In Evidenza Alessandro GiuliGoverno MeloniLegge di bilancio
ATTUALITÀAccoltellamentiFemminicidiFilippo TurettaGiovaniGiulia CecchettinInchiesteOmicidiPremeditazioneVenetoVeneziaViolenza sulle donne

«Urlava e l’ho colpita. Mi ero scritto un piano: rapirla e poi ucciderla». Turetta parla in aula nel processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin

25 Ottobre 2024 - 16:43 Alba Romano
filippo turetta processo femminicidio giulia cecchettin
filippo turetta processo femminicidio giulia cecchettin
Nell'interrogatorio l'imputato ha ammesso di aver organizzato nei giorni precedenti l'omicidio e la fuga, stilando una lista di cose da fare

Nell’aula della Corte d’Assise di Venezia Filippo Turetta, interrogato come imputato nel processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, ammette di aver pensato a tutto per l’assassinio della ragazza, stilando anche una lista di cose che potevano essere utili, ma di non averlo programmato. Un dettaglio fondamentale per capire se ci sia stata o meno premeditazione. «Ho detto bugie», ha detto al pm Andrea Petroni. Turetta ha ammesso che alcuni giorni prima del delitto, commesso l’11 novembre 2023, aveva stilato la famosa «lista delle cose da fare» compreso prelevare contante con il bancomat, da gettare per far perdere le proprie tracce, così come aveva studiato su Internet come evitare che la propria auto fosse individuata durante la fuga. Dopo 6 ore di interrogatorio è emerso che tutta la vicenda è supportata – come da indagine – da una serie di atti preparatori. Il presidente Stefano Manduzio ha annullato l’udienza del 28 ottobre, essendo stato esaurito l’interrogatorio di Turetta da parte del pm, delle parti civili e della difesa.

Gino Cecchettin assiste e poi lascia l’aula

«Il momento più doloroso è stato sapere cosa ha attraversato mia figlia negli ultimi momenti della sua vita. Ma non è questo il punto del processo, il punto è che abbiamo capito chi è Filippo Turetta». Con queste parole Gino Cecchettin ha riassunto ciò che si aspettava dall’interrogatorio in aula dell’assassino di sua figlia. Durante l’interrogatorio, il giovane non ha mai pronunciato il nome di Giulia, pur pronunciando frasi pesanti come «l’ho uccisa», e poi «ho nascosto il corpo». «Il suo avvocato», continua il padre, «vuole capirne di più, ma per me è chiarissimo». Dello stesso parere il legale di Cecchettin, Stefano Tigani: «Per me l’udienza di oggi certifica l’imputazione». Il messaggio che Cecchettin ricava dalla giornata è che «la vita del prossimo è una cosa sacra, e non bisogna entrare nel merito della vita degli altri». Cecchettin ha seguito la deposizione tenendo lo sguardo fisso sull’assassino fino all’interruzione dell’udienza. Non è rientrato però alla Corte d’Assise, ai cronisti che lo aspettavano fuori dal tribunale ha lasciato solo qualche battuta: «Dolore, tantissimo dolore» ciò che ha provato stamattina. La sorella di Giulia, Elena, ha deciso di non prendere parte all’udienza. È la prima volta che Turetta esce dal carcere – è rinchiuso da un anno a Verona – dopo l’arresto avvenuto in Germania il 19 novembre 2023. Scortato dalla polizia penitenziaria, era vestito con pantaloni neri e una felpa grigia con cappuccio, in mano una cartellina con alcuni documenti. Prima di sedersi accanto ai legali di fiducia, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, ha girato un paio di volte il capo guardandosi attorno, incrociando lo sguardo con il collegio presieduto da Stefano Manduzio.

