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Dall’elettrico alle estrazioni di petrolio: cosa succede se vince Trump e perché per l’Europa può essere una buona notizia

03 Novembre 2024 - 18:53 Gianluca Brambilla
elezioni usa 2024 Trump clima
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L'ex presidente nega apertamente l'esistenza dei cambiamenti climatici e promette di smantellare gli investimenti green avviati da Biden. Ma i primi a opporsi potrebbero essere proprio i governatori Repubblicani. E se anche dovesse riuscirci, potrebbe favorire l'Ue

Il cambiamento climatico non avrà alcun effetto sulle elezioni presidenziali americane. Ma le elezioni presidenziali americane potrebbero avere un grosso effetto sul cambiamento climatico. I programmi con cui Donald Trump e Kamala Harris si presentano all’appuntamento del 5 novembre riflettono due visioni profondamente diverse dell’America. Una differenza che si fa ancora più marcata se si guarda alle politiche ambientali e per il clima. Da una parte ci sono i democratici, che spingono per la transizione verso un’economia a emissioni zero ma si guardano bene dal parlarne troppo in campagna elettorale, per timore di perdere voti tra indecisi e moderati. Dall’altra ci sono i repubblicani, che non propongono una ricetta alternativa per combattere i cambiamenti climatici – come fanno, per esempio, i popolari in Europa – ma negano apertamente la loro esistenza. In un momento storico in cui tutto il mondo prova – a fatica – ad arrestare l’avanzata del riscaldamento globale, che effetto avrebbe un ritorno di Trump alla Casa Bianca?

Un negazionista dentro lo Studio Ovale

Per provare a rispondere, è bene innanzitutto guardare a ciò che il tycoon ha fatto durante il suo mandato da presidente. Negli anni in cui era alla guida della prima economia al mondo, Trump ha bollato il riscaldamento globale come «un’invenzione della Cina» e anche a questa tornata elettorale non ha lesinato nell’attaccare le politiche per il clima. La transizione verso l’auto elettrica? Porterà a un «bagno di sangue». Le pale eoliche? «Causano il cancro» e «uccidono le balene». L’aumento delle temperature? «Vanno su e poi vanno giù, il clima è sempre cambiato». Secondo un calcolo del New York Times, durante i suoi quattro anni alla Casa Bianca Trump ha smantellato più di cento provvedimenti sul clima, comprese alcune norme per la tutela dell’aria, dell’acqua e degli animali introdotte da altri presidenti repubblicani. In più, ha fatto uscire gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, il documento firmato alla Conferenza Onu sul clima del 2015 che impegna i governi a contenere l’aumento della temperatura media mondiale «ben al di sotto» di 2°C rispetto ai livelli preindustriali.

Il ritorno di petrolio, gas e carbone

Rispetto alla sua prima campagna presidenziale, questa volta Trump si trova a dover fare i conti con un contesto decisamente mutato. La sensibilità nei confronti dei cambiamenti climatici è cresciuta a dismisura negli ultimi anni e ha spinto i governi di tutto il mondo ad attrezzarsi di conseguenza. Nel 2022, durante l’amministrazione Biden, gli Stati Uniti hanno approvato l’Inflation Reduction Act (Ira), che comprende il più grande pacchetto di misure mai approvato per promuovere la produzione di energia pulita e, in generale, tutti gli investimenti necessari per ridurre le emissioni di gas serra.

Eppure, dal 2016 ad oggi la posizione di Trump su questi temi non è cambiata di una virgola. Nel suo documento programmatico per le elezioni del 5 novembre non compare alcun riferimento al riscaldamento globale, ai cambiamenti climatici o all’aumento delle temperature. Le proposte dei repubblicani in vista delle elezioni ignorano completamente il problema e prevedono un’espansione senza precedenti delle estrazioni di petrolio, gas e carbone, ovvero dei combustibili fossili principali responsabili della crisi climatica. Nel programma si legge: «Toglieremo ogni restrizione sulla produzione di energia americana e cancelleremo il Green New Deal socialista», ovvero quel pacchetto di proposte per il clima presentato da alcuni deputati democratici nel 2019 che non ha mai davvero visto la luce.

