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«Non pensavo fosse morto». Daniele Rezza, che ha confessato l’omicidio di Manuel Mastrapasqua: «Ha un malessere interiore»

daniele rezza manuel mastrapasqua rozzano
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Il padre e la madre: non sta bene ma non vuole farsi curare. L'avvocato pronto a chiedere una perizia

Manuel Mastrapasqua è stato accoltellato a morte nella notte tra giovedì 10 e venerdì 11 ottobre a Rozzano. Daniele Rezza, 19 anni, ha confessato il delitto. Sostenendo che l’altro ha reagito mentre lui stava cercando di rubargli delle cuffie per il telefono. Oggi il giudice delle indagini preliminari Domenico Santoro lo interrogherà. Il suo legale valuta la richiesta di perizie psichiatriche. Ai carabinieri Rezza ha detto che Mastrapasqua dopo l’aggressione «era rimasto in piedi e non ho visto sangue. Non pensavo di averlo ucciso». Il padre Maurizio Rezza ha detto che lui e la madre sapevano di un «malessere interiore» di Daniele. «Avevamo cercato di aiutarlo, fissando incontri con psicologi. Ma lui si è sempre rifiutato di andarci».

Chi è Daniele Rezza

Daniele Rezza, 19 anni, ha spiegato agli inquirenti che si è trattato di una rapina finita male. Mastrapasqua stava scambiandosi messaggi con la fidanzata che vive in Liguria. Rezza si è avvicinato e gli ha chiesto: «Mi dai qualcosa?». Poi gli ha strappato le cuffie da 14 euro. È nata così una colluttazione e il 19enne ha tirato fuori il coltello. Figlio unico, Rezza ha un passato di aggressioni alle spalle. Ha abbandonato la scuola a 15 anni, dopo il diploma di terza media. Era cliente degli spacciatori di Rozzano. Aveva avuto problemi di salute nell’adolescenza e aveva assunto farmaci quotidianamente. La madre è commessa in una catena di grandi magazzini. Il padre è cassiere in un supermercato in zona Loreto a Milano. E gli aveva trovato lavoro come cassiere ma a chiamata. A 17 anni aveva ricevuto una denuncia per il tentato furto di uno scooter.

Il coltello e la confessione

A 19 anni l’indagine per una rapina impropria di un portafogli sui Navigli. Aveva dato un pugno in faccia alla vittima. «Lo vedevamo sempre con cappellino o cappuccio in testa. Non parlava con nessuno, come se avesse altri pensieri», dicono i vicini. Alla pubblica ministera Letizia Mocciaro ha detto: «A Rozzano è pericoloso, sono uscito col coltello per proteggermi, mi devo difendere», ha detto per giustificare l’arma. «Ero nervoso, non era stata una bella giornata». La stessa notte si è disfatto del coltello e della sim. Ai genitori, mette a verbale, «l’ho confessato la mattina dopo». Poi, sabato, si è fatto portare dal padre «a prendere il treno per scappare, volevo andare all’estero».

Il padre

«Tante volte ci raccontava di essere coinvolto in risse o aggressioni», hanno detto i genitori a Repubblica. L’avvocato che assiste il 19enne è Maurizio Ferrari. Il padre Maurizio dice che il figlio quella sera gli ha raccontato di aver avuto degli scontri con alcuni stranieri. «Di solito quando ci diceva queste cose si metteva a ridere e dopo un attimo ci diceva che non era vero», aggiunge: «Pensavo che anche questa volta, quando mi ha detto di aver ucciso un ragazzo, non fosse in realtà successo niente». Il padre ha buttato le cuffie rubate dopo che il figlio glielo ha chiesto. I vestiti di quella notte sono stati lavati. E sul passaggio alla stazione che ha dato al figlio: «Mi ha detto che andava da un amico. Non pensavo volesse fuggire».

«Lo vedevamo in difficoltà»

Fino alla perquisizione i due sono rimasti convinti che il figlio bluffasse. «Quando ho sentito la notizia al telegiornale gli ho chiesto: “Hai saputo cos’è successo qui a Rozzano a quel ragazzo?”. “No”, mi ha risposto lui», ha sostenuto la madre. I genitori hanno riportato al legale del malessere del figlio: «Lo vedevamo in difficoltà, capivamo che non stava bene, ma non ne parlava molto con noi». Anche in carcere, a San Vittore, Daniele è apparso «sfuggente, poco comunicativo, con pensieri non sempre lineari», ha detto al quotidiano l’avvocato, che non esclude di poter chiedere in futuro una perizia per accertare eventuali patologie psichiche.

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