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La proposta dell’Inps: «Il terzo mese di congedo parentale? Riservato ai padri, così faremo tornare le mamme al lavoro»

Inps
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La legge di Bilancio prevede di aumentare l’indennità dal 30 all’80%. L'idea è di rendere esclusiva l'opzione solo per gli uomini per favorire il reinserimento delle donne

Il presidente dell’Inps Gabriele Fava, in audizione in parlamento ieri 5 novembre, ha apprezzato le decisioni prese dal governo sul congedo parentale nella legge di bilancio. L’aumento dell’indennità dal 30 all’80% per il terzo mese di congedo è stato giudicato con favore, come riporta Repubblica. Per questo l’Istituto ha rilanciato: «Se il fine del congedo parentale è quello di favorire l’occupazione femminile lo si riservi al padre», ha detto Gianfranco Santoro, direttore centrale Studi e Ricerche dell’Inps.

L’idea

L’idea sarebbe quella di intervenire ancora per limare il gap tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile che ora è di 17 punti percentuali (53% contro 70%). A questo fine, si chiede l’Inps, perché non riservare il terzo mese di congedo parentale ai padri «al fine di non lasciare le donne troppo lontane dal mercato del lavoro, favorendone un loro rientro, senza pregiudicarne lo sviluppo professionale e economico?». «Sommare tre mesi di congedo parentale ai cinque mesi di congedo obbligatorio significa allontanare le madri dal mondo del lavoro. A volte non si tratta neanche di discriminazione», spiega Santoro, «le aziende fanno scelte organizzative, e preferiscono affidare ruoli di responsabilità a chi è presente». La scelta sarebbe conveniente anche per lo Stato, aggiunge il direttore centrale Studi e Ricerche dell’Inps: «Tra l’altro così il costo sul bilancio dello Stato sarà anche inferiore, perché ci saranno meno richieste: il 35% dei padri non richiede neanche i dieci giorni obbligatori previsti dalla legge».

Le stime dell’Inps

Secondo le stime dell’Inps, nell’anno di nascita di un figlio, la probabilità di uscita per le donne dal lavoro passa dall’11% al 18%. Il dato va nel senso opposto per gli uomini: si va dal 9 a circa l’8%. È quella che dall’Inps viene definita child penalty, senza il tasso di occupazione femminile aumenterebbe di 6,5 punti percentuali entro il 2040.

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