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Meloni riunisce gli “ammiratori” europei del modello Albania. La Germania è contraria agli hub per i rimpatri, Parigi ci pensa e l’Olanda guarda all’Uganda

17 Ottobre 2024 - 15:13 Alessandra Mancini
Alla riunione ristretta prima del Consiglio europeo era presente anche la premier socialista danese.

C’è una foto che ritrae i leader europei di destra e due socialisti durante una riunione ristretta prima del Consiglio europeo. Insieme a Giorgia Meloni e Ursula Von Der Leyen ci sono i capi di Olanda, Danimarca (co-organizzatori dell’incontro), Polonia, Grecia, Austria, Cipro, Ungheria, Slovacchia, Malta e Repubblica Ceca. Sono quelli a cui piace il protocollo siglato tra Italia-Albania, che approvano i cosiddetti return hubs, gli hub per i rimpatri nei Paesi extra-Ue, e che vogliono una linea (ancora) più dura sull’immigrazione. Nel corso del vertice, la presidente del Consiglio italiana ha presentato l’intesa firmata con il premier albanese Edi Rama, all’indomani dell’arrivo dei primi 16 migranti nel porto di Shengjin e del rientro dei 4 (due minori, due vulnerabili) in Italia, sottolineandone «il ruolo nell’azione di contrasto ai trafficanti di esseri umani». La discussione, spiegano da Palazzo Chigi, si è concentrata sul «concetto di Paese sicuro, sulla collaborazione lungo le rotte migratorie con Unhcr e Iom in tema di rimpatri volontari assistiti, nonché dei return hubs». Si è parlato dunque, a detta di Meloni, di «soluzioni innovative» per il contrasto dei flussi migratori irregolari, scrive su X.

Gli “ammiratori” del modello Meloni

ANSA/ FILIPPO ATTILI – UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI – Riunione dei leader di destra europei

Tra i leader conservatori c’è un consenso quasi generale attorno al modello Meloni, nonostante le preoccupazioni delle organizzazioni umanitarie che si occupano di immigrazione. La stessa presidente della Commissione europea, alla vigilia del summit, ha chiesto agli Stati membri di «valutare» il modello degli hub di rimpatrio nei Paesi terzi, dove processare le richieste d’asilo dei rifugiati. Suggerimento, questo, preso alla lettera dall’Olanda che «sta valutando» di replicare la stessa misura, ma in Uganda. Lo ha detto il premier olandese, Dick Schoof, al suo arrivo al vertice Ue. Dello stesso parere il leader ceco, Petr Fiala, secondo il quale «l’Ue è rimasta a metà strada nell’affrontare l’immigrazione illegale. Ecco perché – scrive su X – stiamo proponendo misure più coerenti» come la creazione di centri di asilo al di fuori dell’Europa. Vienna definisce la strategia di Roma «innovativa»; Viktor Orbán, come da prassi, si congratula con Meloni. Mentre per la premier socialista danese, Mette Frederiksen, che starebbe pensando al Kosovo per ospitare i migranti, l’Europa ha «urgentemente bisogno di rafforzare le frontiere esterne e di rimpatriare le persone che non hanno alcun diritto di stare in Ue». Perciò sono necessarie «nuove soluzioni» nella gestione del fenomeno migratorio. 

Non tutti sono “ammiratori” del modello Meloni. La Germania, che a fine agosto, dopo l’attentato di Solingen, ha adottato restrizioni in materia di rimpatrio, non ha preso parte alla riunione di oggi. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, al suo arrivo al Consiglio europeo, rispondendo a una domanda sui centri di rimpatrio dei migranti e sul modello Italia-Albania ha precisato che «non sono la soluzione» per Berlino. «L’Ue ha bisogno di espulsioni conformi al diritto europeo». E se da una parte il governo progressista di Madrid ha già espresso tutta la sua contrarietà sulle soluzioni proposte da Roma, dall’altra Parigi pensa di trasferire i richiedenti asilo altrove. «C’è la volontà che la Francia possa firmare accordi simili a quello fra Italia e Albania: la pista è allo studio al ministero dell’Interno», ha detto, in un’intervista la portavoce del governo, Maud Bregeon. Seguire l’esempio italiano è, dunque, «la volontà» del ministro Bruno Retailleau, già noto per la sua linea dura sull’immigrazione. Ma non del presidente Macron che ha negato l’esistenza di un “modello Albania”. Al momento, però, l’accordo col Paese della penisola balcanica – almeno a normativa vigente – non sarebbe replicabile dall’Unione. Lo ha riconosciuto la stessa Commissione. E potrebbe anche non reggere, come scrive David Carretta su Il Foglio, a un ricorso davanti alla Corte di giustizia dell’Ue.

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