L’effetto sulla diplomazia climatica

Un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sarebbe inevitabilmente un enorme passo indietro per le politiche per il clima e potrebbe galvanizzare i partiti conservatori di altre parti del mondo ad abbracciare posizioni negazioniste sul tema. Eppure, secondo alcuni esperti, i danni potrebbero ben più limitati di quanto avvenne nel 2016 e limitarsi (si fa per dire) ai soli Stati Uniti. «Durante la sua presidenza, Trump ha indebolito o ritirato le politiche federali sul clima e ha annunciato che questa volta lo farà in modo più energico. Ma non sarà in grado di cambiare l’economia o le tendenze del mercato», fa notare Linda Kalcher, direttrice esecutiva del think tank Strategic Perspectives. A supporto di questa tesi, Kalcher invita a osservare a ciò che sta accadendo nel resto del mondo: «Se si guarda alla determinazione con cui la Cina vuole primeggiare nella corsa alle tecnologie pulite, è facile realizzare che difficilmente invertirà la rotta. Sempre più Paesi inizieranno a puntare sulla sicurezza energetica invece di restare dipendenti dalle importazioni fossili». Resta il fatto che un’amministrazione americana a guida Trump potrebbe guastare non poco i negoziati della diplomazia climatica che ogni anno l’Onu organizza con le Cop. «Un nuovo ritiro dall’Accordo di Parigi o addirittura dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul clima avrebbe un impatto duraturo sui negoziati multilaterali sul clima e potrebbe comportare un flusso ancora minore di finanziamenti verso i paesi in via di sviluppo», mette in guardia Kalcher.

Donald Trump al summit sull’azione climatica organizzato nel 2019 dall’Onu a New York (EPA/Hayoung Jeon)

Gli investimenti in tecnologie pulite? Quasi tutti negli Stati repubblicani

Una seconda presidenza Trump, insomma, sicuramente rafforzerebbe il ruolo dei combustibili fossili negli Stati Uniti, ma difficilmente riuscirebbe a invertire la rotta che sta seguendo – seppur troppo lentamente e un po’ a fatica – l’economia di tutto il mondo. Una posizione che sembra condividere anche Samantha Gross, esperta di clima e sicurezza energetica del Brookings Institute: «Anche se Trump vincesse la presidenza, non mi aspetto che l’Inflation Reduction Act venga cancellato». Continua l’esperta: «La maggior parte degli investimenti che avvengono con i finanziamenti dell’Ira hanno luogo in Stati e distretti rappresentati dai repubblicani, che non vorranno perdere questi soldi». Insomma, qualora Trump dovesse tornare alla Casa Bianca ci sarebbe senz’altro «molta retorica sull’eliminazione dell’Ira, ma non mi aspetto che ciò accada davvero».

Anzi, i dati sui fondi dell’Inflation Reduction Act mostrano che sono soprattutto gli Stati governati dai Repubblicani a beneficiare dei nuovi posti di lavoro creati dall’industria delle rinnovabili e delle altre tecnologie pulite. Nella top ten degli Stati che più hanno beneficiato del maxi-pacchetto di aiuti, sette sono governati dai conservatori (Georgia, South Carolina, Ohio, Tennessee, Nevada, Indiana, Oklahoma) e solo tre dai Democratici (Michigan, Arizona e North Carolina). I risvolti positivi di questi investimenti sulle economie locali sono diventati talmente evidenti che alcuni rappresentanti locali del partito repubblicano hanno lanciato un appello a Trump affinché non cancelli gli investimenti già programmati grazie all’Inflation Reduction Act.

I possibili vantaggi economici per l’Europa

Una marcia indietro sull’Ira, insomma, non è così scontata come potrebbe sembrare. Ma se Trump decidesse davvero di smantellare gli investimenti in tecnologie pulite approvati dall’amministrazione Biden, potrebbe essere l’Europa a beneficiarne. «Se Trump revocasse l’Inflation Reduction Act e le aziende smettessero di modernizzarsi, nel medio termine potrebbe mettere a rischio i posti di lavoro nel settore manifatturiero americano», fa notare Linda Kalcher. A quel punto, si aprirebbe uno scenario opposto rispetto a quello osservato negli ultimi anni. Nel 2022, dopo l’approvazione dell’Ira da parte del Congresso americane, alcune aziende europee hanno deciso di traslocare negli Stati Uniti una parte degli investimenti, proprio per intercettare i sussidi distribuiti dal governo americano. Se quegli aiuti venissero a mancare, alcune di quelle imprese potrebbero decidere di tornare in Europa, dove tra l’altro la Commissione europea dovrebbe presentare a breve un nuovo piano industriale – ribattezzato Clean Industrial Deal – per stimolare la manifattura di tecnologie pulite.

Foto di copertina: Elaborazione grafica di Enzo Monaco

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