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Il Freak Show di Naska: «Così ho riesumato il punk quando lo davano per morto» – L’intervista

15 Ottobre 2024 - 12:41 Gabriele Fazio
«La mia musica - spiega a Open - va a toccare quella parte della mia generazione che non si ritrova nella musica che va adesso»

«Vaffanculo, io ascolto questo genere di musica qui!». Questa presa di posizione rischia di rappresentare più di ogni altra cosa la differenza nella vita e nella carriera di Diego Caterbetti, 27 anni, in arte Naska, uno degli artisti più in crescita della scena pop italiana. In realtà il genere a cui fa riferimento l’artista marchigiano è il pop punk: per le reference, tornare indietro di venti/trent’anni a band come i Blink-182, gli Offspring, i Green Day. Naska è riuscito in una traduzione non solo precisa e inedita ma anche altamente digeribile per il mercato italiano, che da sempre finisce per divorare tutto con un velo di melodia. «Il mio merito è averlo riportato – dice a Open – quando tutti lo davano per morto e a quanto pare sta avendo fortuna». The Freak Show, suo nuovo disco, sta già riscuotendo ampi consensi da pubblico e critica, anche se poi il genere si manifesta dal vivo: e per quello bisognerà attendere il 7 dicembre all’Unipol Forum di Milano. L’impressione, ascoltando i nuovi brani è che oltre che ben fatti siano in qualche modo necessari, vadano a coprire un target che prima di lui in Italia non aveva un vero e proprio rappresentante. «La mia musica – spiega infatti – va a toccare quella parte della mia generazione che non si ritrova nella musica che va adesso. Prende quella generazione che come me è un pò più presa a male, un pò diversa».

Quella volta che firmò per una major

Un progetto che non poteva che provenire dal sottobosco indie, da quel non luogo musicale che circa dieci anni fa si è reso protagonista della rivoluzione del cantautorato italiano, oggi più che altro si propone come zona di sperimentazione per un nuovo concetto di pop. Concetto che Naska, con le sue venature maleducate da punk, interpreta alla perfezione. «L’unica volta che è successo che dietro al mio progetto ci fosse una major – racconta ancora – ero appena arrivato a Milano. Avevo firmato con un’etichetta e io avevo già il mio progetto in mente: punk rock con chitarre e batteria, appena dopo aver firmato mi sono trovato davanti a dei no categorici. Ho preso e sono uscito, ho stralciato il contratto e sono andato via, sono tornato subito indipendente e grazie a Twitch mi sono autofinanziato la musica»

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