La storia di Makka Sulaev, che ha ucciso il padre per difendere la madre: «Riascoltare la sua voce mi ha scioccata»
Makka Sulaev, 19 anni, il primo marzo 2024 ha ucciso suo padre a coltellate durante l’ennesima lite con la madre a Nizza Monferrato. Lui aveva mandato alla moglie un messaggio su Whatsapp: «Appena arrivi a casa ti stacco la testa». Si era licenziato e lei lo aveva rimproverato. La ragazza era terrorizzata. Per questo è uscita di casa, ha comprato un coltello e lo ha nascosto in camera sua prima di agire. E questo le costa la premeditazione. Oggi Makka, di origini cecene, parla della sua storia con il Corriere della Sera. E confessa la sua paura che i giudici non capiscano quello che è successo quel giorno.
Cosa è successo quella sera
Ovvero «che io ho ucciso mio padre perché non avevo scelta e da allora non è per niente facile andare avanti. Svegliarsi e guardarsi allo specchio è diventato pesante, perché non puoi fare a meno di pensare: ma davvero ho fatto questa cosa? Non puoi più essere felice perché ti senti in colpa ogni secondo… Mi sento in colpa malgrado tutto quello che abbiamo dovuto vivere in quella casa…». Il padre era «uno che a volte prendeva mia madre e la trascinava davanti ai miei fratelli maschi per mostrargli come si tratta una donna». E che «quando picchiava usava la tecnica del pugno forte sulla bocca dello stomaco, che impediva di respirare». Quel giorno lui è tornato a casa e ha aggredito la madre mettendole le mani sul collo.
La storia di Makka Sulaev
«E allora io l’ho colpito con due pugni. Era la prima volta e non se l’aspettava, era sbalordito. È venuto verso di me, mi ha afferrata per i capelli e buttata per terra, mi ha presa a pugni. Mia madre tentava di allontanarlo da me… A quel punto ho preso il coltello…», racconta Makka a Giusi Fasano. Ora deve fronteggiare il processo per omicidio volontario aggravato davanti alla Corte d’Assise di Alessandria: «Ho guardato i giudici negli occhi, mi ispirano fiducia anche se ci sono rimasta un po’ male perché hanno detto no alla richiesta di scuola in presenza e per la motivazione che hanno dato». «Dicono che in situazioni di stress potrei essere di nuovo aggressiva. Li capisco, però. Ancora non mi conoscono, hanno davanti un’imputata per omicidio…».
La cosa più dura
La cosa più dura per lei oggi è «riascoltare la voce di mio padre. Mi ha scioccata. L’ho risentita dopo tutti questi mesi perché, per motivi di difesa, ho tradotto dal russo gli audio che ho registrato quel giorno durante la lite e i suoi vocali Whatsapp inviati a mamma. Quei vocali sono agghiaccianti: dice delle cose terribili ma sembra che stia parlando del più e del meno. Sono andata a letto con la sua voce nella testa, l’ho sognato…». Intanto si trova «ai domiciliari con braccialetto elettronico a casa di un’amica di mia madre. Posso vedere soltanto lei, i miei fratelli e una professoressa». Porta il velo: «È una mia libera scelta, sono musulmana credente e ci tengo molto. Mi sento più bella, con il velo».
Il pentimento
Ed è pentita di quello che ha fatto: «Non c’è un solo giorno in cui non mi tormenti pensandoci. Ogni volta che chiudo gli occhi rivivo quel momento e mi chiedo: c’era un modo diverso per proteggere mamma senza arrivare a quella tragica fine? Mi sentivo persa, disperata, come se non ci fosse più una via d’uscita. Togliere la vita è qualcosa di irreparabile, qualcosa che non si può più cambiare e forse nemmeno perdonare. Non c’era amore tra noi, non c’era affetto, c’erano solo paura, violenza fisica e psicologica, ma uccidere… quello no, non è giustificabile; mi rendo conto e mi prendo tutte le responsabilità».
Il ricordo
Infine, il ricordo del padre: «Se ripenso a lui non riesco a vedere solo l’uomo che ci faceva soffrire, c’è una parte di me che ricorda anche altro. Ma soprattutto vedo un uomo che non c’è più, che io ho fatto sparire, e mi tormenta l’idea che magari quel giorno poteva esserci un’altra soluzione».