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Le chat dei magistrati sul caso Albania: «Meloni vuole riscrivere il diritto, è più pericolosa di Berlusconi»

20 Ottobre 2024 - 07:21 Alba Romano
Allarme rosso tra le toghe dopo gli attacchi del governo sui Cpr. L'appello di un giudice ai colleghi: «Siamo divisi e isolati, dobbiamo compattarci»

L’allerta all’interno della magistratura italiana è massima – o per lo meno in una sua parte rilevante. E viaggia in queste ore sulle chat e nelle mailing list dei giudici. Specialmente in quelle di area più spiccatamente progressista, come Magistratura Democratica. A nessuno è sfuggito lo spessore dell’attacco portato venerdì dalla premier Giorgia Meloni – poi, a ruota, da ministri di peso come Carlo Nordio o Matteo Salvini – contro il Tribunale di Roma, «reo» di aver scardinato con una semplice decisione l’intero impianto del “modello Albania”. Una decisione «pregiudiziale», quella dei togati romani, secondo la premier, intervenuta dal Libano, dove si trovava in missione, per lamentare quanto sia «difficile lavorare e cercare di dare risposte a questa nazione quando si ha anche l’opposizione di parte delle istituzioni che dovrebbero aiutare a dare risposte». La Meloni furiosa ha concluso la sua intemerata anti-giudici convocando un Consiglio dei ministri ad hoc per lunedì e dando mandato ai suoi uffici di lavorare nel weekend a un decreto-lampo per aggirare la decisione del Tribunale di Roma. E così sin dal pomeriggio di venerdì le chat dei magistrati ribollono, di rabbia e di preoccupazione per la piega che potrebbe prendere non solo la vicenda-Albania, ma pure il ruolo della magistratura nella società e nell’equilibrio dei poteri.

Chat bollenti

«I magistrati devono aiutare il governo a risolvere i problemi? Errore gravissimo di diritto costituzionale: i magistrati non hanno il compito di collaborare all’attuazione del programma di nessun governo bensì hanno il dovere di applicare le leggi, i regolamenti e le norme sovranazionali al cui rispetto l’Italia si è obbligata. Si chiama separazione dei poteri», riassume per tutti su Facebook un togato, secondo quanto riporta il Corriere della Sera. La sensazione diffusa – anche dopo le parole del ministro ed “ex collega” Nordio – è che il governo e la maggioranza tutta travisino del tutto il senso della decisione del Tribunale di Roma: non una «invasione di campo», non una «scelta politica», ma una doverosa, e perfino prevedibile, applicazione dei princìpi stabiliti da una recente sentenza della Corte di Giustizia Ue, che prescriveva l’impossibilità di espellere migranti verso Paesi anche solo in parte «non sicuri». Come Egitto e Bangladesh, appunto, gli Stati di provenienza dei 12 malcapitati spediti al centro nuovo di zecca di Gjader, in Albania. Da cui sono stati prelevati ieri in fretta e furia e riportati in Italia, a Bari, «sotto shock». «Dopo la sentenza della Corte di Giustizia era ovvio che la giudice decidesse di riportare in Italia i migranti», si sfoga in chat un magistrato. «Si vuole stravolgere il diritto costituzionale!», lancia l’allarme un altro.

«Peggio che ai tempi di Berlusconi…»

Già perché al di là della questione di specie la preoccupazione di molti, tra i magistrati, è per la dimensione generale e politica dello scontro aperto dai meloniani. «In epoca berlusconiana lo scontro era tra una fetta di politica e i pm che indagavano sugli affari dell’allora premier. La tensione era parte del conflitto di interessi. Oggi nell’occhio del ciclone ci sono, purtroppo, giudici che applicano norme…», dice a Ilaria Sacchettoni Giovanni Zuccaro, segretario di Area (corrente di sinistra). Concetti del tutto simili a quelli messi in evidenza da un altro togato assai ascoltato, Marco Patarnello: «L’attacco alla giurisdizione non è mai stato così forte, forse neppure ai tempi di Berlusconi», scrive il sostituto procuratore della Cassazione a tutti gli indirizzi della mailing list di Magistratura Democratica. Un attacco, dunque, «molto più pericoloso e insidioso per molte ragioni» rispetto a quello cui ci si era “abituati” ai tempi del fu Cavaliere. Perché? Lo spiega sempre Paternello, nella mail visionata e pubblicata stamattina dal Tempo. «Innanzitutto perché Meloni non ha inchieste giudiziarie a sua carico e quindi non si muove per interessi personali, ma per visioni politiche, e questo la rende molto più forte. E rende anche molto più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto».

L’isolamento della magistratura e la «chiamata alle armi»

La situazione è più grave e preoccupante di quanto non lo fosse nell’era berlusconiana, spiega ancora Paternello, anche per un’altra ragione. E cioè che oggi «la magistratura è molto più divisa e debole rispetto ad allora»; di più, «è isolata nella società». Mentre, sul fronte politico, si registra il fenomeno opposto. E cioè che «la compattezza e omogeneità di questa maggioranza è molto maggiore che nel passato e la forza politica che può esprimere è enorme, e può davvero mettere in discussione un assetto costituzionale, ribaltando principi cardini che consideravamo intangibili. Di qui l’appello ai colleghi e stringere i ranghi: «A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo. Sull’isolamento sociale non abbiamo il controllo ma sul tema della compattezza interna possiamo averlo. Non è accettabile chinare le spalle ora o che qualcuno si ritagli uno spazio politico ai danni dell’intera magistratura». Il Tempo osserva nel dare la notizia che l’esponente di spicco delle “toghe rosse” di Magistratura Democratica «sembra quasi bramare la falange politica contro il governo». In realtà Paternello nella mail distingue piuttosto chiaramente i due piani: «Non dobbiamo fare opposizione politica ma dobbiamo difendere la giurisdizione e il diritto dei cittadini a un giudice indipendente. Senza timidezze».

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