In Evidenza Governo MeloniIsraeleSicurezza informatica
ESTERIDonald TrumpLavoro e impresaPetrolioPolitiche energeticheTasseUSAUSA 2024

Elezioni Usa 2024, le proposte di Trump sull’economia: meno tasse, poche regole, dazi e «Drill, baby, drill»

30 Ottobre 2024 - 23:22 Gianluca Brambilla
elezioni usa 2024 donald trump economia
elezioni usa 2024 donald trump economia
Il tycoon attacca i rivali Biden e Harris sui dati dell'inflazione e strizza l'occhio alla Silicon Valley (che questa volta potrebbe voltare le spalle ai Democratici)

«It’s the economy, stupid». Rispondeva così James Carville, stratega di Bill Clinton, a chi gli chiedeva quale fosse il tema che più incide sulle elezioni presidenziali americane. Le priorità degli elettori cambiano a ogni tornata elettorale: accesso all’aborto, diritti civili, politiche sull’immigrazione, interventismo in politica estera. Ma alla fine, spiegava Carville, è l’economia che conta più di ogni altra cosa. Lo sanno bene Donald Trump e Kamala Harris, che infatti hanno speso buona parte delle rispettive campagne elettorali a illustrare proposte su inflazione e recupero del potere d’acquisto. Secondo un sondaggio del Pew Research Center, otto elettori su dieci citano l’economia come primo e principale criterio per scegliere chi votare all’appuntamento con le urne del 5 novembre. Il 55% degli americani dice di fidarsi del piano economico di Trump, contro il 45% che opta invece per la rivale democratica. Ma se il tycoon dovesse riuscire davvero a tornare alla Casa Bianca come cambierebbe la politica economica del governo?

Leggi la nostra guida alle elezioni Usa 2024

Meno regole e meno tasse

Le parole d’ordine delle politiche economiche di Trump sono chiare: meno regole e meno tasse. Nella piattaforma programmatica del partito repubblicano – un documento molto scarno, di appena sedici pagine – il tycoon promette di «eliminare le normative che soffocano i posti di lavoro, la libertà, l’innovazione e rendono tutto più costoso», implementando «trasparenza e buonsenso nel processo normativo». Per quanto riguarda le tasse, Trump punta a ripristinare i tagli introdotti durante la sua presidenza, che sono andati a vantaggio soprattutto dei più ricchi. Tra le proposte di sgravi fiscali c’è poi l’idea di eliminare la tassa sulle mance per chi lavora nei ristoranti e negli hotel. «Il piano economico di Trump è inaffidabile e regressivo. Quasi tutte le sue proposte vanno a beneficio dei redditi più alti e non di chi sta nelle fasce medie o basse», spiega a Open Dean Baker, senior economist del Center for Economic and Policy Research.

Come sta (davvero) l’economia americana?

Il messaggio rivolto da Trump agli elettori ruota soprattutto attorno a una promessa: rivitalizzare l’economia e combattere l’inflazione. Questa narrazione ha fatto breccia nell’opinione pubblica, ma a guardare bene i dati c’è qualcosa che non torna. «L’economia statunitense ha avuto prestazioni decisamente migliori sotto Biden rispetto a Trump. Abbiamo avuto la serie più lunga di mesi con una disoccupazione inferiore al 4% dall’inizio degli anni Cinquanta», spiega ancora Dean Baker. E in effetti gli Stati Uniti saranno il Paese del G7 con la crescita economica più robusta nel 2024: +2,8%, secondo le ultime stime raccolte da Axios. Persino i dibattiti sulla «crisi del costo della vita» rischiano di essere fuorvianti. «I salari reali sono notevolmente più alti rispetto a prima della pandemia. La stragrande maggioranza delle persone ha un potere d’acquisto maggiore rispetto al 2019, perché si parla di crisi del costo della vita?», si chiede ancora l’economista del Center for Economic and Policy Research.

