Claudio Ranieri ha dato l’addio al calcio: «Ma ci sto ripensando»
Claudio Ranieri ha realizzato il suo sogno da bambino: «Fare il calciatore». Mentre al mestiere di allenatore da piccolo non pensava: «Quando Gianni Di Marzio, che mi aveva avuto come difensore prima a Catanzaro e poi a Catania, mi ha suggerito la panchina della Vigor Lamezia, non ero troppo convinto. E invece…». In un’intervista al Corriere della Sera ripercorre la sua vita e la sua carriera. A partire dalla macelleria del padre a Testaccio: «Sì, ero l’ultimo di quattro fratelli e a volte, come tutti, davo una mano in negozio. Ma meno degli altri. Passavo le giornate all’oratorio che, a quei tempi, sostituiva la scuola calcio. Messa, pane e marmellata e poi finalmente il pallone».
Il provino di Herrera
Ranieri giocava «anche a basket e pallavolo, tutto tranne il tennis, che non mi piaceva. Poi sono entrato nella Dodicesimo giallorosso, una squadretta sovvenzionata dalla Roma. Ero bravino, facevo l’attaccante e a un provino il mago Herrera mi scelse per la Roma, la squadra del mio cuore», dice ad Alessandro Bocci. A quel punto ha cominciato con la Primavera, «ma nelle partitelle del giovedì, contro due difensori come Bet e Santarini, non la vedevo mai. Così ho deciso di mettermi in difesa ed è stata la mia fortuna». Poi Di Marzio lo ha voluto al Catanzaro: «Ci sono stato otto anni, è la città di mia moglie Rosanna e anche mia figlia Claudia è nata li. Ho una casa a Copanello e ogni estate ci ritroviamo con i miei vecchi compagni, che sono diventati gli amici di una vita: appena ci rivediamo scatta la magia di un tempo».
Rosanna
La moglie Rosanna «era figlia di un giornalista e la migliore amica della fidanzata del mio capitano, Banelli, un altro del gruppo. Tutto è successo in fretta e siamo ancora qui, vicino ai cinquant’anni di matrimonio. Rosanna c’è sempre stata, nei momenti belli e in quelli difficili, mi ha seguito in ogni avventura, è la regina dei traslochi. Allo stadio però viene di rado, dice che soffre troppo». Ha esordito nella A.S. Roma e poi l’ha allenata: «Mazzone, un altro dei miei maestri, mi diceva che se non si allena la Roma non si è allenatori. Quando mi hanno chiamato, la prima volta, ci ho pensato parecchio. Temevo di fallire». Alla fine ha quasi vinto uno scudetto: «È vero che, per come si erano messe le cose, potevamo farcela. Però nessuno ricorda mai che sono arrivato a campionato iniziato e ho fatto più punti dell’Inter. Eravamo in testa, ma abbiamo perso in casa 2-1 con la Samp, una partita che doveva finire 3-0. Il calcio è così. Della Roma mi resta il cuore gonfio della mia gioia di essere romanista».
Cagliari e Leicester
La prima squadra vera che ha allenato è stata il Cagliari. Ed è stata anche l’ultima: «Cagliari per me è più importante di Leicester». Anche se lì ha vinto lo scudetto: «Non pensavo di vincere. Non sono un sognatore e so quanto sia difficile la Premier League. La mia preoccupazione in quel periodo era mantenere la leggerezza nello spogliatoio». Adesso, però, non esclude un ritorno: «Confesso che ho voglia di rimettermi in discussione anche se ho già detto di no a più di una proposta. Vediamo se arriva la chiamata di una Nazionale. Non quella italiana: ho la massima fiducia in Spalletti». E la Roma, di cui si parla? Su quello non ha niente da dire. Per mille motivi.