L’autoironia di Giuli che torna davanti alle commissioni Cultura: «Al netto di qualche raptus teoretico…»
Alessandro Giuli torna davanti alle commissioni Cultura di Camera e Senato per concludere l’audizione sulle linee programmatiche del suo dicastero. L’appuntamento, rimandato a causa di alcuni impegni del neoministro, segue quel primo incontro la cui registrazione fu scovata da Open e che rese Giuli il ministro più chiacchierato per settimane. Allora il successore di Gennaro Sangiuliano improntò un discorso a tratti indecifrabile, esordendo tra l’altro con una citazione errata di Hegel. Oggi, 7 novembre, l’esponente del governo Meloni opta per un intervento meno «teoretico». È una risposta, in realtà, alle repliche di deputati e senatori. Inizia Elisabetta Piccolotti di Alleanza verdi sinistra, che rimprovera a Giuli «di aver fatto una lunga prolusione – l’8 ottobre scorso – utile a inquadrare la sua filosofia, meno utile a comprendere quali siano le linee indirizzo della sua politica culturale». Valentina Grippo, membro di Azione, si dice «perplessa dalla difesa di ufficio» che l’attuale ministro ha fatto del suo predecessore. Cita i concorsi banditi all’ultimo per rimpiazzare i direttori dei musei in scadenza e altre criticità del dicastero.
La Lega condanna la «furia iconoclastica che ha portato l’ideologia woke, la cancel culture, l’uso degli asterischi e dello schwa»
«A differenza di quanto afferma, il ministro non deve orientare la cultura, non deve fare l’editore, il regista, lo scrittore. Non è questo il mandato, non deve orientare né chi produce né chi fruisce. Le istituzione devono creare un ambiente facile per gli attori del mondo della cultura», aggiunge Grippo. Per Forza Italia, intervengono Giorgio Mulé e Rita dalla Chiesa, da remoto. Così come da remoto prende la parola Gaetano Amato del Movimento 5 stelle, il quale punzecchia Giuli dicendogli «che è stato praticamente commissariato e ha delegato tutto ai suoi collaboratori». Luca Pirondini, dello stesso partito, chiede a Giuli «se tramuterà la natura giuridica delle fondazioni liriche da private a pubbliche». Rossano Sasso, della Lega, pone tre domande al ministro, l’ultima delle quali prende spunto dalle elezioni americane: «Il segnale che c’è giunto è di un popolo che con il proprio voto si è ribellato alle élite. La vittoria di Donald Trump è la vittoria di chi si è ribellato anche al conformismo repressivo nel settore della cultura e repressione di chi con una furia iconoclastica ha portato l’ideologia woke, la cancel culture, persino nelle fiabe. Un tentativo di indottrinamento, fin da piccoli, del politicamente corretto hanno prodotto delle derive progressiste come l’uso degli asterischi e dello schwa. Strumenti introdotti artificiosamente per decisione minoritaria delle élite. Credo nel primato della politica e a me, a differenza della collega che mi ha preceduto – Grippo – e non mi piacciono i ministri che non orientano».
Giuli: «Al netto di qualche raptus teoretico…»
Matteo Orfini, del Partito democratico, si «avvale della facoltà di non rispondere» a quanto detto da Sasso. Evita la polemica, con il biasimo dei contenuti leghisti che traspare da un mezzo sorriso del Dem. «Stiamo riducendo il pluralismo culturale», continua Orfini, rivolgendosi adesso a Giuli. E conclude segnalando le mancanze della legge di Bilancio 2025 contro la precarietà dei lavoratori del mondo dello spettacolo. Il round di interrogazioni si chiude con le domande di Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura della Camera, e Alessandro Amorese, entrambi di Fratelli d’Italia. Tocca al ministro Giuli replicare: «Non stavo scappando da questo confronto», esordisce. Poi fa autoironia sull’intervento “oscuro” svolto un mese fa davanti alla stessa platea: «Abbiamo destinato 10,5 milioni al sostegno di attività di spettacolo dal vivo per l’inclusione sociale, per il riequilibrio territoriale, per le periferie. Uno dei punti che mi avete sentito citare con una particolare enfasi – l’8 ottobre – al netto di qualche raptus teoretico». A proposito delle sostituzioni avvenute nello staff ministeriale, ai due capi di gabinetto cacciati nell’arco di un mese e mezzo – prima Francesco Gilioli, con ombre mai chiarite, e poi Francesco Spano – Giuli abbassa molto i toni: «Sgombriamo il campo nelle nostre discussioni da retro pensieri su nomenclature che vanno e vengono, stato etico, tentativo di orientare la cultura. Il cambio di squadra è naturale, lo staff precedente era di altissimo livello, così com’è quello attuale».
