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Israele, cosa succede dopo la morte di Yahya Sinwar: pace, tregua o battaglia finale?

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Tel Aviv a un bivio in attesa della rappresaglia sull'Iran. Il tema degli ostaggi ancora sul tavolo. E la nuova dottrina da stabilire nell'area

Da più di un anno Israele aspettava quella foto. Ma ora che Yahya Sinwar è morto Benjamin Netanyahu è a un bivio. «Anche se questo non rappresenta la fine della guerra, è l’inizio della sua fine», ha scritto su X. Ma la prospettiva della conclusione dell’offensiva in Medio Oriente appare ancora lontana. Prima di tutto perché c’è ancora la rappresaglia militare sull’Iran dopo l’attacco missilistico. Poi perché sul tavolo c’è ancora il tema degli ostaggi. E soprattutto il paese vuole stabilire una nuova dottrina nell’area: mai più «organizzazioni terroristiche» al confine. La morte di Sinwar rafforza anche la posizione diplomatica di Joe Biden. Che ancora una volta può portare l’accordo con l’Arabia Saudita sul tavolo negoziale di Israele. Ma a una condizione irrinunciabile: la nascita dello stato di Palestina.

Il macellaio Sinwar

A trovare e uccidere Sinwar sono state alcune giovani reclute israeliane nel Sud della Striscia di Gaza. I soldati della 828a brigata pattugliavano la zona di Rafah mentre l’attenzione principale dell’esercito era a nord. La pattuglia ha individuato tre sospetti al piano terra di un palazzo colpito in precedenza. Ha aperto il fuoco e poi ha chiesta l’assistenza dall’alto per far colpire le macerie. Diverse ore dopo sono entrati nella struttura e hanno scoperto il cadavere. I soldati hanno fotografato il viso della persona che avevano individuato come Sinwar e inviato le immagini all’unità forense della polizia israeliana. Qui è stata analizzata l’arcata dentaria per confermare l’identità del capo di Hamas. Attorno ai tre corpi (gli altri due erano le sue guardie del corpo) sono stati trovati alcuni documenti d’identità. Tra cui un passaporto intestato a un insegnante dell’Unrwa.

La morte

I soldati che hanno eliminato Sinwar fanno parte della scuola del personale militare. L’operazione a Tel Sultan, stando alla prime ricostruzioni, non aveva come obiettivo il capo del gruppo islamista. La sicurezza israeliana sapeva da mesi che Sinwar si nascondeva nel quartiere Tel Sultan di Rafah. Ma riteneva che restasse nei tunnel per la maggior parte del tempo. Così come aveva appurato che i sei giovani ostaggi giustiziati alla fine di agosto e trovati dall’Idf in un tunnel difficilissimo da raggiungere facevano da scudi umani proprio a lui. Nell’edificio dove è stato ucciso Sinwar sono stati trovati armi e molto denaro. Il giubbotto di Sinwar era zeppo di granate, non esplose perché è stato colpito alla testa e non al torace.

La campagna militare

Ma proprio le circostanze della morte di Sinwar influiscono sulla prospettiva di conclusione della guerra. Se il leader fosse stato ucciso nei primi giorni dopo il 7 ottobre, è il ragionamento dei militari riportato da Repubblica, Israele avrebbe potuto dichiarare la fine della guerra e la sua vittoria. Ma oggi lo scopo della campagna è diventato parte di uno scenario più ampio. «L’idea è quella di creare una nuova realtà, in cui i suoi nemici sentano che è un errore schierarsi contro Israele», ha scritto due giorni fa Su Yedioth Ahronoth Ron Ben-Yishai. Biden si è rallegrato per la morte di Sinwar ma nella stessa nota in cui la celebrava ha ricordato a Netanyahu che bisogna ancora «discutere il percorso per riportare a casa gli ostaggi e porre fine a questa guerra». Ora che c’è l’opportunità di una Gaza senza Hamas, è il ragionamento, non è il caso di sprecarla.

La strategia

Charles Kupchan, già consigliere di Barack Obama e docente di relazioni internazionali alla Georgetown University di Washington, spiega al Corriere della Sera che il premier israeliano non è ancora nella posizione di poter dichiarare la missione compiuta. E quindi non cambierà strategia: «Non credo che l’esercito di Netanyahu riuscirà a distruggere completamente il movimento di Hamas, ma potrà arrivare al punto di metterne fuori gioco la catena di comando e le strutture militari, in modo che non costituiscano più un pericolo per Israele. Non siamo vicini alla fine di questa vicenda. Ci sarà ancora molto lavoro per la diplomazia: sappiamo che i negoziati sono ripresi. Nello stesso tempo proseguirà la guerra in Libano e mi aspetto anche, da un momento all’altro, un attacco massiccio contro l’Iran».

Un’opportunità

Ma secondo Kupchan «potremmo vedere una riduzione della violenza a Gaza. Penso che il governo israeliano accetterà anche la richiesta di Washington di fare entrare più aiuti umanitari». Michael Milshtein, a lungo capo del dipartimento Affari palestinesi dell’intelligence militare israeliana, oggi responsabile degli Studi palestinesi al Moshe Dayan Center dell’università di Tel Aviv, dice a Repubblica che ora Israele è a un bivio. «Le famiglie degli ostaggi lo stanno chiedendo a gran voce. Israele ha incassato un successo: deve scegliere se fermarsi o continuare a combattere. Mi preoccupa il fatto che il governo resta ostaggio di figure di estrema destra come Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich (ministri della Sicurezza interna e delle Finanze, ndr), che rifiutano ogni prospettiva di dialogo. Dobbiamo augurarci di prendere la strada giusta».

Una pietra miliare

Milshtein dice anche che la morte di Sinwar «è la chiusura di un cerchio. Non è la fine della guerra, ma sì, è una vendetta. Ma la cosa davvero importante è che le famiglie degli ostaggi vogliono tradurre il momento in uno sforzo per il rilascio dei loro cari». Intanto Hezbollah annuncia «una transizione verso una nuova fase di escalation nel confronto con il nemico israeliano, che si rifletterà negli sviluppi e negli eventi dei prossimi giorni». E a Sderot il Likud organizza una festa per celebrare «la ricostruzione delle colonie». Mentre a Gaza si prospetta un’amministrazione araba guidata dall’Autorità di Abu Mazen. La fine è vicina? Non così vicina.

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