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Sotto le bombe in Ucraina per diventare genitore: la storia di Fulvio che con la nuova legge sulla Gpa (oltre al carcere) rischia di perdere il lavoro

18 Ottobre 2024 - 15:12 Felice Florio
A maggio, a Kiev, partorirà la donna che sta portando avanti la maternità surrogata per lui (dipendente pubblico) e sua moglie. La coppia aveva perso un figlio per una complicazione durante il parto: «Il nostro bambino è morto tra le mie braccia, chi sono questi politici per accusarci di egoismo?»

La gestazione per altri è reato universale in Italia. Ma sono ancora tutte da tarare le implicazioni che la nuova legge avrà nelle vite di padri e madri che vi hanno fatto ricorso. Un effetto, tuttavia, c’è già: «I cittadini italiani che hanno avviato il percorso nelle cliniche di Stati esteri dove la pratica è consentita sono nel panico». Stanno iniziando ad arrivare le richieste di interruzione di gravidanza. «Volevano fare una legge, hanno dato il via a una mattanza». Fulvio è in contatto con diverse persone che hanno scelto la surrogazione di maternità. A differenza di molte di loro, il trentanovenne romano ha deciso di proseguire, nonostante l’inasprimento della norma. A maggio, ci sarà un bambino a Kiev ad aspettarlo. Lo andranno a prendere lui, sua moglie e la loro prima figlia, Gioia, di cinque anni. «Lo dico chiaramente ai politici: è colpa vostra se mi licenzieranno o se finirò in carcere. Però, preferisco essere condannato io che condannare mia moglie a un’infelicità eterna, a toglierle il sorriso».

Fulvio, perché lei e sua moglie avete scelto di ricorrere alla maternità surrogata?

«Tutto è iniziato due anni fa, quando io e mia moglie abbiamo deciso di dare un fratellino a nostra figlia Gioia, che allora aveva tre anni. La gravidanza sembrava perfetta, ma alla fine dei nove mesi, il giorno prima del parto, mia moglie si è sentita male. Provava delle contrazioni all’addome. Abbiamo chiamato l’ambulanza, che è arrivata dopo due ore. All’ospedale San Pietro ci hanno detto che il bambino, Marco, non aveva più battito. È nato con un cesareo d’emergenza, sofferente e con gravi problemi di ossigenazione e probabili lesioni cerebrali. Nel frattempo, mia moglie era in condizioni disperate, intubata e con emorragie interne. Hanno fatto di tutto per salvarla. Intanto Marco era stato trasportato all’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Ho passato dieci giorni tra due ospedali».

E dopo?

«Purtroppo Marco aveva una disfunzione multiorgano. I medici, dopo alcuni esami, mi hanno detto che il bambino non reagiva ad alcun stimolo esterno. Con profonda sofferenza, io e mia moglie abbiamo deciso di non andare avanti con l’accanimento terapeutico. La scelta più dura della nostra vita. Le condizioni di Marco erano tragiche, dopo una settimana è arrivata una crisi respiratoria. Da quel momento, per 48 ore, l’ho tenuto stretto a me: Marco è morto tra le mie braccia. Abbiamo fatto il funerale, mentre tutto a casa ci ricordava lui: la macchina più grande per trasportarlo nel seggiolino, la cameretta nuova, la culla. Quando siamo tornati a casa senza bambino e senza mamma con la pancia, Gioia ha cominciato a chiedere dove fosse il suo fratellino. Una scena straziante».

Sua moglie?

«Si è salvata, ma è stato devastante. I medici hanno dovuto toglierle l’utero. Se non ricordo male, il suo problema è stato la rottura della varice posteriore dell’utero da cui è partita l’emorragia. Sono riusciti a lasciarle, però, le ovaie. Dopo quella tragedia, mi sono preso del tempo per elaborare il lutto. Lei ha trovato il coraggio di proporre la gestazione per altri: era l’unico modo per avere un altro figlio. Io avevo pensato all’adozione, ma lei non si sentiva pronta per quel percorso. Così abbiamo iniziato a informarci sulla surrogata e abbiamo visto che in America aveva un costo inaccessibile per noi. Poi abbiamo scoperto che era possibile farla in Ucraina a costi molto più contenuti. Contattata la clinica via mail, ci hanno girato tutti i documenti e ci hanno proposto un contratto più alla nostra portata, utilizzando il materiale biologico mio e di mia moglie».

