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Lo spoiler di Report e la difesa, così Alessandro Giuli risponde alle accuse: «Non sono un traditore»

alessandro giuli inchiesta tax credit film
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Un retroscena per le repliche a Ranucci. E la denuncia di un'aggressione delle Iene: «Mia figlia non smetteva di piangere». Il contributo al programma della Lega e le mostre al Maxxi

Il ministro Alessandro Giuli non ci sta. E il giorno prima della messa in onda della puntata di Report a lui dedicata risponde alle accuse. Mentre il suo ex capo di Gabinetto Francesco Spano lascia con l’accusa di pederastia, e si rincorrono voci surreali su orge gay in via del Collegio Romano, Giuli mette insieme le domande della trasmissione su Raitre, ma stavolta non replica parlando di «chiacchiericcio». Va invece nel merito e avverte che vedrà la puntata condotta da Sigfrido Ranucci insieme al suo legale. Rinunciando alla partita di calcio. E intanto fa sapere che «giovedì mattina e giovedì sera (25 ottobre, ndr) ho avuto la troupe delle Iene sotto casa. La sera tornavo con mia moglie da Venezia dove ero stato alla Biennale. La troupe mi ha quasi aggredito fisicamente».

L’aggressione

E ancora: «Mia figlia di 9 anni non smetteva di piangere perché ci stava aspettando sul balcone con il fratellino di 6. Va bene servire la Patria, è un dovere essenziale. Ma penso che lo sia anche proteggere la propria famiglia, i bambini». Ma nel retroscena del Corriere della Sera in cui ufficialmente parla «con i suoi» il ministro spoilera tutta la gamma delle accuse. E prova a rispondere. Cominciando dalle frequentazioni nell’estrema destra: «Probabilmente vedrò la puntata a casa, in diretta al telefono col mio legale. Non vedrò la partita. Ma so già cosa trasmetterà Report . Manderà per esempio in onda un estratto di una intervista a Rainaldo Graziani, fondatore di Meridiano Zero e figlio del fondatore di Ordine Nuovo Clemente Graziani, che mi definisce un traditore. Quindi Graziani rischia di diventare così uno dei miei migliori avvocati».

Il contributo al programma della Lega

Secondo Giuli poi il servizio a lui dedicato ricorderà che nel 2018 ha contribuito a scrivere il programma della Lega di Matteo Salvini. E anche qui c’è un’accusa di tradimento da rintuzzare: «Avvisai Giorgia Meloni che avrei collaborato a quel progetto. E lei ridendo mi disse: “Benissimo, però ricordati anche di noi…”». Hanno partecipato con lui Angelo Crespi, oggi direttore di Brera, e Fabiano Tosti Bernini, discendente del grande artista, uomo di finanza e collezionista d’arte. Il suo contributo riguardò il simbolo del Sole delle Alpi, mentre la Lega era impegnata a mettere da parte il progetto secessionisti. Giuli ha scritto che il simbolo del sole appare anche nei mosaici di Piazza Armerina in Sicilia, o in tanti reperti etruschi. E secondo lui questo basta a dire che non è secessionista.

I consigli a Berlusconi e il bando del Maxxi

Poi ci sono i consigli a Silvio Berlusconi. Nel 2017, quando il Cavaliere andò in tv da Lucia Annunziata, ha ricevuto una telefonata dallo staff per chiedergli cosa rispondere alla probabile domanda sul fascismo. Giuli ha consigliato la replica poi finita nella diretta: «Il fascismo è morto, sepolto e storicizzato». Poi c’è la storia del bando da un milione di euro del Maxxi per realizzare una Virtual Room. Erano soldi della Regione, ma il museo ha rifiutato lo stesso l’allestimento perché, come gli ha risposto il direttore artistico Francesco Stocchi, «la gestione ci costerebbe migliaia e migliaia di euro. Non ci conviene».

Il caso Boccia al maschile

Infine c’è il caso Boccia al maschile. Che secondo Ranucci riguarda «alte cariche di Fratelli d’Italia». La vicenda è quella di una mostra sul Futurismo al Maxxi. Giuli sostiene che il direttore uscente di Maxxi Arte Bartolomeo Pietromarchi ha consigliato di acquistare quella di Fabio Benzi già allestita dal Kröller-Müller di Amsterdam. A mettersi di traverso è stato l’ex ministro Gennaro Sangiuliano, che invece ne voleva una originale. Da qui la nascita del comitato scientifico per la mostra alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna con Gabriele Simongini e Alberto Dambruoso. Nel quale successivamente è scoppiata una lite che ha portato all’estromissione di Dambruoso, anche per un contenzioso con la critica Ester Coen per una vicenda di attribuzioni.

La risposta di Dambruoso

È qui che Giuli è entrato in scena. Viene inserito nel comitato scientifico dallo stesso Sangiuliano, due giorni prima delle dimissioni. Qui pone il tema dell’accesso alla Gnam dei disabili e propone di recuperare Benzi. Dambruoso invece perde il contratto. Sarebbe lui il caso Boccia. Anche se Giuli fa notare che i tempi non combaciano con la tesi. E qui entra in scena proprio Dambruoso. Che invece in un’intervista a La Stampa reitera le accuse. Sono stato cacciato. Al mio posto? È stato messo chi ha le conoscenze politiche “giuste”. Io sono un critico d’arte indipendente. E questa indipendenza l’ho pagata cara», dice a Irene Famà. Secondo lui «devano che sul mio conto giravano voci calunniose e che erano preoccupati di un possibile scandalo. In realtà era già tutto deciso, non c’è stato nessun confronto». Ovvero: «L’ordine di mandarmi via era arrivato dai vertici stessi di Fratelli d’Italia».

L’estromissione

Secondo Dambruoso lo hanno estromesso per favorire il gallerista romano Fabrizio Russo. È stato messo in discussione il mio operato in generale. Si è detto che io autenticavo opere false di Boccioni, che mi ero arricchito con un giro di falsi. Addirittura che ero diventato milionario. Nessuno aveva mai messo in dubbio il mio lavoro». Intanto la mostra è stata stravolta: «Da 650 opere si è passati a 350. Con aerei e macchine che entrano in scena, legate allo sviluppo tecnologico, senza mai essere state contemplate prima. Lo stesso Simongini, il curatore, è solamente una pedina in mano a loro». E Giuli? «Sapeva benissimo che ero co-curatore della mostra. Era a conoscenza di ogni aspetto. L’avevo incontrato, con Simongini, quando era presidente del Maxxi. Ed era parte del comitato organizzatore della mostra sul Futurismo, che poi, sostanzialmente, prende in mano l’evento».

La fine della storia

«Sono un critico d’arte lontano dai giochi della politica o da altri tipi di compromesso. Va da sé, non sono una pedina, ma un bersaglio facile sì. E questa storia è chiara. E lo ha dimostrato», conclude Dambruoso. «Chi ha portato avanti i propri interessi è un uomo di estrema destra che ha conoscenze politiche. E tramite queste persone è riuscito a estromettermi».

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