Secondo Baker, questo gap tra l’andamento effettivo dell’economia e la percezione dell’opinione pubblica è un risultato diretta della copertura dei media, che a suo dire sono stati «inesorabilmente negativi nel loro resoconto sull’economia» e hanno facilitato così il lavoro della campagna elettorale di Trump. Gianluca Violante, professore di Economia alla Princeton University, non è completamente d’accordo con questa ricostruzione. «È vero, l’economia reale sta andando molto bene e i salari stanno lentamente recuperando l’aumento dei prezzi. Ma tante famiglie sentono che il loro potere d’acquisto è diminuito e questo è un fatto reale, non una percezione», spiega Violante. E per rendersene conto, basta fare un rapido calcolo. È vero che l’inflazione a settembre è scesa al 2,4% – molto vicino all’obiettivo fissato dalla Fed – ma ci ha messo più di due anni per riuscirci. «Se si sommano gli aumenti dal 2021 ad adesso, il livello di prezzi è cresciuto di poco meno del 20%. È un aumento enorme rispetto all’esperienza economica degli Stati Uniti degli ultimi 40 anni», fa notare il docente italiano di Princeton.

pil g7 economia americana
Una tabella di Axios sull’andamento del Pil nei Paesi del G7

Un muro di dazi contro l’inflazione

Per quanto riguarda l’inflazione, l’analisi di Trump è spietata. Nel documento programmatico del Partito Repubblicano si parla dell’aumento generale dei prezzi come di un fenomeno che ha «schiacciato la classe media e devastato i bilanci delle famiglie». La ricetta del tycoon per restituire potere d’acquisto alle famiglie americane passano non solo da una massiccia operazione di deregulation, ma da altre due misure, tanto controverse quanto di dubbia efficacia: dazi più elevati sulle importazioni dall’estero e tolleranza zero sull’immigrazione irregolare. Per quanto riguarda i commerci con l’estero, Trump propone di introdurre tariffe del 20% sulle importazioni, che salgono al 60% per i prodotti che arrivano dalla Cina. Una misura di chiaro stampo protezionistico, che secondo gli esperti potrebbe generare un effetto opposto rispetto a quello sperato. Le importazioni di beni, ricorda Dean Baker, «ammontano a circa il 12% del Pil», quindi la proposta di Trump «aumenterebbe direttamente l’inflazione di 2-3 punti percentuali». In caso di reazione da parte dei partner commerciali, per esempio tramite l’imposizione di dazi sulle esportazioni americane, ci sarebbe inoltre da fare i conti con «una perdita di posti di lavoro su larga scala».

Deportazioni di massa e controlli al confine

Tra le proposte economiche di Trump figura anche la lotta all’immigrazione irregolare, con la promessa di avviare la più grande deportazione di massa nella storia degli Stati Uniti. Qualcuno potrebbe chiedersi: cosa c’entra la politica migratoria con la lotta all’inflazione? La spiegazione fornita da Trump nel documento programmatico del Partito Repubblicano è la seguente: «Le politiche di frontiere aperte introdotte dai Democratici hanno fatto aumentare i costi di alloggi, istruzione e assistenza sanitaria per le famiglie americane». Insomma: se il costo della vita aumenta, sostiene Trump, la colpa è anche dell’afflusso di immigrati irregolari dal confine con il Messico. Ma anche in questo caso, le politiche proposte dal tycoon sembrano non convincere gli esperti. Secondo Baker, un eventuale maxi-piano di deportazione di 20 milioni di irregolari rischierebbe di paralizzare il settore agricolo, dove circa il 40% della forza lavoro impiegata è senza documenti. Questo, spiega ancora l’economica americano, «farà salire alle stelle i prezzi dei prodotti alimentari».

donald trump economia americana pechino 2017
Donald Trump durante la sua visita a Pechino nel 2017 (EPA/Roman Pilipey)

