Elezioni Usa 2024, le proposte di Kamala Harris sull’economia: nuove case, salario minimo a 15 dollari e controllo dei prezzi
Quando si tratta di difendere i diritti riproduttivi o la tenuta della democrazia, la maggioranza degli americani si affiderebbe molto più volentieri a Kamala Harris che a Donald Trump. Quando si parla però di proposte economiche e lotta all’aumento dei prezzi, lo scenario si ribalta. L’ultimo sondaggio del New York Times, realizzato come di consueto in collaborazione con il Siena College, certifica ancora una volta ciò che analisti ed esperti dicono ormai da diverso tempo: le ricette economiche di Trump sono più popolari di quelle di Harris. Un grattacapo tutt’altro che passeggero per i Democratici, soprattutto se si considera che l’economia è uno dei temi che più sta a cuore agli elettori. Per conquistare moderati e indecisi, la campagna elettorale di Kamala Harris ha puntato su un programma ambizioso e articolato, che contiene però misure decisamente meno roboanti e sopra le righe rispetto a quanto propone il suo rivale.
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L’«economia delle opportunità» e le misure per gli aspiranti imprenditori
La ricetta economica della candidata democratica è ben riassunta da una promessa ripetuta con insistenza durante la campagna elettorale: creare una opportunity economy, ossia un’«economia delle opportunità». Nel concreto, significa lavorare affinché «tutti gli Americani – si legge nel programma – abbiano la possibilità di competere e avere successo», senza limitarsi semplicemente a tirare avanti. Ma come si articola la costruzione di questa «economia delle opportunità» promessa da Kamala Harris? Innanzitutto, passa dalla ricostruzione della classe media, come si legge nel documento programmatico dei Democratici, lungo ben 82 pagine (quello di Trump ne conta appena 16). Harris propone una serie di sgravi fiscali per quei 100 milioni di cittadini americani che fanno parte della working class e della middle class. È il caso del credito d’imposta per i figli a carico, che i dem propongono di alzare fino a 3.600 dollari, oppure dello sgravio fiscale di 6mila dollari per le famiglie che hanno appena avuto un bambino.
C’è poi il capitolo dedicato alle misure per stimolare l’economia e favorire la concorrenza (ma anche l’occupazione). Su questo fronte, una delle novità principali che Harris punta a introdurre riguarda gli aspiranti piccoli imprenditori. Nel documento programmatico dei Democratici si insiste sulla necessità di alzare notevolmente le spese detraibili dalle tasse per chi vuole aprire una piccola attività commerciale. Ad oggi, il tetto massimo è fissato a 5mila dollari, nonostante si stimi che ne servano in media circa 40mila per avviare un progetto imprenditoriale. Da qui, dunque, la proposta di Harris di decuplicare la soglia esistente, portandola fino a un massimo di 50mila dollari. Una misura attraverso cui i Democratici puntano a incentivare l’apertura di piccole attività commerciali, responsabili del 70% dei nuovi posti di lavoro creati dal 2019 a oggi. Durante la presidenza di Joe Biden, spiega Dean Baker, senior economist del Centre for Economic Policy Research, «c’è stata un’enorme impennata nella creazione di nuove imprese, con donne, neri e ispanici che hanno aperto nuove attività a ritmi mai visti prima». E l’intenzione di Harris sembra essere quella di proseguire su questa strada.
Tre milioni di nuove case
C’è poi un intero capitolo del programma economico dei democratici dedicato alla crisi abitativa. Per risolvere questo problema, la vicepresidente punta su una doppia soluzione. Da un lato, garantire un’assistenza di 25mila dollari a chi compra la sua prima casa. Dall’altro, dare vita a un’alleanza pubblico-privato per costruire tre milioni di nuove abitazioni. «Bisogna vedere se riuscirà a convincere i governi statali e locali ad allentare tutte quelle restrizioni che rendono proibitivo i costi di costruzione. Se avrà successo, e c’è ragione di credere che potrebbe riuscirci, il suo programma avrà un impatto sostanziale sui costi degli alloggi», spiega ancora Baker. Anche secondo Gianluca Violante, docente di Economia alla Princeton University, il programma economico di Kamala Harris potrebbe portare a buoni risultati. «Il suo piano segue un approccio olistico e ha anche un certa coerenza», osserva Violante. C’è però anche un altro lato della medaglia da tenere in considerazione: «Ha puntato tutto su questa promessa dell’economia delle opportunità, ma può essere molto rischioso. Non è detto – continua il docente di Princeton – che misure ambiziose e di lungo periodo possano funzionare in una campagna elettorale così combattuta».
La ricetta contro il «price gouging»
Prima di concedersi il lusso di pensare a nuove abitazioni e sgravi fiscali, l’aspirante inquilina della Casa Bianca dovrà fare i conti con un problema ben più pressante: l’inflazione. Nei quattro anni di presidenza Biden, l’economia americana ha macinato numeri da record, con la disoccupazione ai minimi storici e un tasso di crescita dei salari che non si vedeva da decenni. Le politiche fiscali di Washington sono riuscite a raffreddare l’aumento generale dei prezzi e riportare l’inflazione al 2,4%, ma l’effetto cumulato negli ultimi due anni e mezzo ha rosicchiato il potere d’acquisto delle famiglie. Ed è qui che entra in gioco la politica più coraggiosa, ma anche criticata, di Kamala Harris: vietare a livello federale il cosiddetto price gouging, ossia la pratica messa in atto da quelle aziende che aumentano i prezzi di beni e materie prime senza che ci sia un vero motivo per farlo. «È una battaglia contro i mulini a vento», commenta Gianluca Violante. «È veramente difficile – continua – da un punto di vista economico implementare una misura del genere. Come si fa a distinguere un’azienda che pratica davvero il price gouging da un’altra che sfrutta semplicemente il suo potere di mercato?».
