Le università di Gaza riprendono le lezioni online. Le voci degli studenti: «Apprendimento compromesso, ma solo così il mondo saprà che esistiamo»
«Prima del 7 ottobre avevo grandi sogni: volevo diventare una scrittrice, ma ora non penso più al mio futuro». Haya è una studentessa del terzo anno di letteratura inglese all’Università islamica (IUG), la più grande e la più antica di Gaza. Stava frequentando il primo semestre del terzo anno quando il governo israeliano ha lanciato l’offensiva di terra all’interno della Striscia dopo l’attacco di Hamas. In quel periodo era un’alunna del professore e poeta palestinese Refaat Alareer, ucciso a dicembre dello scorso anno da un’attacco nell’enclave palestinese. Pure Huda, anch’ella studentessa di letteratura inglese alla IUG, seguiva le sue lezioni. «Mi ha ispirata», dice a Open. In un futuro non troppo lontano si immagina «docente di letteratura e scrittrice prolifica – afferma – Proprio come lui». L’11 ottobre dello scorso anno le Forze di difesa di Tel Aviv hanno pubblicato il video dell’attacco contro la loro università. Hanno distrutto l’edificio, ma non il ricordo dei professori «così preziosi», ci confida Haya. «Ci incoraggiavano sempre a trovare il modo per orientarci nel mondo».
«I raid israeliani, la connessione instabile e la salute mentale compromessa complicano l’apprendimento»
Dopo oltre un anno, le 3 università più grandi della Striscia – l’islamica, l’università Al-Azhar e l’ateneo Al-Israa – hanno ripreso le lezioni online. «Ma i problemi di connessione, la mancanza di dispositivi elettronici per seguire le lezioni e l’elettricità spesso assente complicano la riattivazione dei corsi», spiega a Open Khader Tawfiq, professore di linguistica e studi inglesi della IUG. E gli studenti – molti dei quali sfollati – faticano a rientrare nella routine anche a causa dei continui raid israeliani. «È estremamente difficile seguire i corsi online», precisa Haya. «Sono stanca di tutto ciò che mi circonda: trovo conforto nella scrittura soltanto quando mi sento incapace di parlare o pensare» a cosa c’è là fuori. Huda ha invece sospeso, almeno per il momento, i suoi studi. Ma non per scelta. «Sono stata forzatamente sfollata a Sud a febbraio, i soldati israeliani sono entrati nel mio quartiere e distrutto la nostra casa – afferma -. Hanno arrestato gli uomini, bendandoli e ammanettandoli, mentre ci sottoponevano a ore di interrogatorio». La sua salute mentale «è gravemente compromessa», ci confida. «Siamo sottoposti a continui ordini di evacuazione: la terza volta è stata circa 20 giorni fa quando sono stata costretta a lasciare Nuseirat e andare a Khan Yunis» dove nelle tende e nei rifugi di fortuna «la connessione – sottolinea la studentessa – è inaffidabile».
«Studiare è una atto di resistenza»
Nonostante la tragica situazione sulla Striscia, per tantissimi universitari studiare è «un atto di resistenza». Come lo è scrivere, e documentare. «Ognuno di noi resiste a modo suo», ci dice Huda. «Le forze di occupazione – continua – hanno estinto molte scintille di conoscenza, vedono i libri e le parole come minacce. Perseguendo l’istruzione, costruiamo una società e una generazione fiorente e potente che può sconfiggere l’occupante». In che modo? «Non impugnerò un fucile, non sparerò, né lancerò razzi – risponde -. Ma posso impugnare le mie penne e il mio telefono per scrivere e documentare le nostre storie affinché il mondo sappia che esistiamo». Alla base della crescita e dello sviluppo umano «c’è l’istruzione – le fa eco il professore Khader Tawfiq -. È ampiamente riconosciuto: ogni accordo internazionale riafferma il diritto di tutti all’istruzione».