Ma era già iniziata l’invasione russa.

«Nonostante la guerra, abbiamo deciso di andare avanti. La disperazione e il desiderio di diventare di nuovo genitori erano più forti. In Ucraina c’era la no fly zone. Abbiamo preso un aereo per la Polonia, poi un autobus fino al confine, dove l’aria di guerra la senti tutta, la respiri. Siamo saliti su un treno verso Kiev, pieno di militari con i mitra spianati. Dopo 10 ore di treno, siamo arrivati nella capitale. Lì in stazione ci aspettava un’auto della clinica che ci ha portato in un appartamento, sempre predisposto da loro, dove siamo rimasti tre settimane. Il secondo giorno che eravamo lì, una bomba è scoppiata a due chilometri di distanza: ricordo che è scattato l’allarme e ci hanno fatto nascondere in un bunker. Comunque, abbiamo lasciato il nostro materiale biologico, ma a causa dei problemi di salute di mia moglie, gli ovuli non erano idonei e l’embrione non cresceva».

Quindi il viaggio è stato inutile?

«Io, mia moglie e Gioia siamo rientrati in Italia. Ci siamo presi un po’ di tempo, anche perché stava iniziando la discussione di questa legge, alla Camera, per rendere il reato della maternità surrogata universale. Avevamo paura, per il lavoro e soprattutto per il futuro di nostro figlio. Poi, però, dalla clinica ci hanno prospettato un’altra opzione: usare il mio sperma, che avevano congelato, e gli ovuli di un’ovodonatrice. E ci siamo riusciti. L’embrione, poi, è stato impiantato in una terza donna, come vogliono le regole ucraine. Il primo transfert nella mamma surrogata non è andato a buon fine. Il secondo tentativo, il 23 agosto scorso, sì. Noi, per le norme ucraine, non possiamo conoscere la donna che sta portando avanti la gravidanza. Ma ora sappiamo che c’è una vita nella sua pancia. Tra poco – devono passare 12 settimane – ci invieranno la prima ecografia di nostro figlio. Insomma, stiamo già vivendo questa gravidanza. A maggio, torneremo a Kiev, e ad aspettarci ci sarà nostro figlio».

Arriviamo a oggi. Che impatto ha avuto su di voi la notizia dell’approvazione definitiva della legge che “universalizza” il reato della Gpa?

«Ho seguito in diretta la votazione in Senato. Sentivo i politici dire cose aberranti. Io ci sono stato in quelle cliniche, a differenza loro. Ho conosciuto ventenni che hanno avuto un tumore all’utero e non hanno altra soluzione che questa, per diventare madri. Perché privare queste persone disperate dell’unica possibilità di diventare genitori, che è la cosa più bella al mondo? Nonostante la guerra, la clinica di Kiev era piena di persone che erano lì con il solo obiettivo di donare amore a un figlio. A differenza di quello che descrivono i nostri politici, non ho trovato coppie di omosessuali oppure persone di 80 anni che pretendono di avere un figlio. Nulla era come lo descrivono in Parlamento o nei comizi. E allora io voglio dire ai politici: “Mettetevi nei miei panni, per un secondo. Mi è morto un bambino in braccio e ho solo il desiderio di crescere un altro figlio”. Sono arrabbiato perché sono disconnessi dalla realtà. “Perché non volete ascoltare la voce di tutta quella gente che per disperazione e amore va sotto le bombe pur di avere un figlio?”».

Ha paura, adesso?

«Subito dopo il voto definitivo che ha approvato la legge, ho chiamato mia moglie. Ci siamo domandati: “Come può lo Stato, come possono i senatori distruggere le nostre vite schiacciando un semplice pulsante?”. Subito dopo, però, abbiamo concordato di proseguire il percorso. Quando ti muore un figlio tra le braccia sei pronto a tutto, anche ad andare in prigione. Ma non posso permettere che mia moglie venga condannata a una vita di dolore senza questo bambino. Noi non abbiamo fatto nulla di male. Viviamo in campagna, in un posto bellissimo, e questo bambino avrà tutto l’amore del mondo. Certo è che ora, con la possibilità di multe milionarie e il rischio di carcere, non dormo più sereno. I politici volevano fare una legge, invece hanno dato il via a una mattanza di bambini».