L’asse con Elon Musk, la Silicon Valley e i fan delle criptovalute

Il programma economico dei Repubblicani risente poi dell’insolita alleanza fra Donald Trump e Elon Musk. L’imprenditore sudafricano, naturalizzato statunitense, condivide appieno le politiche di deregulation di cui il tycoon si è fatto portavoce, al punto che ha donato svariati milioni di dollari alla sua campagna elettorale. Se non altro, perché ha molto da guadagnarci. Trump è notoriamente contrario ad alzare le tasse sui grandi patrimoni, condivide lo stesso disprezzo per i sindacati più volte espresso da Musk e la sua politica di tolleranza zero sulle importazioni dalla Cina sarebbe un regalo enorme alla Tesla, la casa automobilistica di vetture elettriche fondata proprio dal miliardario sudafricano. Le politiche economiche di Trump sembrano aver fatto breccia anche tra alcuni imprenditori della Silicon Valley, che negli anni hanno finanziato regolarmente le campagne elettorali tanto dei Democratici quanto dei Repubblicani.

Kamala Harris, che ha alle spalle una lunga carriera da procuratrice in California, conosce personalmente molti amministratori delegati delle Big Tech. Ad agosto, la vicepresidente ha partecipato a un evento elettorale con imprenditori e venture capitalist della Silicon Valley in cui ha raccolto oltre 12 milioni di dollari. Ma i democratici hanno iniziato a perdere consensi tra i colossi del mondo digitale, specialmente dopo che Biden ha affidato l’Antitrust alla temutissima Lina Khan, docente di legge della Columbia Law School, che ha avviato una stretta senza precedenti sui monopoli, in particolare quelli che dominano i motori di ricerca e le piattaforme social. Trump ha pensato bene di approfittare della situazione strizzando l’occhio non solo alla Silicon Valley, ma anche ad alcuni settori emergenti dell’economia digitale. Due su tutti: le criptovalute e l’intelligenza artificiale. Il suo documento programmatico promette infatti di «difendere il diritto degli americani a minare Bitcoin» e smantellare i regolamenti «della sinistra radicale che bloccano lo sviluppo» dell’intelligenza artificiale.

La finanza fa il tifo per Trump

A tifare per un ritorno di Trump alla Casa Bianca è anche il mondo della finanza. «Per chi lavora in quel settore contano soprattutto due cose: la stabilità e le tasse», spiega Violante. Per quanto riguarda la stabilità, soprattutto geopolitica, non è chiaro chi tra Trump e Harris potrà riscuotere maggior successo nel risolvere i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Ma se si guarda alle proposte in materia fiscale, non c’è partita tra i due candidati. «Harris vuole aumentare la tassa per le imprese e la pressione fiscale sui ricchi, è chiaro che la finanza su questo preferisce Trump», osserva ancora il docente italiano dalla Princeton.

Il ritorno del carbone e la politica del «Drill, baby, drill»

Infine, c’è il capitolo energia. Un settore tutt’altro che trascurabile dell’economia, che catalizza flussi enormi di denaro. Durante l’amministrazione Biden, i Democratici hanno approvato l’Inflation Reduction Act (Ira), un maxi-piano di investimenti che ha stanziato la somma più ingente nella storia del Paese per le rinnovabili e le tecnologie pulite. Trump ha sempre negato apertamente l’esistenza dei cambiamenti climatici, bollati come «un complotto inventato dai Cinesi», e in questa campagna elettorale ha promesso di smantellare i fondi e gli incentivi stanziati da Biden per la transizione ecologica. «Sotto la presidenza Trump, gli Stati Uniti sono diventati il ​​produttore numero uno di petrolio e gas naturale al mondo, e presto torneremo a esserlo ponendo fine al Green New Deal socialista», si legge nel documento programmatico dei Repubblicani. Il tycoon promette di cancellare ogni restrizione sulla produzione di petrolio, carbone e gas naturale. O, per dirla con le sue parole, inaugurare la politica del «Drill, baby, drill» (“To drill” in inglese significa trivellare – ndr). Le conseguenze di queste politiche avrebbero conseguenze catastrofiche per la lotta ai cambiamenti climatici. Ma il tema, con ogni probabilità, non sarà affatto decisivo per gli elettori americani. «It’s the economy, stupid», direbbe anche questa volta James Carville.

In copertina: Donald Trump durante un comizio a Greensboro, nel North Carolina (EPA/Erik S. Lesser)

Articoli di ESTERI più letti
leggi anche