La fidanzata di Fabio Tosi, morto nell’incidente alla Toyota di Bologna: «Mi ha detto “ci vediamo stasera” su Whatsapp»
Benedetta Pirini ha 36 anni, fa la maestra alle elementari ed era la fidanzata di Fabio Tosi. Lui è morto insieme a Lorenzo Cubello nell’incidente alla Toyota di Bologna. «Il suo ultimo messaggio l’ho ricevuto mercoledì pomeriggio alle tre, quando ancora non era successo niente. Un vocale su WhatsApp, che finiva con “ci vediamo stasera”. Sono le ultime parole che ho di lui. Mi resta solo la sua voce lì nel telefono. Non so cos’è andato storto, so solo che non tornerà più a casa, non sentirò più la sua chiave nella porta», dice oggi a Repubblica. Nel colloquio con Caterina Giusberti spiega che Fabio era «meglio di un principe azzurro». Mentre «i figli non so se sarebbero arrivati, per me eravamo già famiglia così».
La storia di Fabio Tosi e Benedetta Pirini
Avevano appena comprato casa. Stavano insieme «dal 25 aprile 2018. Ci siamo conosciuti al compleanno di uno dei suoi amici, quello che poi l’ha convinto a fare domanda alla Toyota. Io l’avevo già notato, avevo sbirciato sui social. Avevo visto questo ragazzo con gli occhi verdi chiari-chiari e avevo pensato: non è male. Venti giorni dopo stavamo insieme. Non ci siamo mai lasciati, con lui è stato tutto semplice, diretto. Mi piaceva tanto che il nostro anniversario fosse il 25 aprile, perché è il giorno della Resistenza, che per me significava anche resistere alle cose brutte, al male del mondo. Fabio era sincero, leale. Era uno dei buoni». Il fidanzato era una persona « che si dedicava al 110% in tutto quello che faceva, zero assenteismo, zero approfittarsene, sempre correttezza, puntualità. A volte era anche troppo, per me. C’erano alcune cose che avrebbe voluto cambiare, piccoli conflitti. Era anche delegato alla sicurezza, aveva fatto i corsi, e a volte diceva che certe cose andavano curate un po’ di più».
Un piccolo capoccia
Fabio, ricorda Benedetta, alla Toyota «era un piccolo capoccia, li chiamano team leader, cercava sempre di curare i suoi ragazzi. Accettava le responsabilità, ma a volte era triste quando sapeva che avrebbero licenziato dei ragazzi bravi, perché non si poteva tenerli. Mi diceva: non vorrei saperle, queste cose. Però era contento di avere un buono stipendio». Infine racconta come ha saputo della morte: «Aveva dei colleghi che erano amici, per fortuna, è stato uno di loro a portarmi in ospedale. Non sapevamo dove fosse, al centralino continuavano a dirmi che non c’era . Poi ho capito che era morto in ambulanza. Il primario è stato molto gentile, anche i carabinieri. Però non deve capitare mai più a nessuno una cosa del genere».