E quella contro i monopoli
L’altra grande battaglia di Kamala Harris per abbassare i prezzi e favorire la concorrenza passa dalla lotta senza sconti ai monopoli. Su questo fronte, la presidenza Biden ha segnato un vero e proprio cambio di passo. I Democratici hanno affidato l’Antitrust a Lina Khan, docente di Legge della Columbia Law School e figura molto apprezzata anche dall’ala sinistra del partito. Sotto la sua guida, la Federal Trade Commission ha avviato indagini su colossi come Amazon, Facebook, Apple e altre aziende di Big Tech. Nel caso di Google, il dipartimento di Giustizia sta pensando addirittura di percorrere l’ipotesi «spezzatino», imponendo all’azienda di Mountain View di vendere Android, Chrome e Google Ads. «La battaglia ai monopoli che sta facendo Lina Khan è giustissima e credo che, entro certi limiti, sia utile per arrivare a un’economia più competitiva», osserva ancora Violante. Kamala Harris ha fatto capire di voler proseguire su questa strada, nonostante alcuni colossi del settore tech stiano facendo pressione sulla sua campagna elettorale per chiedere un cambio di strategia.
Un programma che strizza l’occhio a tutti
Se si guarda al programma economico di Kamala Harris nel suo complesso, le proposte sulla lotta al price gouging e ai monopoli sono senz’altro le più radicali. Per il resto, l’intera piattaforma dei democratici sembra strizzare l’occhio più agli elettori moderati che all’ala progressista del partito. Ne sono un esempio le numerose misure a favore della classe media e gli sgravi fiscali proposti per aspiranti imprenditori. «Nel programma di Harris ci sono molte proposte che la maggior parte degli elettori moderati sosterrebbe con forza, come un credito d’imposta più elevato per chi ha figli a carico», spiega Dean Baker.
Resta però un elemento di cui Harris deve tenere conto: per vincere la corsa alla Casa Bianca, la candidata dei Dem ha bisogno di mobilitare non solo gli indecisi ma anche tutta la base del suo partito, compresa l’ala dei socialisti democratici che fa capo a figure come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Su alcuni dossier, Kamala Harris ha fatto marcia indietro rispetto al passato. La proposta di rendere le università americane tuition free, ossia prive di rette da pagare, non compare nella piattaforma dei democratici. Mentre sul fracking, una controversa pratica di estrazione di gas e petrolio, Harris ha chiarito di non essere più a favore di un divieto a livello federale.
Quali sono quindi le proposte economiche dell’ala progressista su cui Kamala Harris ha deciso di fare campagna elettorale? Due su tutte: aumentare le tasse sui più ricchi e alzare il salario minimo. «I miliardari devono pagare la loro giusta quota di tasse. Non dovrebbero essere in grado di pagare un’aliquota fiscale effettiva inferiore a quella di un insegnante o di un pompiere», si legge nel programma dei democratici, che propongono di istituire un’imposta minima sul reddito dei miliardari. Per quanto riguarda il salario minimo, la piattaforma programmatica di Kamala Harris si mantiene piuttosto vaga. A poche settimane dalle elezioni, però, la candidata ha appoggiato pubblicamente la proposta di Bernie Sanders di alzare a 15 dollari il salario minimo a livello federale, fermo a 7,25$ dal lontano 2009.
October 26, 2024
L’ambiguità sui dazi alla Cina
Su una cosa Donald Trump e Kamala Harris sembrano essere d’accordo: la vera sfida sul lungo periodo per gli Stati Uniti sarà la concorrenza con la Cina. Ma quando si tratta di come affrontare questa sfida, i due candidati propongono ricette molto diverse. Il tycoon spinge sull’introduzione di dazi al 60% su tutte le importazioni da Pechino. Una misura che secondo gli esperti farebbe alzare l’inflazione. Harris ha criticato la proposta di Trump, ma lo ha fatto quasi sotto voce, per paura di perdere voti. «Sui dazi alla Cina Harris non è stata molto esplicita. Probabilmente teme di pagare lo scotto nelle contee decisive e negli Stati in bilico», osserva Violante. L’amministrazione Biden, d’altra parte, ha già alzato i dazi al 100% sulle auto elettriche e al 50% sui pannelli solari importati da Pechino. Trump ha fatto capire di voler andare ben oltre queste percentuali, mentre Harris si è mostrata piuttosto vaga. La candidata democratica ha ripetuto in più occasioni di voler lavorare affinché sia «l’America, non la Cina, a vincere la competizione del 21esimo secolo». La sua strategia, però, resta poco chiara. Un’ambiguità che Harris rischia di pagare alle urne.
In copertina: La candidata democratica Kamala Harris durante un evento elettorale ad Atlanta, in Georgia, 19 ottobre 2024 (EPA/Erik S. Lesser)