Crisi dell’auto, l’ad di Volvo Crisci: «Basta con lo spauracchio della disoccupazione: l’elettrico fa guadagnare posti di lavoro» – L’intervista
Le vendite di auto elettriche in Europa stentano a decollare e il futuro del settore appare incerto. «Servono misure urgenti da parte dell’Unione europea», ha tuonato pochi giorni fa l’Acea, l’associazione che raduna le case automobilistiche del Vecchio Continente, dopo l’ennesimo report che certificava le difficoltà del mercato. In risposta a questa situazione, sono tornate a farsi sentire le voci di chi chiede a Bruxelles di rivedere quella scadenza, prevista per il 2035, a partire dalla quale non si potranno più produrre nuove auto a benzina e diesel. Una battaglia che parte tutta in salita, se non altro perché tra le fila dei contrari ci sono anche decine di aziende che negli ultimi anni hanno programmato investimenti per svariati milioni di euro e ora chiedono ai vertici Ue di non fare alcun passo indietro sugli obiettivi del Green Deal che riguardano il settore auto. Tra loro c’è anche Volvo, storica casa automobilistica svedese che dal 2010 è sotto il controllo della cinese Geely e negli ultimi anni ha scommesso più di tutti sulla transizione verso le auto a batteria. «Mantenere gli obiettivi europei è fondamentale. Solo con l’elettrificazione si possono salvare i posti di lavoro», spiega Michele Crisci, amministratore delegato di Volvo Italia, in questa intervista realizzata a margine de Il Verde e il Blu Festival, organizzato a Milano da Bip.
Volvo è una delle aziende che ha aderito all’appello «Industry for 2035», che chiede di mantenere il divieto di vendita di nuove auto a benzina e diesel dal 2035. Perché avete aderito?
«Noi stiamo andando molto spediti verso la transizione, elettrificando tutti i nostri modelli. Da prima siamo partiti con i mild hybrid, poi il plug-in, adesso il full electric. Tutto questo a prescindere dal 2035, perché azzerare completamente le emissioni allo scarico è una cosa fondamentale dal nostro punto di vista».
C’è chi obietterebbe che bisogna guardare all’intero ciclo di vita delle auto.
«Ed è vero. Va considerato tutto il ciclo di vita dell’auto, ma questo non deve essere una scusa per non fare progressi sull’azzeramento delle emissioni. Chi produce acciaio o alluminio deve farlo senza emettere CO2 e le batterie vanno create certificando non solo la provenienza dei materiali, ma anche la loro totale riciclabilità. Tutte queste cose vanno portate avanti insieme».
Quindi la scadenza del 2035 è ancora fattibile per l’automotive europeo?
«Per noi quella scadenza dovrebbe restare lì dov’è. L’elettrificazione è fondamentale non solo per abbattere le emissioni ma anche per liberare il potenziale delle macchine del futuro, che saranno disegnate intorno a software che necessitano di energia estremamente efficiente. E oggi l’energia più efficiente è quella elettrica».
Il governo italiano e l’Eni insistono nel dire che era meglio puntare anche sui biocarburanti. Sono davvero una valida alternativa?
«Per il futuro sicuramente no, forse sono un’alternativa valida oggi».
Cosa intende?
«Se pensiamo, e comunque lo dovremmo certificare, che nell’intero ciclo di vita questi biocarburanti portano a una riduzione delle emissioni di CO2, utilizziamoli già oggi sul parco circolante. Non c’è bisogno di aspettare il 2035 o che qualcuno ci dica di farlo. Diverso è essere assolutamente convinti del fatto che l’intelligenza artificiale, che noi dovremo utilizzare sulle macchine del futuro, possa trovare posto in un’auto a motore termico. Non è così, per semplici ragioni fisiche e di efficienza».
Eppure il mercato delle auto elettriche fa molta fatica. Come si spiega questa crisi delle vendite?
«Partiamo da un fatto che viene riconosciuto anche nel rapporto di Draghi: l’Europa, al contrario della Cina, non ha fatto investimenti su tutta la filiera delle nuove tecnologie. Noi spesso semplifichiamo dicendo che in Cina le cose costano poco perché non pagano i lavoratori, ma non è così. Lì, negli ultimi vent’anni, c’è stato un investimento enorme su tutta la filiera delle auto di ultima generazione. Le rinnovabili da loro crescono molto più che in Europa non perché credono nella sostenibilità ma perché sono un popolo business oriented. Hanno capito che quella è la direzione in cui si sta muovendo il mondo».
E in Europa?
«C’è stata una narrazione sull’elettrificazione molto negativa, che si sta accentuando tantissimo in questo periodo e secondo cui non si trova mai da ricaricare e perderemo tanti posti di lavoro. Serve solo a mantenere certi interessi tutelati, a partire da chi produce idrocarburi. Credo che nessuno possa dubitare del fatto che tra dieci anni non si produrranno più marmitte. Se qualcuno lo pensa veramente, sta mentendo alle persone».
E come incide questo sui dati delle vendite?
«Il risultato di questa narrazione è che il mercato delle auto elettriche oggi non si sta sviluppando come ci si aspettava. I clienti sono dubbiosi di questo passaggio e anche le grandi aziende si stanno un po’ fermando. È tutta una catena che va rimessa in moto».
