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Crisi dell’auto elettrica, la leader dei produttori europei: «C’è bisogno di più flessibilità. Una sola tecnologia limita le nostre opzioni»

16 Ottobre 2024 - 18:09 Gianluca Brambilla
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Sigrid de Vries, direttrice di Acea, la sigla che raduna i produttori europei di automobili, a Open: «Abbiamo bisogno di più incentivi all'acquisto o di altre misure di stimolo del mercato»

L’industria europea dell’automobile si trova nel bel mezzo di un passaggio epocale. La transizione dal motore endotermico ai veicoli a batteria costringe le aziende del settore a rimodulare la propria strategia industriale, la progettazione dei prodotti e, non da ultimo, tutta la catena di fornitura. C’è da fare i conti però con la crisi climatica. E così anche i trasporti, che in Europa sono responsabili di una fetta tutt’altro che trascurabile delle emissioni di anidride carbonica, sono chiamati a fare la propria parte. L’obiettivo è stato fissato: smettere di produrre nuove auto a benzina e diesel a partire dal 2035, così da poter arrivare alle zero emissioni nette entro metà secolo. C’è solo un problema: a differenza di quanto avviene con le rinnovabili (o con altre tecnologie verdi), le auto elettriche faticano a sfondare. «Contro ogni aspettativa, quest’anno vedremo un calo nelle vendite di veicoli elettrici. Serve più flessibilità nelle regole europee», spiega in questa intervista Sigrid de Vries, direttrice generale di Acea, la sigla che raduna le principali case automobilistiche europee. Open l’ha incontrata all’Università Bocconi di Milano, a margine di una conferenza sul futuro dell’automotive europeo, organizzata in collaborazione con i think tank Ecco e Agora Verkerswende.

A settembre avete lanciato un appello alla Commissione europea in cui chiedete «azioni urgenti» per aiutare il settore nel passaggio dal motore endotermico all’elettrico. Quali sono le vostre richieste?

«Noi chiediamo alle istituzioni di supportarci in questa trasformazione verso le emissioni zero. I produttori di automobili vogliono che funzioni, ma vedono anche che le cose non stanno andando nella giusta direzione. Contro ogni aspettativa, ciò a cui assistiamo quest’anno è un rallentamento delle vendite di veicoli elettrici, proprio in un momento in cui avremmo bisogno di una forte accelerazione. Gli early adopters di questa nuova tecnologia, ossia le persone che vogliono guidare l’elettrico e che possono permetterselo, hanno già fatto il passaggio. Ora dobbiamo rivolgerci a un gruppo molto più ampio di persone».

Dove sta il collo di bottiglia? Nella domanda di auto elettriche o nell’offerta delle aziende?

«I produttori hanno fatto il loro lavoro. Hanno progettato e stanno producendo veicoli elettrici, ma la domanda del mercato è in ritardo. E questo significa che l’anno prossimo, nel 2025, i produttori dovranno pagare multe sproporzionate per non aver rispettato gli obiettivi europei sulle emissioni. In questo momento di difficoltà preferirebbero usare tutti i fondi che hanno per investire nell’elettrificazione, non per pagare multe. Se non c’è mercato, non c’è modo di raggiungere quegli obiettivi. O le case automobilistiche riducono i prezzi, intaccando i ricavi in modo non sostenibile. Oppure devono produrre meno veicoli, il che significa perdere quote di mercato. Per questo abbiamo chiesto ai vertici europei di anticipare dal 2026 al 2025 la revisione del regolamento».

L’anticipo della revisione del regolamento europeo è una grande battaglia del governo italiano in Europa. Avrà successo?

«L’Italia dimostra di aver capito che c’è un problema reale e che va affrontato. Penso che sia davvero utile che Paesi come il vostro prendano iniziativa e cerchino di formare una coalizione in Europa. L’industria automobilistica è essenziale, quindi confrontiamoci sulle soluzioni e troviamo la ricetta giusta per andare avanti. Solo anticipando la revisione del regolamento possiamo affrontare alcuni difetti fondamentali di questa legge».

Quali sono questi difetti?

«Il provvedimento fissa obiettivi sulle vendite dei veicoli, ma quello che stiamo affrontando non è solo un passaggio da una tecnologia a un’altra. È qualcosa che richiede a tutta la società e a tutta la mobilità di cambiare radicalmente. Questo per i produttori di veicoli significa cambiare la strategia industriale, la catena di fornitura, il modo in cui progettano i veicoli, i materiali che devono procurarsi, l’elettricità che consumano. Per non parlare delle infrastrutture di ricarica, che non si stanno sviluppando al ritmo richiesto per supportare l’adozione del mercato».

Come se ne esce?

«Abbiamo bisogno di più incentivi all’acquisto o di altre misure di stimolo del mercato, così da spingere le persone ad abbracciare questa trasformazione. Dobbiamo guardare a un tipo diverso di cliente: non più quello impaziente e ricco, ma tutti quanti. Noi crediamo nel regolamento europeo, ma per come è impostato ora non ci sono le condizioni per raggiungere gli obiettivi. È a questo che serve anticipare la revisione della regole: imparare da ciò che è accaduto negli ultimi anni e magari anche da cosa si sta facendo in altre parti del mondo».

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Sigrid de Vries, direttrice generale di Acea (EPA/Stephanie Lecocq)

Come si può rendere l’auto elettrica davvero mainstream?

«Innanzitutto sostenendo con fiducia questa transizione. E poi accettando un maggiore utilizzo di una tecnologia ibrida, che consenta alle persone di abituarsi alla guida elettrica, ma senza preoccuparsi di batterie e tempi di ricarica. Questo renderebbe la transizione più facile per alcune persone. Io vengo dai Paesi Bassi, che è un Paese piccolo, molto pianeggiante e all’avanguardia per il mercato delle auto elettriche. Ma mi rendo conto che l’elettrificazione è più difficile in Paesi come l’Italia». 

