Manovra, non solo banche: dei 3,5 miliardi previsti, una parte arriva da slot e giochi. Cangianelli (Egp): «Basta proroghe delle concessioni, servono nuove regole per fermare l’illegalità online»
È la cifra più citata in questi giorni di Manovra: 3,5 miliardi di euro da banche e assicurazioni, lo 0,168% del Pil. In realtà, una parte di quel tesoretto che il governo punta a incassare e a dirottare sulla sanità deriva anche dalle «concessioni sui giochi». La dicitura è inserita nelle pieghe del Documento programmatico di Bilancio. Il presidente di Egp-Fipe – associazione di categoria del settore del gioco pubblico – stima in circa 400 milioni in contributo che arriverà dal comparto. A Open, Emmanuele Cangianelli spiega: «Le risorse dei giochi che finiscono in Manovra sono composte essenzialmente da due contenuti. Uno è la forzosa ed ennesima proroga delle concessioni per bingo, slot e scommesse, l’altro è la stabilizzazione della quarta estrazione del lotto, del superenalotto e dei giochi correlati». Dalle concessioni, scadute da tempo ma prorogate in assenza – e in speranza – di una nuova regolamentazione, arriverebbero circa 250, 300 milioni nelle casse dello Stato. Dalla quarta estrazione supplementare, invece, 100 milioni approssimativi.
Il conflitto tra regole nazionali e regionali
Non sono questi numeri a preoccupare la categoria, anche se il costo delle concessioni a carico degli esercenti è aumentato: «Non è piacevole, visto che gli apparecchi da gioco – le slot – hanno perso quote di mercato in favore dell’online, quindi si paga di più per qualcosa che vale di meno». Bingo e scommesse restano stabili. Tuttavia, è la disomogeneità della normativa, per cui da tempo è stata chiesta una revisione, a fermare gli investimenti. Si parla di un settore che occupa 70 mila lavoratori dipendenti e altrettanti impiegati con altre formule, che genera un gettito erariale da 11 miliardi di euro annui attraverso 5 mila sale per giochi pubblici – bingo, centri scommesse e slot – e 35 mila pubblici esercizi che, come attività secondaria, propongono apparecchi da intrattenimento e raccolta scommesse. Al quadro di regole nazionali sulle concessioni, infatti, si sono aggiunte le leggi regionali e le ordinanze dei Comuni che, non avendo voce sul gettito, si sono potute interessare quasi esclusivamente degli aspetti relativi alla salute.
Il monito dell’Europa contro le proroghe
A mo’ di esempio: il “distanziometro” dai luoghi sensibili come scuole e ospedali varia da territorio a territorio, così come i limiti orari sulle aperture delle sale. La normativa, oggi, si presenta a macchia di leopardo. «Questo doppio binario normativo non ha scalfito il tema delle patologie del gioco, ma ha solo ingessato il mercato», afferma Cangianelli. «Aspettiamo da anni un aggiornamento chiaro delle regole cosicché gli stessi esercenti possano investire per il contrasto alla ludopatia. Oggi esistono strumenti tecnologici che possono essere molto più utili alla causa rispetto alla distanza, imposta con disposizione degli enti locali, tra una sala giochi e un cimitero». E poi c’è l’Europa, che continua a bacchettare l’Italia per il vezzo di prorogare le concessioni dei giochi: questo governo aveva prorogato già fino a dicembre 2024 le licenze di bingo, centri scommesse e sale slot. Con l’ultima Manovra, i termini dovrebbero essere prorogati di ulteriori due anni, fino al 2026.
Le ultime gare fatte
L’auspicio degli operatori del settore è che, in questo biennio, si trovi un accordo tra Stato e Regioni sulle regole di assegnazione dei nuovi bandi e che, l’anno successivo, si celebrino le gare. Così da partire, nel 2027, nell’alveo di un nuovo schema normativo. «Le ultime gare? Il bingo è fuori scala, sono state fatte solo una volta e ormai 20 anni fa», sorride il presidente di Egp-Fipe. «Le scadenze iniziali delle concessioni per il bingo erano fissate al 2014, quelle per le scommesse sono scadute nel 2016 e quelle per gli apparecchi di giochi nel 2022. Gli imprenditori di un comparto che va avanti di proroga in proroga non possono fare progettualità». Immediatamente, il pensiero va ai balneari che, invece, desiderano le proroghe delle proprie concessioni. «Noi no. Noi vorremmo poter accedere a nuove gare con delle regole chiare e omogenee su tutto il territorio nazionale».
