Il costituzionalista Ainis e il decreto paesi sicuri: «È politica spettacolo, tutto scritto sull’acqua»
Il costituzionalista Michele Ainis dice che con il decreto paesi sicuri il governo «pensava di uscire da questa situazione con un esercizio muscolare, ma non sapeva di avere i muscoli sgonfi: è una soluzione che non sta in piedi». In un’intervista al Fatto Quotidiano il professore emerito spiega che due articoli della Costituzione, l’11 e il 117, «sanciscono il primato del diritto europeo sulle nostre leggi. Poi c’è la Corte di giustizia dell’Ue, che ha il compito di assicurare un’interpretazione omogenea delle sue norme in tutti gli Stati. La somma di questi tre fondamentali è chiara: le leggi interne contrastanti con le regole comunitarie sono scritte sull’acqua».
Tre possibilità
Secondo Ainis la scelta di ribadire la lista con un decreto legge «è bizzarra e non ha spostato di un millimetro la realtà dei fatti». Il costituzionalista spiega che i giudici avevano di fronte tre possibilità: «La prima era interpellare la Corte di giustizia europea, come ha fatto il Tribunale di Bologna. La seconda strada è quella appena seguita a Catania: poiché il giudice ha l’obbligo di disapplicare una norma di diritto interno che contrasta con il diritto europeo, il magistrato ha deciso di fare come se il decreto legge non esistesse. Ci sarebbe una terza possibilità e penso che verrà esplorata anche questa: sollevare la questione di legittimità costituzionale del decreto». E questo perché «la politica è diventata una forma di spettacolo: non conta tanto l’effetto giuridico, ma l’effetto politico sull’opinione pubblica. Prenda i decreti Sicurezza: un campionario di nuovi reati e aumento delle pene, un’esibizione muscolare che non risolve nulla».
Giudici comunisti
E conclude nel colloquio con Tommaso Rodano: «C’è un cimitero di leggi disapplicate. Massimo Severo Giannini, un ex ministro che era un ottimo professore di Diritto amministrativo, le definiva “grida in forma di legge”. Come dicevo prima: si fanno leggi solo per mostrarle all’opinione pubblica. E le leggi non producono alcun effetto. A parte l’intossicazione del clima istituzionale. Per cui se un magistrato si permette di applicare la Costituzione italiana diventa “un giudice comunista”».