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Il decreto paesi sicuri per salvare i Cpr in Albania in arrivo oggi: «Ma il rischio è che sia tutto inutile»

decreto paesi sicuri giorgia meloni cdm governo
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La premier convoca il Cdm per le 18. E prepara la scontro con i giudici. Con la prospettiva di tornare al voto. Ma secondo gli esperti i giudici possono superare la nuova legge. E decidere diversamente da come vuole il governo

Un decreto con la lista dei paesi sicuri definita per legge. Per blindare il centro migranti in Albania a rischio flop. E che può portare il livello dello scontro fino alla Corte Costituzionale. Il Consiglio dei Ministri lo varerà oggi 21 ottobre anche se c’è un rischio di danno erariale da fronteggiare. E mentre la premier apre il suo primo fronte ufficiale con i magistrati. Ma per Giorgia Meloni c’è un problema giuridico da risolvere. Che potrebbe provocare anche l’intervento del Quirinale. Per questo il Cdm è fissato per le 18. Con una prospettiva a Palazzo Chigi: lo scontro con la magistratura sui migranti è un terreno su cui strappare, rompere, lucrare consenso. Fino all’idea di tornare alle elezioni. Ma gli esperti avvertono: il problema è che i giudici quel decreto possono in ogni caso superarlo. E decidere diversamente da come vuole il governo.

Il decreto sulla lista dei paesi sicuri

La lista dei paesi sicuri sarà contenuta nel testo del Dl. Mentre l’idea originaria era quella di lasciare al ministero degli Esteri la sua definizione e l’eventuale aggiornamento. La Farnesina invece ospiterà un comitato che dovrà aggiornare i parametri. Per ridefinire la lista anche in futuro. Ma anche in questo caso il via libera finale dovrà arrivare da Palazzo Chigi. Perché servirà una norma di rango primario per toccare l’elenco. La scelta serve anche a un altro obiettivo. Ovvero quello di evitare che tra il primo pronunciamento delle commissioni territoriali sul diritto alla protezione internazionale e il ricorso l’interessato circoli liberamente in Italia. Il decreto Cutro prevede il trattenimento nei centri per le procedure accelerate di frontiera. Ma il pronunciamento della Corte di Giustizia Ue rischia di scardinare il meccanismo. E ha reso impossibile la tattica scelta dal Viminale.

Il retroscena

Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi aveva infatti pensato di aggirare l’eventuale sentenza della sezione immigrazione del tribunale di Roma sostenendo che il Cpr di Gjader fosse in territorio italiano per portare comunque lì i 12 “ospiti” da Shengjin. Una strada resa impossibile dalle ultime righe della sentenza della giudice Silvia Albano. Che ha specificato l’impossibilità di questa soluzione. E allora ecco anche la soluzione per questo problema. Mentre Meloni, che ieri ha rilanciato le chat dei magistrati sull’Albania, pensa che la prospettiva dello scontro con i giudici può portarle consenso. Per questo è pronta a rompere. Con la prospettiva di avere un argomento da portare come pretesto per evocare le elezioni se la situazione complessiva lo richiederà. «Se facessimo un referendum gli italiani sosterrebbero questo sistema (I cpr in Albania, ndr) a larga maggioranza», dice.

Il secondo grado per i ricorsi

L’altro capitolo del decreto affronterà la questione dei tribunali che non convalidano il trattenimento dei naufraghi. Introducendo un secondo grado per i ricorsi, mentre ora ci si può appellare soltanto in Cassazione. Sul decreto permane l’incognita Mattarella. Il potere di firma del presidente scatta quando una legge è manifestamente incostituzionale. Ieri il presidente della Repubblica ha invitato la politica a trovare mediazioni e sintesi, evitando ogni «tirannia della maggioranza». E la frase sembra proprio costruita per replicare a chi nell’immediatezza delle sentenze del tribunale di Roma parlava di giudici che si rivoltavano contro il voto degli italiani. Sul tavolo c’è anche la questione del voto sui giudici costituzionali. Per la quale il Parlamento è di nuovo convocato per il voto congiunto il 29 ottobre.

Come finirà con il decreto lista paesi sicuri

Nel frattempo il professor Vittorio Manes dell’Università di Bologna, direttore della rivista Diritto di Difesa dell’Unione delle camere penali, spiega oggi al Corriere della Sera cosa succederà dopo il decreto con la lista dei paesi sicuri del governo Meloni. «La Corte Ue ha chiaramente detto che un Paese per essere considerato sicuro deve esserlo in ogni sua parte rimettendo al giudice la valutazione del caso concreto. Su queste basi i giudici italiani hanno ritenuto di non convalidare il trattenimento ai fini di reimpatrio in Albania ritenendo Bangladesh ed Egitto non sicuri. Difficile negarlo, del resto, se solo si pone mente al caso Regeni, in Egitto, o al fatto che in Bangladesh sono perseguitate minoranze etniche e religiose, o che in Turchia sono puniti con il carcere rapporti omosessuali».

Le sentenze e la Consulta

Manes spiega che le sentenze della Corte di giustizia «sono vincolanti, anche per una consolidata giurisprudenza della Consulta. Quindi l’aggiramento rappresenterebbe un inadempimento rispetto agli obblighi sovranazionali, che vincolano, in base alla Costituzione, tanto il giudice quanto, a monte, il legislatore». La via della lista dei paesi sicuri da aggiornare periodicamente, secondo il giurista, sarebbe percorribile «specie se la normativa interna si fonda sulle più accreditate fonti sovranazionali, facendo rimando a queste anche per l’aggiornamento della lista. In ogni caso, il giudice — a cui la Corte di giustizia ha assegnato l’ultima parola — potrebbe sempre ritenere quella elencazione non corretta, o non puntualmente aggiornata, e decidere diversamente, se ha documentate ragioni per farlo».

Come finirà

Ma questa, aggiunge il giurista, sarebbe «una decisione sempre impugnabile nel merito, che attribuisce una notevole responsabilità al singolo magistrato». Per questo il governo vuole provare questa strada. Se i giudici si mettono di traverso, è il ragionamento sotteso, al massimo possono sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale. La Consulta, in ogni caso, ci metterà un po’ a fornire il responso richiesto. Così i Cpr in Albania potranno partire davvero. E poi fermarli diventerà una questione giuridica. Sulla quale innestare altre partite politiche.

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