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I «lavoretti da un milione» per l’intelligence israeliana e le conoscenze istituzionali di Equalize. «Nell’archivio della banda anche atti riservati di Eni»

29 Ottobre 2024 - 15:05 Ugo Milano
Secondo la Dda milanese, Gallo e Pazzali l'organizzazione avrebbe goduto di ottimo credito tra i piani alti istituzionali. E la società avrebbe condiviso dati con i servizi israeliani

Nuovi sviluppi nell’inchiesta sulle banche dati istituzionali penetrate da Equalize. Secondo una maxi informativa del Nucleo investigativo di Varese, la società di sicurezza e investigazioni avrebbe avuto contatti con «soggetti legati all’intelligence israeliana». Alcuni agenti sarebbero stati presenti presso gli uffici di via Pattari, sede dell’agenzia di Enrico Pazzali, che si è autosospeso ieri da presidente della Fondazione Fiera. Lo stesso Pazzali e l’ex poliziotto Carmine Gallo – scrive il pm della Direzione distrettuale antimafia di Milano Francesco De Tommasi – facevano leva sui buoni rapporti con persone istituzionali di rango elevato per garantirsi l’impunità. Ma c’è di più sono stati individuati anche “atti riservati di Eni Spa» negli uffici a Milano, dove ha sede la società di investigazione al centro dell’indagine. Come si legge nelle carte, nei locali della società, oltre a «un vero e proprio ‘archivio di Polizia» ci sono numerosi atti su Paolo Simeone «noto youtuber e contractor italiano» ma anche «atti riservati» del gruppo petrolifero.

Il contatto con i servizi segreti israeliani

Nel febbraio 2023 due uomini «non identificati, che rappresenterebbero un’articolazione dell’intelligence dello Stato di Israele» sono entrati a contatto con membri di Equalize. Nello specifico con Nunzio Calamucci, hacker della società ora ai domiciliari, e con Vincenzo De Marzio, ex carabiniete indagato per i dossieraggi illegali. Calamucci, intercettato, ammette della presenza di una «proposta» israeliana: «Mi hanno proposto un lavoretto da un milione!». Il collante sarebbe stato proprio De Marzio: «Vincenzo, ma dove cazzo li hai conosciuti questi?», ricorda di aver chiesto Calamucci. «Mi fa… e sai quando ero giù, mi fa, io ho fatto due anni a Tel Aviv in Ambasciata… e mi fa… loro lavoravano con me!».

Lo stesso hacker, dopo aver ricordato di alcuni lavoretti da 40mila euro, allude ai documenti in mano all’Intelligence: «Tutti quelli del Qatar Gate». E aggiunge, non è chiaro riferendosi a cosa: «Metà dei dati li hanno dati al Vaticano, l’altra metà gli servono per combattere Wagner». I carabinieri hanno anche registrato la «presenza negli uffici di via Pattari» di altri soggetti, sempre parte dell’Intelligence israeliana. Sintomo, come già anticipato negli scorsi giorni, di una rete di penetrazioni illecite nei database che si espandeva ben oltre i confini nazionali.

La rete istituzionale e la «cortina fumogena»

Il dossieraggio di oltre 800mila persone, spiega la Dda milanese, avveniva in una situazione di sostanziale sicurezza per Pazzali e per l’amministratore di Equalize Gallo. Una «forte sensazione di impunità» che deriva – scrive De Tommasi – dalla «rete relazionale di altissimo livello di cui beneficiano i due principali partecipi». Pazzali e Gallo, infatti, avrebbero intrattenuto «contatti e rapporti confidenziali con persone appartenenti ai più elevati ranghi delle istituzioni pubbliche», tra le quali «godevano di ottimo credito». Una situazione che i due avrebbero sfruttato come «una cortina fumogena» dietro cui mimetizzarsi e schermarsi, «allontanando da sé il rischio di controlli e indagini invasive in grado di svelare i retroscena criminali di quella che, solo in apparenza, appare come una lecita attività di consulenza e investigazione».

Quella «cintura istituzionale», puntalizza De Tommasi, non era in nessun modo consapevole di ciò che stava avvenendo dietro alle loro spalle: «Persone estranee ai fatti e all’oscuro delle dinamiche criminose interne all’Equalize srl. E “lontane anni luce” dalla cultura dell’illegalità che anima i componenti del sodalizio». La sensazione di impunità di Gallo e Pazzali avrebbe poi «pervaso quella parte di utenti che a loro si rivolge ben sapendo che le modalità di acquisizione dei dati richiesti sono del tutto illecite». A questi clienti, infatti, le cyber-spie fornivano chiare indicazioni «su come utilizzare le informazioni senza che emergesse la provenienza delittuosa delle stesse».

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