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Giorgia Meloni e il probabile flop del decreto paesi sicuri: il silenzio della premier e la teoria del complotto dei giudici

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Mantovano: è probabile che i giudici lo disapplichino. Palazzo Chigi: andiamo avanti. La riforma della giustizia e la separazione delle carriere sotto la lente

A Palazzo Chigi ci sono «dubbi» sul fatto che il decreto paesi sicuri sia la soluzione più efficace per salvaguardare i Cpr in Albania. Tanto che alla fine del consiglio dei ministri durato mezz’ora che ha varato il provvedimento Giorgia Meloni era «furiosa». Mentre durante la discussione è rimasta in silenzio. Non si è presentata poi alla conferenza stampa di illustrazione del decreto legge e ne ha annullata un’altra in programma per stamattina. Proprio per evitare domande scomode. E nel governo continua ad aleggiare la teoria del complotto della magistratura. Secondo la quale la decisione di venerdì presa da Silvia Albano è stato un messaggio diretto. Per fermare la riforma della giustizia e la separazione delle carriere. Per questo il provvedimento è stato dimezzato. Anche su consiglio del Quirinale.

La premier furiosa

Secondo il retroscena di Repubblica è stato il sottosegretario Alfredo Mantovano a spiegare che il re è nudo: «Voglio essere chiaro. È molto probabile che i giudici disapplicheranno questo decreto». Ma la Meloni non ha voluto sentire ragioni: «Andiamo avanti. Dobbiamo lanciare un segnale politico». Ciò nonostante dal testo sono saltate le ipotesi legislative più complicate. Come quelle che puntavano a estromettere i tribunali dell’immigrazione dalle decisioni sostituendoli con i giudici di pace e le corti d’appello. E quelle che prevedevano nuove regole per lasciare i migranti in Albania anche con le sentenze a sfavore. Si tratta dell’ipotesi ventilata nei giorni precedenti alle decisioni del tribunale di Roma: considerare il Cpr territorio italiano tout court e lasciare lì i migranti anche dopo le sentenze. Un’ipotesi a cui il ministro Matteo Piantedosi aveva lavorato, rinunciando all’ultimo dopo aver letto la sentenza.

Il decreto inefficace

Nelle ore in cui a Palazzo Chigi si lavorava sul decreto la premier lasciava trapelare altre accuse alle toghe. Sostenendo che alla base dello scontro sull’Albania ci fosse la battaglia di Magistratura Democratica contro il governo. E che la vera posta in gioco fosse la separazione delle carriere. Sulla quale c’è un’ipotesi di compromesso fornita da alcuni “ambasciatori” dei giudici: ok alla riforma ma niente sorteggio per il Consiglio Superiore della Magistratura. Meloni però vuole andare avanti perché «soltanto così toglieremo potere alle correnti». La maggioranza adesso punta a un ok in prima lettura entro la fine dell’anno. E pazienza se nel frattempo lo scontro con i giudici salirà di grado. Per un decreto inefficace scritto dai suoi stessi uffici.

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