A Roma gli hikikomori sono triplicati: «Ecco i campanelli d’allarme tra i giovani»
A Roma gli hikikomori sono triplicati. Dopo la pandemia il numero dei ragazzi chiusi in casa è aumentato nella Capitale. Dove ne arrivano in ospedale 700 l’anno. Ma per i medici è la punta dell’iceberg. A fotografare la tendenza è il reparto di neuropsichiatria infantile del Bambin Gesù, diretto da Stefano Vicari. Nel 2017 i pazienti con la problematica erano 209. Dal 2020 sono diventati 700 l’anno. Mentre in tutta Italia sarebbero 100 mila. Mentre il numero di consulenze per disturbi come quelli dell’alimentazione e dell’ansia ha superato le 1.400 richieste nel 2024. E la stima dei casi sommersi ammonta al 70%.
I numeri del fenomeno
Il Messaggero spiega che l’età media dei giovani che soffre di questo problema si aggira attorno ai 15 anni. Ma così come le altre dipendenze, anche in questo caso la tendenza è quella di problematiche sempre più precoci. Quasi sempre la tendenza a chiudersi è accompagnata dall’uso della tecnologia. Il percorso è multifattoriale: timidezza, episodi di bullismo o cyberbullismo, figure genitoriali poco presenti sono alla base. L’Istituto di Terapia Cognitivo Interpersonale Itci di Roma, guidato dallo psichiatra Tonino Cantelmi, che parla di una vera e propria «emergenza». «Il mondo digitale, per i nostri giovani è ormai diventato il mondo reale», spiega Cantelmi. «Ma questo non deve far innescare allarmismi. L’uso delle tecnologie può essere anche un’abilità. Solo il 10% dei nostri ragazzi fa un uso patologico della tecnologia. Ma nel caso dei ritirati, quasi tutti hanno una dipendenza».
I campanelli d’allarme
Maria Pontillo, psicologa e psicoterapeuta dell’Unità di Neuropsichiatria del Bambino Gesù, enumera i campanelli d’allarme: «I ritirati vengono chiamati anche “invisibili”. Sono ragazzi che scelgono di sparire lentamente dalla vita sociale, e lo fanno in silenzio, senza farsi notare. Non ci sono quasi mai gesti estremi o plateali come nel caso dei disturbi alimentari o degli atti di autolesionismo. Quindi i genitori ci mettono molto a capire che il figlio rischia di cadere in una simile condizione». Tra questi c’è la scuola: «I ragazzi non ci vogliono più andare. Poi la variazione del ritmo sonno-veglia, quando abbiamo giovani che vivono di notte, magari collegati in rete, e dormono di giorno. Infine, se un giovane manifesta variazioni umorali repentine e difficoltà a gestire lo stress».
I genitori
La dottoressa spiega cosa possono fare i genitori: «Non è facile convincere un adolescente che non vuole uscire di casa a farsi visitare in un ospedale. Ma si può iniziare dal pediatra, che poi saprà accompagnare il ragazzo in un centro specializzato come il nostro. Poi si può iniziare un percorso di psicoterapia. L’obiettivo prioritario è riuscire ad avere una buona relazione con l’adolescente e farlo collaborare. Mentre da parte dei genitori non dovrebbe esserci senso di colpa. Tutti si chiedono “dove ho sbagliato”. Ma viviamo tutti in un contesto prestazionale, non ha senso focalizzarsi sugli errori: è più importante recuperare il proprio lato emotivo e la relazione tra genitori e figli».