Gli edifici vengono bombardati, ma l’istruzione resta
A Gaza non ci sono più università. Le forze di difesa israeliane hanno bombardato tutti e 3 gli atenei più grandi e i 15 istituti di istruzione superiore (nonché tutte le scuole di grado inferiore) della Striscia, nel tentativo di sradicare, a detta dell’esercito, il gruppo islamista Hamas. Gli accademici palestinesi, in una lettera aperta di fine maggio, hanno denunciato lo «scolasticidio in atto». Il termine, utilizzato anche dall’Onu, si riferisce alla «distruzione sistematica del settore dell’istruzione», quest’ultimo «un pilastro vitale dell’esistenza dei palestinesi e un segnale di speranza per il popolo», scrivono i professori e ricercatori nella missiva. La distruzione delle università della Striscia per molti studenti e docenti è un dolore collettivo. «In ogni famiglia c’è almeno un componente che ha un legame con le università di Gaza – ci spiega Haya -. Che sia uno studente o un ex alunno o un famigliare che si è recato nella struttura per festeggiare la laurea di un figlio, un nipote, un amico. Quando l’università islamica è stata bombardata hanno pianto tutti», dice.
La paura di essere uccise, di perdere la propria famiglia, di non rivedere più i propri compagni o di rimanere intrappolate e sfollate per sempre, è una sensazione così presente, e pressante, nella vita di entrambe le studentesse. I timori lasciano, però, spazio – ma non sempre, a volte – al ricordo di ciò che hanno imparato. «Insegnamenti così potenti che risuonano in me», sottolinea Huda. «Uno l’ho appreso durante il famoso soliloquio Essere o non essere – continua l’universitaria -: il nostro professore lo ha trasformato in “Essere o essere” sottolineando come noi palestinesi non abbiamo altra opzione che esistere, ma come desideriamo». Un’altra lezione ha invece a che fare ancora una volta con il docente Refaat Alareer. «Un giorno mi ha detto – ricorda -: “A volte una patria diventa un racconto”: noi amiamo la storia perché riguarda la nostra patria, e amiamo la patria ancora di più grazie alla storia. Queste lezioni – conclude Huda – risuonano continuamente nella mia mente, plasmando la mia prospettiva».
La speranza dei professori: «Dalle tende ricostruiremo l’università ancora una volta»
Euro-Med Human Rights Monitor, organizzazione non governativa con sede a Ginevra, ha pubblicato a maggio i primi dati sull’entità della perdita umana dopo i bombardamenti alle università. In sei mesi di guerra più di 5mila studenti di ogni grado (il dato relativo agli studenti delle università non è scorporato) e oltre 100 professori universitari sono stati uccisi a Gaza. Si tratta di numeri destinati a salire, e in linea con quelli dell’Onu. Martedì scorso, il ministero dell’Istruzione della Striscia – citato dall’agenzia di stampa turca Anadolu – ha rivisto le cifre: da ottobre dell’anno scorso sono stati uccisi più di 11.825 studenti palestinesi in attacchi israeliani, di questi 681 erano universitari. Mentre a 88mila giovani – scrive il media – è stato negato l’accesso all’istruzione superiore.
In questo tragico contesto, molti insegnanti – tra cui Khader – hanno mantenuto i rapporti con gli studenti. All’università islamica, secondo i dati della ong per la tutela dei diritti umani, nel 2023 erano 17mila. Con loro comunica tramite telefono, WhatsApp o attraverso i social. Parlano di tutto, incapaci di nascondere il dolore e l’indignazione, racconta. «Il futuro dei nostri bambini e studenti sarà più buio e terribile se non potranno accedere ai loro diritti accademici, poiché l’istruzione è la spina dorsale della loro vita», ci dice. Anche se si arrivasse a un cessate il fuoco domani e la regione tornasse allo status quo precedente al 7 ottobre, potrebbero volerci 350 anni prima che la sua economia torni ai già traballanti livelli pre-guerra, scrive l’Onu. E l’impresa di ricostruire il sistema educativo della Striscia sembra smisurata. Eppure, i professori sono ottimisti: «Abbiamo costruito queste università partendo dalle tende. E dalle tende le ricostruiremo ancora una volta».
Foto copertina: ANSA/MOHAMMED SABER | Studentesse a Gaza