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Aldo Cazzullo, a Una giornata particolare le ultime ore di Pier Paolo Pasolini: «Pino Pelosi usato come un’esca, il Potere voleva liberarsi di questo intellettuale scomodo» – Il video

29 Ottobre 2024 - 17:21 Massimo Ferraro
aldo cazzullo pasolini una giornata particolare la7
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Mercoledì in prima serata su La7 una puntata sull'omicidio dello scrittore e intellettuale, ucciso il 2 novembre 1975. Per la giustizia ci fu solo un responsabile, ma prove e testimonianze raccontano una storia più complessa

«Le tracce di Dna, le testimonianze successive, la sentenza di primo grado e la ricostruzione di quanto avvenne nelle ore precedenti al delitto di Pier Paolo Pasolini ci dicono una cosa con certezza: Pino Pelosi, condannato per l’omicidio in appello, non era solo. E forse, non fu neanche lui a uccidere Pasolini». Aldo Cazzullo torna mercoledì 30 ottobre in prima serata su La7 con una nuova puntata del suo programma Una giornata particolare. E lo fa approfondendo cosa avvenne la notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, quando uno degli scrittori e intellettuali italiani più influenti del Novecento fu ucciso e il suo corpo martoriato all’Idroscalo di Ostia, su litorale romano. «È una puntata a cui tengo molto, non è solo una ricostruzione ma facciamo un passo in più», spiega il conduttore. Il viaggio nelle ultime ore di Pasolini, dalla cena al ristorante Pommidoro, gli incontri di quella sera fino all’epilogo all’Idroscalo, avverrà a bordo di un’Alfa GT grigia identica a quella dell’autore, che fu anche poeta e regista. Ad accompagnare Cazzullo nell’approfondimento che punta a fare luce sugli aspetti rimasti più oscuri di quell’omicidio, ci saranno il giornalista Furio Colombo, che intervistò Pasolini proprio la mattina dell’1 novembre 1975, Walter Veltroni, al quale Pelosi confessò che l’assassino era ancora in circolazione, poi Dacia Maraini, Francesca Fagnani, Sergio Rubini e l’avvocato Stefano Maccioni, che nel 2009 contribuì a far riaprire l’inchiesta sul caso.

«Pino Pelosi non era solo»

Pino Pelosi, che fu fermato alla guida dell’Alfa di Pasolini, si dichiarò colpevole dell’omicidio dello scrittore. Da reo confesso, fu condannato un anno dopo in primo grado. In appello fu poi confermata la sentenza e fu indicato come unico responsabile di quell’omicidio. Cadde anche il riferimento al concorso di ignoti che il presidente del Tribunale dei minori Alfredo Carlo Moro, fratello dell’allora presidente del Consiglio, aveva evidenziato nella prima sentenza. Ma sul luogo del delitto furono trovati almeno tre dna e le testimonianze di chi abitava nelle baracche intorno riferirono di più voci, oltre a quella della vittima. È proprio da qui che parte il programma di Cazzullo per chiarire che la verità giudiziaria non ha permesso di individuare tutti i colpevoli. Figurarsi i mandanti. «Chi voleva ucciderlo? I fascisti che l’avevano già aggredito più volte, o il Potere, per liberarsi di un intellettuale scomodo che in quei mesi stava lavorando a Petrolio?». Fu quella l’ultima opera di Pasolini, uscita postuma nel 1992, in cui emergeva il legame tra lo stragismo, la destra eversiva e il potere economico. D’altronde non fu l’unica morte avvolta nelle nebbia di qualcuno che provò a toccare quegli stessi fili. Il presidente Eni Enrico Mattei morì nel 1962, il giornalista Mauro De Mauro che provò a vederci chiaro in quella vicenda scomparve nel 1970 e Pasolini stesso cercò di capire chi c’era dietro quella morte, fino a essere ucciso.

La ricerca della verità

Troppe le domande rimaste senza risposta, con modalità che lasciano trasparire come la vicenda sia stata volutamente poco approfondita. Lo sottolinea Cazzullo nella puntata dedicata al delitto: «Chi sono i mandanti? Sarebbe poco serio additare una persona o una istituzione. Ma risulta ora chiaro che Pelosi fu un’esca». Così come altri personaggi che hanno orbitato in questa storia, e come un gran numero di fili spezzati mai riannodati. D’altronde «il Potere negli anni Settanta usava manovalanza fascista per provocare una reazione autoritaria, alimentare una strategia del terrore o anche solo eliminare gli avversari». questo anche i Tribunali lo hanno accertato. Ma ecco, se c’è stata una volontà consapevole che ha ordito per evitare che si arrivasse alla verità, quello che più spaventa è che oggi ci sia una rassegnazione ad accettare quello è emerso dal processo senza dar peso a tutte le contraddizioni, le prove e le smentite che mettono profondamente in crisi quella ricostruzione giudiziaria. «Negli anni Settanta tutto era delitto politico, ora siamo quasi negazionisti, accettiamo la versione ufficiale degli eventi: “Le cose sono andate come ce le hanno raccontate”. Ma non è così», aggiunge Cazzullo, «ce l’ha insegnato Pasolini che dobbiamo cercare la verità. Questo negazionismo, questo relativismo, è sbagliato: la verità esiste e va cercata». E non è troppo tardi. Sono passati 49 anni ma è ancora importante provare a trovarla: «Pasolini è un intellettuale complesso, e ancora molto vivo. Si vedono i suoi film, si leggono i suoi libri e le sue opere, ed è citato da destra e sinistra».

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