È un’affermazione forte, me la può spiegare?

«La prima conseguenza di questa legge è che i cittadini italiani che hanno avviato il percorso nelle cliniche di Stati esteri dove la pratica è consentita, adesso, sono nel panico. Conosco persone che hanno iniziato a mandare mail alle cliniche per interrompere le gravidanze. Io non dormirò più sonni tranquilli sapendo che mi aspetta un procedimento penale, ma se devo farmi dei mesi in carcere li farò. Preferisco essere condannato io che condannare mia moglie a vivere senza il sorriso. Condannatemi, sono colpevole di avere come obiettivo quello di donare amore a un figlio. Ciò che non mancherà a mio figlio sarà tutto l’amore del mondo. Forse ne avrà più di un bambino nato senza questo tipo di percorso: siamo andati sotto le bombe pur di averlo, è figlio di un sacrificio enorme. E quando qualcosa deriva da un sacrificio, ci tieni ancora di più».

Cosa direbbe ai politici che hanno approvato questa legge e, visto che lavora nella pubblica amministrazione, teme di perdere il lavoro qualora finisca a processo?

«Li inviterei a guardare negli occhi chi, come noi, ha affrontato una tragedia per cercare la felicità attraverso la Gpa. Stanno distruggendo le vite di persone che non hanno fatto nulla di male, persone che vogliono solo essere genitori. Voglio dirlo chiaramente ai politici: “Se la mia vita cambierà radicalmente a maggio, se mi licenzieranno, sarà colpa vostra”. Esistono lavori, sia nel pubblico sia nel privato, dove i carichi pendenti comportano l’allontanamento. Un effetto secondario di questa legge potrebbe essere quello di lasciare le famiglie che hanno fatto ricorso alla Gpa senza fonte di reddito. Molte aziende, anche nel settore privato, nei contratti mettono delle clausole che escludono chi ha precedenti penali. Lo stesso vale per chi vuole partecipare a un concorso pubblico: un giovane di 20 anni che tenta di costruirsi un futuro deve presentare un casellario giudiziale pulito. C’è il rischio che perda il lavoro? Può darsi, sicuramente se subissi un procedimento penale avrei delle difficoltà anche in quell’ambito».

Alcuni sostengono che la Gpa sia una scelta egoista di chi vuole un figlio a tutti i costi. Cosa risponde a queste critiche?

«Egosimo? Io ho tenuto un bambino morto tra le braccia. Noi non siamo egoisti. Siamo persone che cercano di costruire una famiglia in mezzo a un dolore immenso. E la Gpa, per noi, è l’unica speranza. In Ucraina, le donne che fanno le madri surrogate lo fanno in condizioni regolamentate, nessuno le costringe. Non sono disperate, lo fanno per dare una mano e, insieme, ricevono un aiuto economico. Proprio come ci sono donne ucraine che abbandonano i propri figli per venire a fare le badanti in Italia. In America pure lo fanno e non mi pare ci sia una questione di povertà. In Portogallo ci sono presso le strutture sanitarie delle liste di donne volontarie che vogliono fare la gestazioni per altri. Noi siamo andati sotto le bombe di Kiev per amore, non per egoismo».

Gioia, la vostra bimba, già sa che avrà un fratellino?

«Per ora no. Quando Marco è morto, lei continuava a chiedere di lui, a domandarci dov’era. Non è facile spiegare a una bambina di tre anni che suo fratello non c’è più. Le abbiamo detto che si trovava tra gli angioletti. È stato un momento straziante, per noi genitori, doverle spiegare qualcosa che non possiamo nemmeno accettare pienamente noi stessi. Adesso stiamo procedendo a piccoli passi, senza caricarla di troppe informazioni. Le diremo della “cicogna”, quando ci avvicineremo al momento. Questo viaggio che abbiamo intrapreso per avere un altro bambino è stato lungo, difficile, pieno di sacrifici. Quando sarà più grande, le racconteremo tutta la verità, con la stessa onestà con cui abbiamo vissuto questo percorso. Lei è parte della nostra famiglia e del nostro viaggio, e un giorno capirà che questo fratellino è il risultato di un amore e di un desiderio così profondi da non farci tremare davanti alle bombe russe».

Foto di copertina: Pexels | Mart Production

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