Migranti, nuovo stop al decreto Paesi sicuri del governo: il tribunale di Roma segue Bologna e chiede l’intervento della Corte di giustizia Ue
Un altro fascicolo, dopo quello di Bologna, arriva sul tavolo della Corte di giustizia dell’Unione Europea. Questa volta, il mittente è il tribunale di Roma: la giudice e presidente della sezione immigrazione, Luciana Sangiovanni, si è trovata tra le mani il ricorso di un migrante trasportato in Albania a bordo di una nave militare italiana. Quest’ultimo ha fatto appello quando si è visto rifiutare la protezione internazionale dalla commissione territoriale competente. E Sangiovanni ha emesso un decreto di sospensione di quel diniego. È un ulteriore stop alle intenzioni del decreto Paesi sicuri, con cui il governo Meloni ha provato ad arginare la discrezionalità dei tribunali sui casi dei singoli migranti e sulla sicurezza dei rispettivi Paesi di origine. Nel testo firmato dalla giudice, si legge: «Non sfuggirà alla Corte la grave crisi istituzionale provocata in Italia dalle prime decisioni dei tribunali di non convalidare i provvedimenti di trattenimento nelle procedure di frontiera». Sangiovanni sottolinea che diversi magistrati italiani hanno rilevato «gli aspetti critici di tale “esperimento” – il riferimento è anche agli hotspot costruiti in Albania – e ne hanno minato l’operatività». Nel provvedimento che la giudice del tribunale di Roma ha inviato alla Corte di giustizia dell’Unione Europea vengono posti quattro quesiti pregiudiziali a proposito del decreto Paesi sicuri.
I quattro quesiti
Il primo riguarda la possibilità per il legislatore di uno Stato membro di designare direttamente, con un atto normativo primario, un Paese terzo come di origine sicuro. La giudice romana domanda alla corte lussemburghese se il diritto dell’Unione europea non sia ostativo. La seconda questione è strettamente collegata: può il legislatore di un singolo Stato europeo designare un Paese terzo come sicuro «senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione – dunque – impedendo al richiedente asilo di contestarne, e al giudice di sindacarne, la provenienza, l’autorevolezza, la pertinenza, l’attualità, la completezza, o comunque in generale il contenuto?». Terzo argomento: il diritto comunitario consente o meno al giudice, in ogni circostanza, di utilizzare informazioni sullo Stato di provenienza di un migrante, attingendole autonomamente dalle fonti utili ad accertare che sussistano effettivamente le condizioni per la designazione di Paese di origine sicuro? Ultimo quesito, che è simile al punto sollevato da Bologna attraverso il parallelismo con la Germania nazista: il diritto dell’Unione impedisce che un Paese possa essere definito di origine sicura qualora ci siano, nello stesso, categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di sicurezza?