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Attacchi di Israele a Unifil, Tajani: «Non scapperemo dal Libano». Il contingente italiano trova ordigni esplosivi a due passi dalla base – Il video

14 Ottobre 2024 - 18:03 Simone Disegni
L'Unione europea si ricompatta dopo quattro giorni. La nota dei 27 fa perdere la pazienza a Josep Borrell

Una serie di ordigni esplosivi incendiari posizionati lungo la strada che conduce alla base operativa avanzata UNP 1-32A, nel sud del Libano, è stata individuata questa mattina da una pattuglia del contingente italiano di UNIFIL durante un movimento logistico. Un team di artificieri del contingente nazionale, intervenuto sul posto, ha messo in sicurezza l’area ma non ha potuto completare le operazioni di bonifica poiché, per cause ancora da accertare, uno degli ordigni si è innescato provocando un rogo nell’area circostante. Non si registrano danni a persone o mezzi. Gli attacchi di Israele alle basi Unifil nel sud del Libano? Quanto accaduto è «inaccettabile. I soldati italiani non si toccano». Lo ha ribadito oggi da Berlino il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, assicurando che ciononostante «non lasceremo le postazioni, anche perché è una decisione che spetta soltanto alle Nazioni unite. Noi non scappiamo dai luoghi dove ci sono delle difficoltà». Tajani ha anche allontanato con malcelato fastidio i sospetti lasciati filtrare da ambienti di governo israeliani che la missione Unifil sarebbe diventata un comodo scudo per la guerriglia di Hezbollah contro lo Stato ebraico. «I nostri soldati hanno sempre fatto il loro dovere, non sono terroristi di Hezbollah», ha tagliato corto. Ricordando infine come con le attuali regole d’ingaggio della missione, d’altra parte, non sarebbe pensabile che Unifil si occupasse di disarmare la milizia sciita.

La condanna (in ritardo) dell’Ue

Intanto anche l’Unione europea ha espresso «grave preoccupazione per la recente escalation lungo la Linea Blu, condanna tutti gli attacchi contro le missioni Onu ed esprime particolare preoccupazione per gli attacchi delle forze di difesa israeliane (Idf) contro le forze Unifil, che hanno causato il ferimento di diversi peacekeepers». Lo ha fatto con una dichiarazione diffusa nella tarda serata di ieri, dopo giorni di attacchi più o meno espliciti dell’esercito israeliano alle basi Onu nel sud del Libano. Attacchi che, si legge ancora nella nota, «costituiscono una grave violazione del diritto internazionale e sono totalmente inaccettabili» e che pertanto «devono cessare immediatamente». Una posizione questa che i Paesi più direttamente coinvolti – l’Italia di Meloni e Crosetto, ma pure la Francia e la Spagna, che ha al momento il comando della missione – avevano già preso con chiarezza fin dalle prime ore dopo il primo attacco al quartier generale di Naqura e a due postazioni nei pressi del confine. Eppure ci sono voluti altri quattro giorni, e altri quattro incidenti militari, perché l’Ue arrivasse a esprimere e far conoscere la sua posizione comune. «Ci è voluto troppo tempo per dire qualcosa più che evidente, ossia che è inaccettabile attaccare l’Unifil: avrei voluto che gli Stati membri raggiungessero un’intesa più velocemente», s’è lamentato apertamente stamattina l’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell. Doléances che Borrell avrà modo di esplicitare pure ai ministri degli Esteri dei 27 riuniti oggi a Lussemburgo per fare il punto sulla crisi.

Lo scontro tra i 27 e la partita politica

A tenere bloccata per giorni la dichiarazione comune, secondo i retroscena, sono stati in particolare i governi di Ungheria e Repubblica Ceca, che mantengono la posizione più vicina alle ragioni di Israele. Nel novero dei governi più comprensivi verso Tel Aviv, al momento di negoziare documenti comuni Ue, poteva essere inserito sino a poche settimane fa pure quello guidato da Giorgia Meloni. Ma i rifiuti insistiti del gabinetto di Netanyahu di agevolare un cessate il fuoco a Gaza prima, l’allargarsi del conflitto al Libano poi e infine gli attacchi alle basi Unifil dove sono di stanza oltre 1.000 soldati italiani sembrano aver cambiato almeno in parte lo scenario diplomatico. Anche se Meloni non intende al momento rompere i ponti di dialogo politico né con Israele né con due suoi alleati chiave europei come i leader di Ungheria e Repubblica Ceca, Viktor Orbán e Petr Fiala, «grimaldelli» strategici in vista dell’obiettivo principe della premier nei prossimi anni: quello di aprire anche a livello Ue una stagione politica sovranista. O per lo meno spingere il Ppe ad aprire le porte della maggioranza europea a destra, verso Ecr ed oltre, sganciandosi dall’abbraccio «innaturale» con Verdi e Socialisti.

La mediazione di Meloni e le richieste a Israele e Hezbollah

Anche per questo, oltre che per il suo ruolo di presidente di turno del G7, la premier italiana si è trovata nei giorni scorsi a mediare tra posizioni disomogenee sulla questione Israele-Hezbollah, sino ad arrivare alla nota congiunta, che nel chiedere a Israele «urgenti spiegazioni e un’indagine approfondita» sugli attacchi a Unifil, ed esprimere la sua preoccupazione per i raid Idf su «aree densamente popolate del Libano» (Beirut compresa), ricorda pure come il continuo lancio di razzi da parte di Hezbollah verso Israele «deve cessare» e quanto sia essenziale che «tutte le parti si impegnino e lavorino per la piena attuazione della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza». Quella che prevede, tra l’altro, che i miliziani sciiti sgomberino la zona meridionale del Libano e si assestino al di sopra del fiume Litani. Obiettivo mai davvero conseguito dal 2006, nonostante il dispiegamento anche a questo scopo dalla missione Onu finita negli ultimi giorni nel mirino – non solo diplomatico – di Israele.

Immagine di copertina: L’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell in un recente intervento al Parlamento europeo – Strasburgo, 7 ottobre 2024 (EPA/CHRISTOPHE PETIT TESSON)

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