Secondo questo ragionamento, gli incentivi all’acquisto servono a poco…
«La vera svolta arriverà quando riusciremo a convincere le persone ad abbracciare queste tecnologie. È vero, non basteranno più cinque minuti per fare il pieno ma c’è il vantaggio, per chi può, di ricaricare l’auto anche a casa con prezzi infinitamente più bassi di benzina e diesel. Il racconto andrebbe un po’ cambiato, le persone andrebbero tranquillizzate. E soprattutto va invertito il discorso sul grande spauracchio secondo cui se andiamo verso l’elettrificazione creiamo disoccupazione. È vero il contrario».
In che modo il passaggio all’auto elettrica farebbe guadagnare posti di lavoro?
«La filiera legata alla sostenibilità, e che poggia sulla elettrificazione, è molto vasta: dalle materie prime alla produzione di batterie e motori, fino al riciclo dei materiali, batterie incluse. Per non parlare della produzione e distribuzione dell’energia, con la realizzazione di una rete capillare di punti di ricarica. E poi dobbiamo considerare che in queste vetture il ricorso alla intelligenza artificiale sarà massiccio e non solo con la finalità della guida autonoma. Il processo di elettrificazione, insieme all’IA, comporterà anche un evidente cambio di paradigma della mobilità, dell’uso condiviso delle auto e con esso la necessità di nuovi servizi. Insomma, una completa e necessaria riconversione sociale che comporterà una riconversione industriale ricca di opportunità».
Nei giorni scorsi, la Commissione europea ha ricevuto il via libera dai governi (con qualche malumore) sull’introduzione dei dazi alle auto elettriche importate dalla Cina. Come valuta questa mossa?
«Ne prendiamo atto, ma ci dispiacciamo un po’. Mi auguro che i dazi non siano solo un alibi per perdere tempo sulla transizione. Negli anni Ottanta e Novanta si cercò di bloccare le auto giapponesi in Europa ma alla fine arrivarono lo stesso perché le tecnologie che impiegavano erano straordinarie. Oggi lo stesso accade con la Cina. Noi di Volvo abbiamo impianti in tutto il mondo e gli stabilimenti in Cina sono assolutamente i più all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e della competenza della forza lavoro impiegata. In ogni caso, la nostra strategia prevede che gli stabilimenti in Europa servano per produrre auto per l’Europa, quelli in Cina producano per il mercato cinese e idem per gli Stati Uniti».
C’è il rischio di ritorsioni da parte di Pechino?
«Quando si impongono dei dazi bisogna fare un calcolo a 360 gradi. Se i cinesi dovessero avere una reazione, e in parte stanno iniziando ad averla, sicuramente ci rimetteremmo noi europei. La Cina è il più grande mercato al mondo di auto. Quindi mettersi contro Pechino potrebbe non essere una grande idea dal punto di vista strategico. Come dice Draghi nel suo rapporto, l’Europa dovrebbe fermarsi, sedersi e discutere serenamente di cosa fare nei prossimi dieci anni, in vista del 2035».
Volvo è pronta per il passaggio all’elettrico?
«Noi siamo assolutamente allineati con gli obiettivi europei. Stiamo riducendo le emissioni di CO2 e rispetteremo tutti i target intermedi senza dover pagare alcuna multa. E tutto questo senza smettere di targare auto a motore endotermico».
Eppure avete posticipato di qualche anno la produzione di veicoli solo elettrici, inizialmente prevista per il 2030.
«Ci siamo resi conto che eravamo talmente avanti, che sarebbe stato sciocco privare dei modelli ibridi l’Italia, la Spagna, la Turchia e tutti quei Paesi che non sono tanto elettrificati. Ma anche con quel piccolo aggiustamento rispetteremo tutti gli obiettivi europei».
I dati sembrano mostrare che in Italia va forte l’usato, soprattutto con motore endotermico. Come si spiega?
«L’usato sta tornando molto forte perché il pubblico è smarrito. C’è molta curiosità per l’elettrico, ma poi i consumatori si pongono un sacco di interrogativi e i concessionari non sono sempre preparati al meglio per spiegare il salto generazionale che si compie passando da un’auto termica a un’auto elettrica. Allo stesso tempo, molti non si fidano neanche di comprare un’auto termica, che magari tra pochi anni sarà già superata. E quindi cosa si fa? Si compra l’usato».
Quali sono i mercati che vi danno più soddisfazioni per quanto riguarda le vendite di auto elettriche?
«Tralasciando la Norvegia, dove ormai si vendono solo quelle, direi i Paesi del Nord Europa. Lì c’è una sensibilità diversa verso la sostenibilità e c’è un rifiuto netto dell’inquinamento, qualsiasi esso sia. Ma le vendite vanno molto bene anche in Sud America. Magari non ce lo si aspetterebbe, ma in Brasile, Argentina e Cile abbiamo raggiunto un mix di elettrico che sfiora il 75%. In Europa stiamo andando bene, soffriamo un po’ di più nei mercati meridionali, compreso il nostro Paese. Va detto però che noi di Volvo a settembre abbiamo venduto il 30% di full electric, quando la media nazionale è del 4%».
In copertina: Lo stabilimento di Volvo a Ghent, in Belgio (EPA/Olivier Matthys)