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La storia della famiglia di pastori da quattro generazioni: «Non si diventa ricchi ma ci basta»

06 Novembre 2024 - 06:50 Alba Romano
PASTORI
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Andrea Galbusera fa lo stesso mestiere del padre e del nonno. E il figlio è pronto a prendere il suo posto

Andrea Galbusera ha 36 anni e abita a Colle Brianza. È l’ultimo discendente di una famiglia di pastori. E suo figlio da grande vuole diventare pastore anche lui. E lo segue in alpeggio in Valsassina e poi in pianura, in Brianza, durante la transumanza. Galbusera dice al Quotidiano Nazionale che ha deciso di fare il pastore «da piccolo. Non ho mai voluto fare altro. Mia mamma non voleva e mi ha chiesto almeno di finire le superiori. Io l’ho accontentata, ma a modo mio. Mi sono diplomato alle serali, così di giorno potevo stare con le nostre pecore. Sono diventato geometra. “Almeno ho imparato a fare recinti diritti“, scherzavo con i miei professori».

Le pecore

Con la sua professione «non si diventa certo ricchi, ma si arriva a fine mese e tanto mi basta. Mantengo mia moglie e mio figlio senza far mancare loro niente. È impegnativo: non ci sono sabati, domeniche, feste comandate; l’orologio e l’orario di lavoro non esistono. Spesso sono assente. Io comunque non cambierei mai per nulla al mondo. A volte mi spiace solo non godermi appieno mio figlio, lui però è contento di quello che faccio. Inoltre il sorriso dei bambini e i saluti delle persone quando passiamo in mezzo ai paesi mi ripagano di tutti i sacrifici».

Tremila capi

Con il padre hanno un gregge di circa tremila pecore: «Sono pecore da carne, perché durante la transumanza non saremmo in grado di produrre formaggi». Gli animalisti li criticano «ma le persone sono più intelligenti di quanto ci vogliano far credere. Basta raccontare la verità ed essere trasparenti. Noi non macelliamo agnellini, non ne avremmo il cuore e non ci conviene, sarebbe controproducente. Macelliamo solo capi adulti, che hanno più carne. Noi trattiamo bene i nostri animali, li alleviamo nel modo più naturale che ci sia, senza sfruttarli, curandoli al meglio, non come negli allevamenti intensivi».

La lana

La lana, invece, «è solo un costo, è considerata un rifiuto speciale. Paghiamo sia per tagliarla sia per smaltirla. Ogni pecora all’anno ne produce circa un chilo. Non sappiamo che farcene, ma tosiamo lo stesso i nostri animali per alleggerirne il vello e farli stare meglio. Vorremmo coprire almeno il prezzo della tosatura, anche senza guadagnarci. Un tempo la lana serviva per imbottire i materassi, oppure confezionare le calze invernali e altri vestiti pesanti. Ora non c’è nessuno che la ritira. È un peccato, potrebbe magari diventare un isolante ecologico».

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