caso Marrazzo”
Inizia tutto il 3 luglio 2009, in via Gradoli a nord di Roma. Marrazzo arriva con l’auto blu da presidente del Lazio. Dopo pochi minuti, quattro Carabinieri in borghese irrompono nell’appartamento della prostituta transessuale Natalie, dove trovano anche sostanze stupefacenti. Filmano tutto, senza farsi notare, e accusano il politico di far uso di cocaina. La richiesta all’ex giornalista Rai è semplice: denaro in cambio di silenzio. Marrazzo decide di non denunciare, spera che l’accaduto cada nel dimenticatoio. Tre mesi dopo si trova sulle prime pagine dei giornali. Inizialmente nega, poi cede e racconta di aver avuto rapporti occasionali. Si autosospende da presidente del Lazio, poi – il 27 ottobre – si dimette e si rifugia per un mese nel silenzio del convento di Montecassino. Nell’aprile 2010 la Cassazione dichiara Marrazzo vittima di un complotto organizzato da Carabinieri infedeli, che avrebbero preparato la scena con droghe e la tessera personale della vittima sul tavolino. Da qui il ritorno al giornalismo in Rai, dove oggi conduce il telegiornale notturno di RaiNews 24. Ma la macchia rimane indelebile.
La vergogna e il partito: «La politica non deve entrare nelle mutande»
«Il silenzio schiaccia», così Marrazzo spiega al Corriere la decisione di scrivere un libro. Perché il silenzio non cura anzi – e Marrazzo cita la sua psicologa – bisogna «rendersi conto di cosa vuol dire l’immagine di un uomo che cade e si rialza». La volontà di riaprire una ferita solo in parte cicatrizzata nasce da una consapevolezza: «Quello che avevo fatto, per un uomo pubblico, non era opportuno. Non avevo adempiuto all’obbligo che avevo nei confronti delle Istituzioni. Mi ero occupato di Sanità e Rifiuti, che chi tocca muore, e mai un sospetto, tanto meno un’inchiesta».
Racconta di aver vissuto «sradicato» per quattro mesi, da luglio a fine ottobre, come fosse diviso a metà. Da una parte politico tutto d’un pezzo, dall’altra «muto, solo e schiacciato dalla vergogna nella vicenda personale». Gli attacchi più duri proprio da membri della sua parte politica, che gli chiesero di farsi da parte: «Sono convinto che la sinistra non sia una Chiesa, e che la politica non debba entrare nelle mutande delle persone, come principio generale. È frequente l’uso della sessualità per colpire gli altri. Dalla corruzione, che mai mi ha riguardato, si esce. Dalla sessualità no». Non c’è però sangue amaro verso Luigi Bersani e chi lo spinse a dimettersi.
Il rapporto con le figlie: «Mi hanno insegnato a perdonare un padre»
E poi la colpa più grave, «verso la famiglia: per la vergogna non avevo messo in sicurezza le mie figlie e mia moglie Roberta». Anche a causa di una «forte forte condanna mediatica e moralista» derivante, secondo Marrazzo, soprattutto dalla frequentazione di una donna transessuale. «Sono certo che, se avessi frequentato una prostituta donna, l’impatto sarebbe stato enormemente minore. Poi sì, tutti vanno ai Pride».
Ma il fulcro di tutto, ben oltre la politica, è la famiglia. Anzi, sono le figlie. Spesso nel libro Giulia, Chiara e Diletta si chiedono perché il padre non le abbia tutelate, non abbia spiegato loro «perché avremmo vissuto così tanta cattiveria». Dicono di essersi sentite «non vittime, ma colpevoli». Ma la relazione con il padre non si è mai sgretolata. «Non mi hanno fatto sconti, né li volevo», dice Marrazzo. «Né hanno fatto sconti alla società per come ci ha trattati. Perché non accada più. Io sono qui, fortunato e forte, ho il loro amore. Mi hanno insegnato come a un padre si possa perdonare di non averle protette».
Un viaggio americano alla scoperta del passato
Nei mesi prima della sentenza della Cassazione Marrazzo racconta di essersi imbarcato in un viaggio alla riscoperta delle sue radici familiari. Dalla madre immigrata negli Stati Uniti, al giornalismo del padre, alla violenza impositiva del nonno fino al mistero che circonda il fratello grande Riccardo. Un solo cognome, diverso da quello di Piero Marrazzo: quello della madre. Ecco che esce la storia di un padre «al quale è stato negato il diritto di essere padre, per il suo orientamento sessuale. E di un figlio, mio fratello Riccardo, al quale è stato negato il diritto di essere figlio». Una lunga lista di segreti, silenzi e verità mal celate. «Ora vorrei dire basta con le ipocrisie, le parole non dette, i fatti tenuti nascosti», chiosa Marrazzo. «Basta falsità e violenze brutalmente inconsapevoli. È il momento di crescere, di dire la verità. Teniamo vivo l’amore».