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Usa, il referendum sull’aborto passa in sette Stati su dieci, ma non aiuta Harris: il voto dem delle donne in calo rispetto al 2020

06 Novembre 2024 - 21:09 Alessandra Mancini
usa referendum aborto harris voto 2020
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Due anni fa alle midterm la mobilitazione contro l’annullamento della “Roe contro Wade” era stata indispensabile per frenare l'onda rossa. Stavolta sembra non essere andata andata così

Nella tornata elettorale di ieri, che ha consegnato la vittoria a Donald Trump, i cittadini statunitensi sono stati chiamati a esprimersi anche su diversi quesiti referendari. In 10 Stati, Arizona e Nevada (due dei sette swing state, dove ha trionfato il GOP), Florida, Nebraska, South Dakota, Missouri (rimasti tutti Red States) e New York, Maryland e Colorado (Blue States), si è votato per revocare la stretta sull’aborto e inserirne il diritto nelle Costituzioni statali e rafforzarlo. Il tema dell’interruzione volontaria di gravidanza, tornato al centro dei dibattiti dopo il ribaltamento della sentenza Roe vs Wade del giugno 2022 che ha demandato la questione ai singoli Stati, è stato uno dei dossier più discussi della campagna elettorale. E sul quale i democratici, capitanati dalla vicepresidente, puntavano molte fiches per l’elezione. Eppure l’investimento sembra non aver pagato come due anni fa alle Midterm Elections quando l’annullamento della storica sentenza aveva giocato un ruolo centrale nel fermare la red wave. Stavolta il voto dell’elettorato femminile non è stato sufficiente a eleggere la prima donna nera presidente della storia degli Stati Uniti. 

Come hanno votato le donne? 

Sebbene non ci sia ancora un quadro chiaro, il fattore “genere” non ha premiato Kamala Harris. Entrambe le campagne avevano previsto uno storico gender gap tra i candidati: le donne formavano la netta maggioranza dei sostenitori della vicepresidente e gli uomini di Trump. Stando ai dati del centro di ricerca Center for Information & Research on Civic Learning and Engagement (CIRCLE) si stima che abbiano votato per la vicepresidente il 58% delle giovani donne (18-29 anni), contro il 38% che hanno invece scelto di dare la propria preferenza a Trump (20 punti percentuali di distacco). Ma nel confronto con il 2020, la democratica ne esce perdente: il 65% dell’elettorato femminile tra i 18 e i 29 anni aveva infatti votato per Joe Biden (10 punti di differenza). Più nello specifico, in attesa dell’analisi della sconfitta, il 69% delle giovani donne asiatiche, il 74% delle elettrici nere e il 58% di quelle ispaniche hanno premiato Harris. Ma il 52% delle giovani bianche – il gruppo demografico più numeroso degli Stati Uniti – ha votato Trump. Quest’ultimo è stato inoltre più efficace a mobilitare gli elettori uomini (54% dell’elettorato maschile, che 4 anni fa aveva votato democratico), tra cui afroamericani e latinos.

Cosa dicono i risultati dei referendum sull’aborto?

Se da una parte il tema dell’aborto non sembra aver spostato ampi consensi, dall’altra i referendum statali per proteggerne il diritto sono andati bene nella maggior parte degli Stati. La proposta di inserire nelle Costituzioni la possibilità di interrompere legalmente la propria gravidanza non è passata in tre casi su dieci: in Florida non ha raggiunto il 60% dei voti necessari, in Nebraska e South Dakota. Mentre è stata approvata negli altri sette: Arizona, Missouri, Nevada, Colorado, New York, Maryland e Montana. Ma i quesiti erano differenti per ogni Stato, così come le legislazioni vigenti. 

In Missouri, dove Trump ha vinto con il 58,5%, i cittadini hanno votato per revocare il divieto quasi totale sull’aborto e per introdurre il «diritto alla libertà riproduttiva» in Costituzione. Il Paese del Midwest è stato il primo a promulgare una legge che vietava quasi completamente l’interruzione volontaria di gravidanza dopo il ribaltamento della storica sentenza del 2022. La misura, “Emendamento 3”, è passata nonostante attivisti pro-life e legislatori anti-abortisti avessero provato in tutti i modi a boicottare la consultazione popolare. Il procuratore repubblicano Andrew Bailey si era persino rifiutato di firmare la stima dei costi, vincolante per l’organizzazione del referendum, relativa a un eventuale ripristino del diritto all’aborto nel Paese. In quell’occasione era intervenuta la Corta Suprema che, dopo mesi di battaglie legali, aveva imposto a Bailey la sottoscrizione. Ma il risultato di ieri è stata una sconfitta anche per i gruppi anti-scelta, che negli ultimi mesi hanno condotto campagne propagandistiche allo scopo di convincere gli elettori che il referendum avrebbe privato i genitori del loro diritto di prendere decisioni per conto dei propri figli sui trattamenti ormonali di affermazione di genere prima della maggiore età.

