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Ricky Gianco e Adriano Celentano: «Un despota geniale. E un gran parac…: mi ha rubato una canzone»

12 Ottobre 2024 - 07:49 Alba Romano
ricky gianco adriano celentano
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L'amico del Molleggiato racconta gli anni del Clan: era una corte con un sovrano

Ricky Gianco ha più di ottant’anni ed è salito la prima volta su un palco a Varazze nel 1954. Ha composto canzoni come “Pregherò”, “Sei rimasta sola”, “Pietre”, “Pugni chiusi”, “Il vento dell’Est”. E spiega oggi in un’intervista a La Stampa perché ama il rock: «Sempre stato un ribelle, fin da bambino. Era un calcio alla cultura ottocentesca che pervadeva il nostro Paese. Allora non lo conosceva quasi nessuno: per ascoltarlo dovevi sintonizzarti (a fatica) su Radio Luxembourg e per i dischi andare a Lugano. La versione originale di “Pregherò” l’avevo scoperta così».

Il Clan e Celentano

Gianco è stato tra i fondatori del Clan di Adriano Celentano. Ma ne è uscito quasi subito. E mentre impazza la polemica del Molleggiato con Teo Teocoli (e l’intervento di Roberto Saviano) spiega perché: «Non era un clan era una corte con un sovrano. E a me non piaceva affatto essere il cortigiano anche se di un genio assoluto come Adriano. Dopo un anno e mezzo mollai: voleva che passassimo l’estate con lui mentre girava un film. Avevo la mia vita, una fidanzata e un’auto nuova… E poi per fare cosa? Stare a guardarlo come quando giocava a biliardo e ci voleva tutti lì? Io volevo fare, viaggiare, andare in Inghilterra o in America dove la musica “avveniva”, mica passare il mio tempo al bar sotto casa».

Il dispotismo

Un altro esempio del suo dispotismo è la canzone “Pregherò”: «Avrei dovuto interpretarla io, e invece dopo due mesi che faceva il nebuloso mi disse che l’avrebbe incisa lui. Io avrei fatto il seguito, “Tu vedrai”: “Io vendo milioni di copie: anche il tuo disco andrà benone”. Un gran paraculo: una canzone come un film, con un sequel. Malgrado tutto gli voglio bene ma non lo vedo né sento da anni. Altri ex non l’hanno mai perdonato. Gli devo molto per altro: il successo al Cantagiro del 1962, per esempio».

Il sequestro in camerino

E poi c’è la storia del sequestro in camerino: «Adriano aveva finto un incidente e aveva passato a me la sua canzone, “Stai lontana da me”. I melodici Teddy Reno, Claudio Villa e Luciano Tajoli mi tesero un agguato con processo: chi avevamo corrotto perché io, uno sconosciuto, fossi così votato? Riuscii a fuggire e a esibirmi. Loro si presentarono chi invocando una raucedine, chi in pieno agosto avvolto in una sciarpona di lana, chi trascinandosi sul palco a fatica. Che tristezza».

Luigi Tenco

Su Luigi Tenco dice che è ancora convinto che non si sia sparato: «Era allegro e intelligente, era una persona ben diversa da come venne descritta, non certo l’artista torturato “alla Dean”». E ancora: «C’è quella pistola, certo. Ma il suicidio non corrisponde alla persona che conoscevo. Anche quello di Paoli: la pallottola vicino al cuore c’è, ma spararsi? E se fosse stato un incidente e basta?». Infine, il ricordo di «”Pietre” e quel burlone di Antoine che a Sanremo non sa il testo, perde il pizzino su cui se l’era scritto e allora fa il matto sul palco e con gli orchestrali. Gian Pieretti, che era l’altro interprete, era incavolato nero: “Ha rovinato tutto, mi ha rovinato”. Troppo serio, non aveva capito il tono ironico della canzone, che Antoine rese popolarissima».

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