L’obiettivo del 2035, data in cui scatta il divieto di produrre nuove auto a benzina e diesel, è ancora raggiungibile?

«La nostra destinazione deve rimanere sempre la stessa: raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi e la decarbonizzazione dei trasporti. Penso che sia un’illusione pensare che questo possa essere fatto con una sola tecnologia, perché limita le nostre opzioni. La tecnologia principale, soprattutto per le autovetture, sarà sicuramente quella dei veicoli elettrici a batteria. Ma potremmo dover considerare anche altre opzioni, per esempio i carburanti a zero emissioni di carbonio. Abbiamo bisogno di più flessibilità, ma il punto non è cambiare i target europei o invertire la rotta. La vera discussione è su come far funzionare davvero questa transizione».

Ieri la premier Giorgia Meloni ha detto che l’Ue ha sbagliato a puntare tutto sull’elettrico. È d’accordo?

«Sì, noi di Acea abbiamo sempre detto che vogliamo raggiungere gli obiettivi di emissioni in ​​modo neutrale dal punto di vista tecnologico. Non abbiamo modo di sapere come sarà esattamente il mondo tra cinque o dieci anni. Perciò non è mai una scelta intelligente limitare le proprie opzioni. I carburanti a zero emissioni devono essere parte di questo passaggio, soprattutto per i veicoli che già circolano sulle strade, perché anche loro vanno decarbonizzati».

Pensa che siano stati fatti errori da questo punto di vista?

«In Europa abbiamo gli obiettivi più severi di riduzione delle emissioni e anche l’interpretazione più severa su come arrivarci. Però voglio essere chiara: quando qualcuno fa discorsi del genere, spesso si crede che l’industria non voglia fare questa trasformazione. Posso assicurare che non è così: le aziende produttrici hanno investito e vogliono andare avanti in questa direzione. Possiamo creare più flessibilità senza per forza rinunciare alle nostre ambizioni».

Michele Crisci, ceo di Volvo Italia, ci ha detto che secondo lui il passaggio ai veicoli elettrici è l’unico modo di salvare posti di lavoro nell’industria Ue. Altre aziende sostengono l’esatto contrario. Chi ha ragione?

«È una domanda con cui mi confronto spesso. In Europa l’industria automobilistica è fondamentale per l’economia, e quindi anche per i posti di lavoro. Non è un caso che anche la Cina e gli Stati Uniti stiano facendo così tanti sforzi per rafforzare la propria industria automobilistica. Si rendono conto anche loro che è fondamentale per l’economia e anche per questo è necessario bilanciare i compromessi tra ambiente, posti di lavoro ed economia nel suo complesso».

Eppure, le case automobilistiche europee sembrano muoversi in ordine sparso su questo tema…

«Non commento mai la strategia aziendale di un singolo marchio, ma penso che abbiamo bisogno di tutte le soluzioni, la capacità innovativa e la creatività dei nostri produttori. In fin dei conti, hanno molto più in comune di ciò che li divide. Spesso veniamo messi l’uno contro l’altro, come se il mondo fosse bianco o nero, ma spero che potremo tornare a guardare a questa sfida con una prospettiva di unità». 

Passiamo a un altro tema delicato: la concorrenza della Cina. L’espansione delle attività delle case automobilistiche di Pechino in Europa è un pericolo o un’opportunità?

«È un po’ entrambe le cose. La competizione, quando è sana, spinge all’innovazione e alla riduzione dei costi, il che alla fine è positivo anche per i consumatori. Nel caso dell’elettrificazione e della produzione di batterie, abbiamo bisogno di lavorare insieme e avere accesso a mercati come la Cina, anche perché sono loro ad avere le materie prime e la capacità di raffinazione. L’Europa dovrebbe essere un ottimo posto in cui investire. Ciò di cui dovremmo preoccuparci è che ci sia anche valore aggiunto, ossia posti di lavoro creati. Una cosa è spostare la produzione industriale in Europa, un’altra è fare solo assemblaggio. Dobbiamo trovare il giusto equilibrio».

La decisione dell’Ue di alzare i dazi sulle auto elettriche importate dalla Cina può danneggiare questa collaborazione?

«Dipende dalla prospettiva che si adotta. Persino all’interno di Acea non abbiamo una visione univoca sul fatto che i dazi siano una soluzione giusta o sbagliata. Ciò che posso dire è che sono un solo elemento di una cassetta degli attrezzi molto più ampia. E questa cassetta degli attrezzi deve essere implementata per rendere l’Europa più competitiva. Le regole del commercio devono essere rispettate, su questo non ci piove. Ma ci sono una serie di rischi che possono derivare da una misura così severa».

La crisi dell’automotive è particolarmente sentita in Italia, dove il numero di auto prodotte continua a diminuire. Fa bene il governo a cercare di portare nel Paese produttori esteri, cinesi compresi?

«Attrarre investimenti è sempre la strategia giusta, perché significa che offri un ambiente competitivo ed è ciò di cui le aziende hanno bisogno. Questo ovviamente dipende dal costo del lavoro, dell’elettricità, ma anche dagli oneri amministrativi. Il punto, anche qui, è essere competitivi, sia nei confronti degli altri Paesi europei sia nell’arena globale. Quindi credo che rendere l’Italia un luogo attraente in cui investire sia il modo migliore per garantire un’industria sostenibile e creare posti di lavoro. Non è facile, ma è la strada giusta».

Foto di copertina: Dreamstime/Tudor Vintiloiu

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