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La madre di Leonardo Calcina, suicida per bullismo: «Chi ha sbagliato tra i prof deve pagare»

19 Ottobre 2024 - 06:40 Alba Romano
leonardo calcina senigallia madre viktoriya remanenka
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Viktoryia Ramanenka: inutile chiedere scusa adesso, sarebbe troppo tardi

Viktoryia Ramanenka è la madre di Leonardo Calcina. Il ragazzo si è tolto la vita a 15 anni a Senigallia usando la pistola del padre. Perché era vittima di bullismo a scuola. Ovvero all’istituto Panzini. La procura indaga per bullismo e sotto la lente ci sono tre compagni di scuola che, secondo il racconto dei genitori del ragazzo, gli abbassavano i pantaloni, lo colpivano sui genitali e lo insultavano. «Lui era la mia copia, ci somigliavamo anche di carattere, serio e caparbio, una memoria di ferro, bello e muscoloso, cresceva a vista d’occhio, nuoto e judo, 45 di piede, sognava di indossare una divisa, vigile del fuoco o marina militare», ricorda oggi in un’intervista al Corriere della Sera.

Leonardo e il preside del Panzini

Viktoryia, 39 anni, di Minsk, professione contabile, ha una laurea in economia e commercio. Con lei c’è l’avvocata Pia Perricci, che «era la seconda mamma di Leonardo». A Montignano c’era tanta gente al funerale: «Sì, ma mi chiedo: tutta questa gente prima dov’è stata? Dov’era? Io non l’ho vista aiutare Leo quando lui ne avrebbe avuto bisogno. A un certo punto della cerimonia si è avvicinato il preside del Panzini per farmi le condoglianze, a due passi c’era la bara di Leo. Io gli ho detto solo: “La prego di allontanarsi da me per favore”». Secondo la donna è «inutile chiedere scusa adesso, adesso è troppo tardi. Leonardo chiedeva aiuto, ma loro non l’hanno ascoltato». Anche il ministero della Pubblica Istruzione ha previsto approfondimenti sul caso con un’ispezione. Si sospetta che la scuola non abbia preso misure adeguate a sostegno del giovane.

Il bullismo

Viktoryia rivela che «l’avevano preso di mira in tre e io dicevo a lui: almeno difenditi! Ma Leonardo era troppo buono, mite, un bambino d’oro. Il 7 ottobre, dopo che da giorni lo vedevamo abbattuto e lui continuava a dire che non voleva più studiare, che non voleva andare a scuola, io e suo padre, Francesco, vigile urbano, abbiamo deciso di fare tutti insieme una passeggiata per affrontare il problema. E Leo un po’ si è aperto. Diceva: mamma io mi vergogno a riferirti le parole con cui mi offendono, oscenità di tipo sessuale. E io allora gli dicevo: ma tu l’hai detto ai professori? E lui rispondeva: sì ma vanno avanti con la lezione come niente fosse. Il 9 ottobre era andato a parlare col prof di sostegno, ma quello gli aveva spiegato che la scuola è obbligatoria fino a 16 anni».

La madre

La madre prosegue: «E allora io insistevo: andiamo dai carabinieri, denunciamo quei tre ragazzi, ma Leo prendeva tempo, sperava che prima o poi l’inferno finisse. Il 10 ottobre, tre giorni prima di spararsi in bocca con la pistola del padre, è tornato a casa e ha detto: mamma ho sistemato la cosa da me, ho fatto l’uomo, ho stretto la mano a uno di loro. Ma il giorno dopo, venerdì 11 ottobre, l’ho rivisto muto, angosciato. Di nuovo diceva che non voleva tornare più in quella scuola. La domenica sera s’è ucciso». La donna adesso pretende «giustizia: che quei bulli vadano dritti in riformatorio. E chi ha sbagliato tra i prof se la veda coi giudici. È un dovere per i docenti tutelare i ragazzi, noi li affidiamo a loro».

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