Difficile investire prima di vincere i nuovi bandi
Per Cangianelli, il tema della perdita delle licenze per gli esercenti, con i nuovi bandi, non si pone. «Dopo 20 anni il mercato è abbastanza consolidato. Si sono affermati dei concessionari ormai grandi che hanno dei partner sui singoli territori. La concentrazione in organizzazione più solide è stata necessaria in un settore così stressato fiscalmente». Il mercato, riassume il presidente, «è ingessato tra leggi nazionali e ordinanze locali, così non si può investire nemmeno per la salute dei giocatori». E qui si apre il capitolo della transizione digitale, nella quale gli imprenditori vedono molti benefici. C’è la questione della sicurezza degli esercenti, «meno contante gira nelle sale meno rischi ci sono», e quella della sicurezza per il pubblico, «visto che il gioco digitale, se legale, agevola le operazioni di controllo». Ma Cangianelli non sottovaluta i benefici per i giocatori: «Faccio un esempio. Investimenti tecnologici consentirebbero di introdurre sistemi per avvisare gli utenti quando hanno giocato troppo. Un po’ come i social sul cellulare, che dopo un po’ di tempo passato sull’app ti invitano a fare una pausa».
La transizione digitale e il problema della ludopatia
Per questo, più dell’onere economico delle proroghe forzose, il settore si sente danneggiato dall’indeterminatezza normativa. «È urgente fare nuove concessioni perché bisogna ripartire con nuove regole organizzative e nuovi strumenti tecnologici a vantaggio dei giocatori e per fermare l’illegalità online». Il presidente ritiene che il digitale, di per sé, non aumenti il rischio di ludopatia. «Il limite nel consumo dipende dalla responsabilità individuale. Al di là delle discussioni politiche e degli slogan, nel nostro Paese, costituzionalmente, non si può limitare la libertà di consumo di una persona, a meno che non lo faccia un provvedimento del giudice». L’associazione punta piuttosto sull’importanza di promuovere l’autocontrollo tra i giocatori. «Nel gioco online esiste già un registro di autoesclusione, che però non è abbastanza pubblicizzato». Cangianelli vorrebbe l’introduzione del registro anche per il gioco fisico nelle sale, dove già esiste un controllo degli accessi. «Magari attraverso un sistema simile al green pass, con un codice qr, i giocatori che vogliono autoescludersi potrebbero farlo e, una volta disabilitati, non potrebbero più accedere alle sale per un periodo determinato o indeterminato. Questo miglioramento potrebbe essere un passo significativo nella lotta contro la ludopatia». Attualmente, il registro di autoesclusione è disponibile sul sito delle Dogane e dei Monopoli, ma è limitato ai siti online con concessione e accesso nominativo.
L’accesso – illegale – dei giovani al gioco
«Sono anche genitore di due tardo-adolescenti e ho sentito storie di minori che sono riusciti a giocare anche senza avere l’età, soprattutto nel settore delle scommesse», ammette Cangianelli. «Penso che sia fondamentale mantenere una netta distinzione tra il gioco legale e quello illegale, con standard tecnologici molto alti nel settore legale. Dai dati forniti dalle forze dell’ordine, basati su decine di migliaia di controlli fisici nei punti vendita, i casi di gioco minorile sono risultati numericamente molto bassi. Il problema si concentra soprattutto nel settore illegale e nel gioco online, dove basta l’accesso di un maggiorenne e una carta di debito per aggirare le restrizioni. In alcuni paesi esteri, gli operatori di slot machine utilizzano sistemi di categorizzazione digitale che, analizzando le abitudini di gioco, riescono a capire se l’utente è maggiorenne oppure no». Le ultime stime del Cnr dicono che sono 1,3 milioni gli studenti tra i 15 e i 19 anni ad aver giocato d’azzardo. Fra questi, quasi 800 mila sono minorenni, mentre sono 120 mila gli studenti ritenuti «con un profilo problematico», di cui la metà circa, 63 mila, non ha compiuto ancora 18 anni.
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