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Alessandro Barbero spiega perché lascia l’università: «Il nostro lavoro sempre più gravoso»

17 Ottobre 2024 - 07:50 Alba Romano
alessandro barbero green pass
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Il professore di storia medievale va in pensione: ho 65 anni, comincio a vedere i lati negativi del presente

Il professor Alessandro Barbero va in pensione. E sta per lasciare Vercelli, dove è arrivato nell’anno di fondazione dell’università del Piemonte Orientale come professore di storia del medioevo nel 1998. E oggi in un’intervista a La Stampa spiega che lascia perché «mi sono accorto che il lavoro di docente è diventato inutilmente più gravoso. La burocratizzazione del nostro mestiere, il tempo passato a svolgere attività che un amministrativo farebbe molto meglio, la pretesa di trasformare studiosi e ricercatori in capi ufficio ha reso stressante un lavoro bellissimo». Nel colloquio con Francesca Rivano aggiunge che però «magari sono io che, a 65 anni, tendo a vedere gli aspetti negativi piuttosto che i lati positivi del presente».

Barbero e Vercelli

Barbero ricorda che è arrivato a Vercelli per scelta: «Le grandi università offrono maggiori opportunità per chi voglia spendersi a livello organizzativo, curare progetti e cercare finanziamenti e agli studenti garantiscono un ventaglio di corsi maggiori. A me, però, interessa fare ricerca e insegnare. E un ateneo di medie dimensioni è decisamente la situazione ottimale. Sfianca meno per la quantità di esami da fare e di tesi da seguire e consente un rapporto più diretto con i ragazzi». Secondo lui «la qualità dei giovani, negli anni, non è cambiata. La quantità di teste, di gente appassionata è sempre la stessa. Certo, ogni generazione ha caratteristiche sue: oggi i ragazzi sono forse più fragili, più spaventati dall’incertezza del futuro e timorosi rispetto al passato».

Un grande maestro

Poi confessa «di non essere un grande maestro: lascio molta libertà agli studenti, cosa che ritengo positiva, ma non inseguo chi viene a chiedermi la tesi e poi, per qualche motivo, si perde lungo il tragitto». Infine, risponde a chi sostiene che le giovani (e piccole) università siano nocive per la qualità del sistema formativo: «Qualche anno fa, una ricerca nazionale classificò l’Università del Piemonte Orientale al secondo posto per il numero di studenti primi laureati della loro famiglia. Al primo posto c’era l’Università della Calabria. A me è sembrata una cosa bellissima, di cui sono enormemente orgoglioso, ed è la dimostrazione che certi atenei possano fare la differenza per il loro territorio, offrendo la possibilità di laurearsi a giovani che altrimenti farebbero maggior fatica a proseguire gli studi».

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