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Così i giudici possono cancellare i centri per migranti in Albania del governo Meloni

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La nave Libra in arrivo a Gjader. 10 cittadini del Bangladesh e sei egiziani a bordo. La traversata costerà 250 mila euro, 18 mila ciascuno. Ma i tribunali potrebbero fermarla. Ecco perché

La prima nave della Marina che porterà i migranti in Albania dovrebbe arrivare oggi. Le persone che si trovano a bordo saranno trasferiti nelle strutture a Shengjin e Gjader. Ma intanto in Italia si gioca un’altra partita. Decisiva. Un tribunale dovrà decidere se quei trattenimenti sono legali. E potrebbe far crollare l’intero impianto su cui è costruita a legge. E l’operazione del governo Meloni. Sopra la Libra infatti sono presenti in 16: 10 cittadini del Bangladesh e 6 egiziani. Avevano lasciato su barconi le coste libiche di Sabatra e Zuara. La traversata, calcola oggi Repubblica, arriverà a costare tra i 250 e i 290 mila euro. Ovvero circa 18 mila euro a migrante. Per un’operazione che peserà per circa un miliardo sulle casse dello Stato. Il loro fermo dovrà essere convalidato entro 48 ore dai giudici della sezione immigrazione di Roma.

I migranti e l’Albania

Proprio sul ponte della Libra è avvenuto il primo screening dei naufraghi salvati dalle motovedette italiane. Donne e bambini, minori non accompagnati, naufraghi provenienti da paesi non sicuri sono stati trasferiti di nuovo nelle motovedette e portati a Lampedusa. Sulla nave della Marina italiana sono invece rimasti i sedici uomini, adulti e non appartenenti a categorie di vulnerabili. La Farnesina considera i loro paesi di origine come sicuri. Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha già fatto sapere che il governo è pronto a impugnare eventuali sentenze contrarie e a portarle davanti al giudizio «delle massime giurisdizioni del nostro paese». Il rischio più concreto però è che quello che auspica il responsabile del Viminale accada comunque e in maniera indipendente dalla sua volontà. E, soprattutto, che possa essere deflagrante per l’esecutivo.

Paesi sicuri e non sicuri

Egitto e Bangladesh, infatti, sono tra le destinazioni stigmatizzate dalla Corte europea di Giustizia. In una sentenza che risale al 4 ottobre scorso i giudici hanno ricordato il criterio per considerare un paese «sicuro». Deve esserlo in ogni zona del suo territorio. E per ciascuna categoria di persona. Il paese considerato sicuro infatti non deve mettere in alcun modo in atto «persecuzione, tortura o altri trattamenti inumani». Tra i paesi che non soddisfano questo criterio ci sono proprio Tunisia, Bangladesh ed Egitto. A questo si aggiunge che il decreto Piantedosi è già al vaglio della Corte Costituzionale.
Come spiega oggi La Stampa, il dl violerebbe alcuni principi come quello di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione nella norma che prevede il fermo di 20 giorni in caso di violazione e la confisca per la reiterazione.

Tunisia, Egitto e Bangladesh

Viene inoltre contestato il principio di determinatezza e che l’accertamento della condotta illecita delle ong venga rimessa alle valutazioni delle autorità di uno Stato terzo, nel caso specifico la Libia. Le norme sarebbero in contrasto con gli obblighi di soccorso previsti dall’ordinamento italiano (violazione degli articoli 10 e 117 della Costituzione). Dalla sua entrata in vigore il dl Piantedosi ha comportato 557 giorni di fermo per le navi delle ong. Il quotidiano ricorda che da più di un anno, dopo i primi contestati casi dei giudici Apostolico e Cupri, i tribunali italiani hanno contestato, rimettendo in libertà i migranti, le cosiddette procedure accelerate di frontiera che prevedono un trattamento differenziato per i migranti provenienti da paesi sicuri.

La sentenza della Corte Europea

L’impianto del decreto Piantedosi è quello su cui si fonda gran parte delle procedure per l’Albania. Per questo una decisione negativa sul primo si ripercuoterebbe sulle altre. A tutto questo si aggiunge la sentenza della Corte europea. I giudici sostengono che per essere considerato sicuro un paese debba esserlo in modo generale ed uniforme. Cioè in tutto il suo territorio e per ogni categoria di persona. E stigmatizzano proprio la definizione per paesi come Tunisia, Egitto e Bangladesh. Ovvero i paesi di origine di molti dei migranti che arrivano in Italia.

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