Anche in Arizona, che da swing state si appresta a diventare red state e dove l’aborto è vietato dopo la 15esima settimana, è stato approvato il referendum. La modifica della Costituzione statale, “Proposta 139” depositata il 12 settembre 2023, sposterà il termine tra le 23 e le 24 settimane. Il tema dell’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza è tornato al centro del dibattito nel Paese del Grand Canyon dopo che la Corte Suprema si è pronunciata a favore di un divieto totale risalente al 1864 (una legge, per intenderci, approvata prima dell’estensione del diritto di voto alle donne). Anche in questo Stato, come per il Missouri, legislatori e gruppo pro-life hanno lanciato campagne contro la consultazione. Una di queste, dal titolo It Goes too Far (si va troppo oltre, ndr), descrive il periodo di tempo previsto per abortire, ovvero quindici settimane, «un ragionevole compromesso». «Non c’è alcun divieto in Arizona: l’aborto qui è legale», si legge sul sito. La misura approvata impedisce inoltre allo Stato di perseguire chiunque aiuti un’altra persona a esercitare il proprio diritto all’aborto «come un parente che porta la nipote dal medico o un medico che invia una paziente in un altro ambulatorio per le cure», scrivono i proponenti.

I Paesi dove l’aborto è stato rafforzato: Nevada, Colorado, Maryland e Montana

In altri Stati abortire è legale e i referendum serviranno a rafforzare l’accesso al diritto. Come nel caso del Nevada, altro Stato in bilico che andrà al Grand Old Party, dove una legge del 1990 consente l’interruzione volontaria di gravidanza fino alla 24esima settimana. Per cambiare la Costituzione del Paese non basterà la consultazione di ieri: la misura deve essere infatti approvata due volte prima di essere adottata e gli elettori saranno chiamati a esprimersi nuovamente nel 2026. Il tema dell’aborto è molto popolare in Nevada, gli attivisti – che chiedono maggiori protezioni dopo l’annullamento della sentenza Roe v Wade – hanno raccolto il doppio delle firme necessarie per organizzare il referendum. Secondo un sondaggio del Public Religion Research Institute  il 75% dei cittadini è pro-choice. Anche in Colorado (Blue States) il diritto all’aborto verrebbe rafforzato: l’emendamento proposto consentirà l’utilizzo di fondi pubblici nell’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Stesso risultato in Maryland e Montana, anch’essi democratici, dove la consultazione per inserire il diritto nella Costituzione è stata approvata. 

Il caso (diverso) di New York 

Nello Stato democratico di New York il quesito referendario (che è passato) non  riguardava soltanto i diritti all’aborto, ma più in generale la parità. Proposta 1, il nome dell’emendamento, ha infatti a che vedere con la protezione costituzionale da ogni tipo di discriminazione, inclusa quella basata su «orientamento sessuale, identità di genere, gravidanza e salute riproduttiva».

Dove ha vinto il no: in Florida spesi i soldi dei contribuenti per pubblicità pro-life

In Florida, che è diventato un fortino repubblicano, il referendum non ha raggiunto il quorum del 60%, necessario per l’approvazione. E così resta in vigore il divieto di interrompere volontariamente una gravidanza dopo sei settimane di gestazione, tranne in alcuni casi. L’emendamento 4 avrebbe esteso il diritto prima della vitalità fetale intorno alla 24esima settimana, garantendo eccezioni per proteggere la salute della madre. «Nessuna legge potrà proibire, penalizzare, ritardare o limitare l’aborto prima della vitalità del feto o se è necessario per proteggere la salute della paziente», il testo del quesito referendario. Da quando l’aborto è stato vietato, il 1° maggio di quest’anno, le cliniche di tutto il Paese hanno denunciato i risvolti negativi della decisione presa dal governatore repubblicano. E non solo per gli abitanti della Florida, ma anche per i cittadini dei Paesi vicini, come Georgia o Alabama, che andavano nello Stato più a sud-est degli Stati Uniti per abortire (l’interruzione era consentiva fino alla 15esima settimana). Il risultato di ieri può essere considerato una piena vittoria del governatore DeSantis, che – oltre a presentare una petizione alla Corte Suprema eleminare l’emendamento dalla scheda elettorale – ha utilizzato milioni di fondi dei contribuenti, scrive Jessica Valente nella sua newsletter Abortion Every Day, per condurre una «campagna di disinformazione» online e offline. Non solo: DeSantis avrebbe inoltre ordinato al dipartimento sanitario dello Stato di minacciare le stazioni televisive che trasmettevano spot pubblicitari a favore dell’emendamento 4, e ha organizzato una sorta di tour con medici obiettori di coscienza con l’obiettivo di convincere i cittadini a disertare le urne. La campagna ha sortito gli effetti sperati. 

Nebraska e South Dakota

Infine, il Nebraska (red state) è l’unico Stato ad avere avuto due iniziative referendarie sull’aborto. Uno avrebbe inserito il diritto nella costituzione fino alla vitalità del feto, l’altro chiedeva di inserire l’attuale divieto dopo 12 settimane, con alcune eccezioni (incesto, stupro, e pericolo della madre). Il primo non è passato, il secondo è stato approvato. Anche in South Dakota (altro Stato rosso), dove l’aborto è vietato tranne in caso di pericolo della madre, ha respinto il quesito referendario che impediva allo Stato di limitare la decisione di abortire nel primo trimestre. Mentre nel secondo trimestre sarebbe stato invece possibile abortire «solo per motivi legati alla salute fisica della donna incinta». La Planned Parenthood, organizzazione pro-choice, si è rifiutata di sostenere la misura per insufficienti protezioni offerte.

Foto copertina: ANSA / CAROLINE BREHMAN

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