Gerry Scotti: «Da piccolo ero di gracile costituzione e mi spacciavo per il figlio dell’industriale del riso»
Gerry Scotti è un ragazzo di campagna. Nel vero senso del termine, visto che è nato sul tavolo della cucina di casa sua: «Mamma passeggiava nella vigna quando si ruppero le acque, all’ora di cena». Ha scritto un libro, Quella volta, per Rizzoli. E oggi ricorda: «Mio padre e mio nonno la riportarono in casa con il carretto degli attrezzi. La levatrice la fece sdraiare non in camera da letto ma sul tavolo da pranzo, vicino alla pentola di acqua calda. Il primo vagito l’ho lanciato lì, non stupitevi se mi piace mangiare e bere». Oggi parla in un’intervista al Corriere della Sera, dove il padre lavorava come operaio alle rotative. E oggi che pesa 110 chili è difficile credergli: «Fino ai 12 anni, per un lieve soffio al cuore, ero considerato “di gracile costituzione”, che sia messo a verbale», dice a Giovanna Cavalli.
Di gracile costituzione
Il ragazzino di gracile costituzione adesso è cambiato: «Ma nella mia fisicità mi crogiolo e mi compiaccio. Condivido i pochi capelli e un po’ di pancia con la gran parte dei maschi italiani, li ho sdoganati. Piccoli difetti che mi piacciono e sono diventati punti di forza». Un uomo normale . «I miei amici sono quelli delle medie, del ginnasio e della radio. Porto la stessa marca di mocassini, gli stessi jeans, le camicie Oxford azzurrine, giro su un’utilitaria, ma se mi avessero lasciato il mio Ciao e la 500 sarei più felice. Vado in trattoria e continuo a lamentarmi del conto». Non fa diete, ma «due volte l’anno faccio un periodo detox. La domenica sera, dopo un weekend godurioso, al massimo mangio un frutto. E il lunedì sera, cascasse il mondo, mi faccio preparare il minestrone. Li chiamo “i miei fioretti”».
Il figlio dell’industriale
Da giovane, invece, si spacciava per il figlio dell’industriale del riso: «L’ho raccontato a una convention. Dalle ultime file si alzò un signore: “Ecco perché cuccavo poco!”. Era Dario Scotti, quello vero. Ma c’è gente convinta che il proprietario dell’azienda sia io». La svolta è stata Deejay Tv: «Mi convinse Claudio Cecchetto: “Andrai bene, te lo dico io”». Mentre per rimorchiare mandava avanti Sandy Marton: «Io, lui e Cecchetto abbiamo letteralmente colonizzato Ibiza. Inaugurato ogni discoteca. Buttavamo dentro lui, su cento ragazze 20 svenivano, 30 si attaccavano a Sandy, 50 restavano intorno. Dai e dai… Ma non eravamo malaccio nemmeno noi». A casa «dicono che sono rompiballe e pedante. Chiudo i rubinetti, spengo la luce, protesto se mi spostano le cose. La mia compagna Gabriella ironizza: “Fai come in tv che sei perfetto”. Le signore le chiedono: “Com’è Gerry in famiglia?”. “Tenetevelo come lo vedete in televisione che è meglio”».
Con Bud Spencer
Una volta doveva fare coppia con Bud Spencer: «Si ritrovava nella mia fisicità. “Sarebbe bello girare un poliziesco in cui sono tuo padre”. Peccato, anch’io avrei mangiato fagioli con lui». Mentre Mike Bongiorno era «burbero, sempre di corsa, ti passava accanto in corridoio e ti rimproverava. “Pettinati”. “Togliti quella cravatta”. “Che schifezza di giacca”». Eppure lo nominò suo erede «durante l’unica puntata di Striscia condotta insieme. Mi fece inginocchiare sul bancone . “Vabbé, dai, sei tu”». Ha avuto solo 4 fidanzate: «Una al liceo, una all’università, una alla radio, la quarta l’ho sposata». «E ora c’è Gabriella. Non sono stato un grande donnaiolo, ero serio, avevo il vizio di fidanzarmi, mi piaceva avere la ragazza fissa. Non si offendano altre che non ho citato, non ne ho avute cento. E in tv, ho lavorato con le più belle».
La gelosia
Poi era geloso: «Delle tre prime fidanzatine. Brutto difetto. Ho confuso l’amore con la gelosia, invece non c’entrano niente. Se ami una persona non puoi esserne geloso, altrimenti vuole dire che non ami davvero». Che combinava? «Le classiche cose, tipo andare sotto casa, suonare al citofono di notte per sapere se c’era. Una malattia, da cui sono contento di essere guarito. E a chi non ci riesce da solo, consiglio di farsi aiutare». «Ho perdonato anche chi doveva chiedermi scusa». «Meglio perdonare chi non lo merita che non accorgersi di avere trattato male qualcuno. Una regola di vita. Infatti dormo tranquillo. Se non fosse per lo studente della Bocconi del piano di sopra che cammina con i tacchi, lui o la sua fidanzata. Ecco, ora lo sa». È felice? «In altri momenti ci avrei messo di più a risponderle. Ora no: sì, sono felice».