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Il film Parthenope di Sorrentino tra seduzione e censura: «Se sono bianco e maschio, non posso raccontare una donna a modo mio»

25 Ottobre 2024 - 14:39 Alba Romano
paolo sorrentino parthenope sesso censura donna
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Il regista 54enne si è raccontato a Vanity Fair con i tre giovani protagonisti del nuovo film. Il problema del politicamente corretto: «Per me è difficile scrivere»

«Come potrei aver già capito che cosa ho imparato da Parthenope?». Il regista Paolo Sorrentino è ancora cauto sulle lezioni apprese nella produzione del suo nuovo film, da ieri al cinema. «Come tutti i precoci sono tardivo. E sono molto precoce perché capisco le cose in ritardo. Ci metto almeno dieci anni a capire i miei film». L’intervista concessa a Vanity Fair è in realtà a quattro voci, condivisa con i tre giovani protagonisti della nuova pellicola: Celeste Dalla Porta, Dario Aita e Daniele Rienzo. Complimenti, affetto, ammirazione per un grande maestro del cinema («Ha il coraggio di essere un poeta»). Ma al contempo l’inevitabile frattura generazionale che divide il registra dai tre attori, e che si manifesta in maniera ancor più dirompente nei temi che il 54enne ha deciso di trattare in Parthenope.

Il sesso dei giovani: «Consumismo, come Tinder»

«Il sesso per me confina con la ginnastica. A me interessa la seduzione, il modo più gentile e affettuoso che le persone possono mettere in atto per instaurare dei rapporti di forza», spiega Sorrentino. Il primo scoglio a creare una sorta di incomunicabilità tra le due generazioni è proprio l’ambito affettivo-sessuale. Una distanza data dal momento, dalle diverse possibilità, dalla cultura che cambia alla velocità di un click o di una storia Instagram. Così come da una società ormai bombardata da immagini pornografiche e in cui – sostiene Celeste Dalla Porta – «la chiamata alla libertà del sesso è talmente aggressiva e violenta da creare solo confusione». Così si creano differenze profonde anche all’interno delle stesse generazioni: tra chi quella liberà la cerca e la esagera, e chi invece è in grado di non «correre troppo». Ma per farlo, dice Daniele Rienzo, «serve cultura, e per la cultura servono tempo e ascolto dell’altro». Qualità sempre più rara, come avverte lo stesso Sorrentino: «La mia generazione aveva un atteggiamento consumistico verso gli oggetti, mentre oggi si tende ad averne uno verso il sesso. Si consumano più rapporti con diverse persone, per esempio su Tinder, passando di partner in partner».

I social e la censura: «Per me è diventato difficile scrivere»

Nei social, come nel sesso, è una continua ricerca del nuovo stimolo. Una tendenza frenetica che può spaventare chi la guarda dall’esterno. Per Sorrentino, invece, la confusione riguardo ai nuovi mezzi di comunicazione c’è sempre stata. Il vero tema dell’oggi sono «le cappe ideologiche», che inevitabilmente hanno ricadute sulla formazione dei giovani. «Ho avuto la fortuna di formarmi negli anni Ottanta, un decennio privo di ideologie – continua il regista -. Gli scrittori e registi della mia età sono liberi perché non sono figli dell’indottrinamento». E i giovani di oggi? Cosa ne pensano del politicamente corretto, della cultura cosiddetta woke? Su questo tema, ancora una volta, i tre attori si trovano schierati dalla parte opposta rispetto a Paolo Sorrentino. Il momento attuale, secondo loro, è una transizione tra due mondi. Cosa che necessariamente – portando dentro di sé il seme della rivoluzione – ha una componente di violenza nel cambiare il linguaggio. Per Sorrentino, però, si tratta più che altro di «censura».

Un pensiero costante, figlio del politically correct: «Per me è diventato molto difficile scrivere, soprattutto per l’atteggiamento censorio che scatta con me stesso. È una cosa che mi pesa tantissimo». E qui, secondo il regista, è proprio un tema generazionale. «Noi eravamo liberi perché molto era consentito e quindi eravamo abbastanza invulnerabili. I giovani di oggi, visto che poche cose sono consentite, sono molto ma molto più vulnerabili. Qualsiasi cosa può risultare un’offesa». E i suoi effetti, racconta Sorrentino, li ha sentiti lui stesso sulla sua pelle facendo Parthenope: «Il fatto che io sia maschio, bianco e che decida di raccontare una donna a modo mio, per alcuni è un problema. Dieci anni fa non lo era. Oggi esiste un sospetto sulla libertà artistica».

La femminilità di «Parthenope»

Due anni dopo È stata la mano di Dio, Sorrentino torna nelle sale cinematografiche con una pellicola dai colori napoletani. La protagonista è la sirena protagonista del mito di fondazione di Napoli, ma la Parthenope di Sorrentino è moderna e vive nella seconda metà del Novecento. Un viaggio nel mondo femminile, nella seduzione, nella malattia, nello smarrimento provocato – come dice la stessa protagonista – dalla «enormità della vita». Il film, già presentato a maggio durante il Festival di Cannes, è dal 24 ottobre in tutte le sale italiane.

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