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Mannoni e la Rai di «raccomandati»: «Prima di TeleMeloni c’era TeleRenzi e TeleProdi». E Bertinotti si offende per l’accusa di censura

05 Novembre 2024 - 20:40 Massimo Ferraro
maurizio mannoni rai raccomandati telemeloni censura bertinotti
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Una lunga intervista al Corriere dell'ex conduttore di Tg3 Linea Notte in cui non risparmia un colpo alla sua vecchia azienda. Il leader comunista gli risponde: «Stava dalla parte del potere»

Maurizio Mannoni per 15 anni è stato il volto dell’informazione notturna Rai alla conduzione di Tg3 Linea Notte. Poi è stato lasciato andar via: non è riuscito a trovare un accordo con l’azienda neanche dopo aver proposto di rinunciare agli oltre 200 giorni di ferie che aveva accumulato in carriera. Tra la «delusione» per lo stato del servizio pubblico e l’attuale gestione della rete pubblica, il giornalista non si è risparmiato nessuna critica al suo ex datore di lavoro in una lunga intervista al Corriere della Sera di Giovanna Cavalli. Oltre ai ricordi degli anni negli studi di Saxa Rubra, Mannoni è sicuro di una cosa: «In Rai quasi tutti questuanti o raccomandati. Raccomandato è un termine lieve. Senza un via libera politico non muovi passo. Infatti non ho fatto carriera. Sarei potuto diventare direttore del Tg3, però mi è mancato lo scatto finale». Certe dinamiche c’erano e ci sono ancora: «TeleMeloni esiste come esisteva TeleProdi o TeleRenzi. Anche la sinistra ha messo le mani pesantemente sulla Rai, quando era al potere. Con scelte sbagliate, però cercando di salvaguardare la professionalità». Questa la differenza che ravvisa con la situazione attuale: «Questi sono arrivati senza uno straccio di idea. Hanno pensato solo a fare piazza pulita. Magari miglioreranno. Dissi a un dirigente: “Se doveste fare un bel programma di destra, sarei disponibile”. Non l’ho più sentito».

Lo scontro con Bertinotti

Il giornalista non ha problemi ad ammettere che la Rai era lottizzata dai partiti, negli anni Ottanta e Novanta più di sempre, ognuno aveva la una quota. E lui stesso, «pur non essendo mai stato un militante», rientrava «in quota Pci». Ma non con tutti i comunisti ha avuto buoni rapporti. «Quando Rifondazione comunista fece cadere il governo Prodi – nel 1998, ndr -, dissi che si trattava di “una crisi assurda”. Bertinotti, o chi per lui, chiese il mio licenziamento», racconta Mannoni, «ho avuto paura, mi guardavano tutti con certe facce preoccupate. Lo ammansirono i miei colleghi di Rifondazione». Una versione che l’ex leader di Rifondazione comunista però smentisce, nuovamente, in una lettera al Corriere. Accusando il giornalista di essersi schierato dalla parte dei più forti. «Non capisco perché insista in un clamoroso falso che mi riguarda. Forse per negare a se stesso una brutta pagina della sua importante storia di giornalista, quella dell’aggressione verbale a chi allora veniva considerato dalle televisioni di Stato un “dannato”», si legge nella nota, «nel 1998 dopo la caduta del Governo Prodi, noi, il Prc stavamo come un “cane in Chiesa” nelle reti pubbliche. Vedere per credere il livello di aggressione che subimmo. Loro, Mannoni compreso, stavano dalla parte del potere costituito del centro sinistra, dunque, erano super protetti e nessuno li avrebbe potuto toccare. Lo sapevamo persino noi del Prc».

Foto di copertina: ANSA/DANIEL DAL ZENNARO

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