L’interrogatorio

Il suo avvocato ha fatto sapere che l’imputato depositerà una memoria difensiva di 40 pagine «in cui a mente fredda cerca di ricostruisce punto per punto i suoi ricordi e di aggiungere o integrare quanto detto durante i lunghi interrogatori». Il pm Andrea Pietroni gli ha chiesto conto dell’elenco di cose da comprare, tra i quali lo scotch e i coltelli, che aveva fatto prima dell’omicidio, che per l’accusa è indice della premeditazione. «Quando ho scritto quella lista avevo ipotizzato il piano di rapirla, stare con lei qualche tempo e poi farle del male e toglierle la vita», ha risposto Turetta. E ancora: «Ero arrabbiato, avevo tanti pensieri, provavo un risentimento che avessimo ancora litigato, che fosse un bruttissimo periodo, che io volessi tornare insieme e così…non lo so…in un certo senso mi faceva piacere scrivere questa lista per sfogarmi, ipotizzare questa lista che mi tranquillizzava, pensare che le cose potessero cambiare. Era come se ancora non la dovessi definire, ma l’avevo buttata giù».

La notte dell’omicidio

I ricordi sono in alcuni punti confusi. Quando deve descrivere i momenti dell’aggressione tra Vigonovo e Fossò, Turetta non riesce a ricostruire con precisione ogni passaggio. «Giulia stava scappando, forse l’avevo colpita in auto, su una coscia, non ricordo, poi non so se è caduta o l’ho fatta cadere a terra. Lei urlava e l’ho colpita ancora», ha detto in aula. In quel frangente, come documentato dalle telecamere di sorveglianza, Giulia Cecchettin riuscì a divincolarsi e aprire la portiera dell’auto. «Poi mi sono trovato in mano solo il manico», dice riferendosi al coltello con il quale ha colpito la ragazza, «non ricordo, forse l’ho colpita, poi l’ho caricata in macchina». Poco definito anche il racconto sul cellulare di Cecchettin: «Penso di averlo preso io era nella borsetta che le avevo tolto per impedire che lo usasse». Turetta ha ricostruito quindi gli istanti dell’omicidio: «Volevo colpirla al collo per non farla soffrire, lei alzava le mani per difendersi, e allora ho tentato di colpirla più velocemente possibile da altre parti». Poi ha parlato anche dell’occultamento del cadavere della giovane: «Nell’abbandonare il corpo l’ho coperto perché non volevo venisse trovato, era in condizioni tali che volevo evitare che venisse visto com’era ridotto». Il pm Andrea Petroni è tornato sugli istinti suicidi di Turetta, più volte sostenuti dal giovane nella sua confessione: «Perché non usare le forbici che aveva in auto a portata di mano, o i due coltelli da cucina che aveva con sé?», ha chiesto Petroni. Ma Turetta non ha saputo rispondere.

Il controesame della difesa

Dopo l’accusa, l’esame di Turetta è passato alla difesa rappresentata dal legale Giovanni Caruso. «Volevo stare insieme, noi due soli. Passare del tempo assieme, prima eventualmente di toglierle la vita, anche se non lo avevo ancora deciso», sostiene Turetta. Parole che sembrano ricalcare quella che potrebbe essere la linea difensiva ovvero la preordinazione: la preparazione dei mezzi per l’atto omicida, ma senza il proposito costante che invece connota la premeditazione. Tutto sarebbe partito il 7 novembre al culmine di una serie di litigi con messaggi e a parole: «Cominciano i pensieri brutti e terribili». Si sposta poi su alcuni dettagli della seconda aggressione nella zona industriale: «Il maggior numero di coltellate credo di averle date quando lei era sul marciapiede, nella zona industriale di Fossò». Sull’aggressione, precedente a Vigonovo, Turetta ricorda di aver fatto del male a Cecchettin ma i ricordi sono confusi. L’avvocato Caruso ha dichiarato che non ci sono tracce ematiche sul coltello spezzato e ritrovato sul luogo, e la lama non corrisponde ad alcune ferita sul corpo. Sui propositi suicidi Turetta ha aggiunto: «Volevo provare a colpirmi ma poi, è vergognoso dirlo, non sono riuscito a farlo».

Cosa successe l’11 novembre 2023 – Il video

Video: testi, voce e montaggio di Manlio Pistolesi
Foto copertina: ANSA / ANDREA MEROLA | Filippo Turetta durante l’interrogatorio 

Articoli di ATTUALITÀ più letti
leggi anche