Giuli: «Dobbiamo dialogare con i “ribelli” degli Stati Uniti che hanno votato Trump»
Circa la legge di Bilancio, che Giuli definisce «severa», rispetto alla spending review proposta dal ministero dell’Economia, «abbiamo ottenuto una riduzione del taglio di 147,6 milioni, il 4,3%. Se fate una comparazione con i tagli subiti dagli altri ministeri, la Cultura ha resistito». Quindi, sostiene il ministro, «è falso dire che siamo stati commissariati da Giancarlo Giorgetti». Anzi, integra Giuli, «stiamo facendo il massimo sforzo per le condizioni date. Questa legge di Bilancio evidentemente ha obbligato ciascun dicastero a delle oggettive azioni di razionalizzazioni, ma di fatto sono dei tagli, anche se c’è taglio e taglio e modo e modo di combattere. La legge è emendabile, ci sono degli emendamenti che piacciono al Ministero, spero ce ne siano altri». Sulla gestione Sangiuliano, il ministro chiarisce che non c’è stata «nessuna tabula rasa, mi sono insediato in un ministero che malgrado le tempeste mediatiche lavorava, eccome se lavorava». Rispondendo a Sasso, Giuli sembra mostrare delle affinità con il discorso del leghista: «I ribelli degli Stati Uniti di cui parlava e che hanno votato Trump sono anche molto attenti alle grandi promesse della transizione tecnologica. Un dialogo con quel mondo è necessario: l’Italia ha un grande privilegio, di essere da sempre terra di mediazione. Il presidente della Repubblica è in Cina in questo momento, mentre i rivoltosi di una cultura che non accetta l’ideologia woke hanno votato per Trump. Noi rappresentiamo la sede naturale della diplomazia culturale, un luogo di mediazione. Queste non sono linee direttive del ministero, ma sono semplicemente degli orientamenti culturali. Il mio ruolo è dare una sensibilità e assecondare il lavoro degli enti culturali».
Editoria e una conclusione inaspettata tra le proteste del M5s, Giuli: «Considero la mia sinfonia finita»
Giuli si dilunga sul capitolo afferente all’editoria:«È in gestazione un decreto legge Cultura che confido che entro fine anno, ma forse entro prima di dicembre, sarà discusso e approvato in Consiglio dei ministri. In questo decreto Cultura al fine di promuovere la lettura e sostenere la filiera dell’editoria libraria tornerà il contributo di 30 milioni di euro da assegnare alle biblioteche aperte al pubblico dello Stato e degli enti territoriali per l’acquisto di libri. Con questo cerchiamo di dare una risposta alle esigenze delle biblioteche e al tempo stesso a chi non avendo capacità di spesa può tornare ad alimentare anche la filiera dell’editoria». Questo per le biblioteche. Per quanto riguarda le librerie, «al fine di favorire l’apertura di nuove librerie sul territorio nazionale da parte di giovani fino a 35 anni di età è istituito nel bilancio del ministero un fondo con una dotazione di 4 milioni di euro. Con un decreto del ministro saranno stabiliti i criteri e le modalità dei progetti finanziabili fino a 40 mila euro ciascuno. Il limite viene elevato a 50 mila per iniziative realizzate in comuni in cui non siano presenti librerie o in aree periferiche urbane». La conclusione dell’intervento di Giuli è interrotta dalle proteste del grillino Pirondini, che lamenta animatamente l’elusione delle sue domande. «Mi dispiace, doveva essere un soliloquio perché dovevo rispondere alle vostre domande. Chi non è soddisfatto ha diritto di non esserlo, ritengo di aver risposto a tutto – ridacchia Giuli -. Considero la mia sinfonia finita».
La protesta di Pirondini
«È Inaccettabile il comportamento del ministro Giuli che oggi in audizione di fronte alle commissioni Cultura non ha risposto a nessuna delle domande poste dal Movimento 5 stelle, oltre che ad altre. In particolare gli ho chiesto di dare informazioni precise sulla possibile trasformazione delle fondazioni liriche dalla attuale natura giuridica privata a quella pubblica. Ebbene, nell’unico suo accenno di risposta ha fatto un imperdonabile strafalcione dicendo che sono già pubbliche. È semplicemente falso, si informi!». Inizia così la nota di Pirondini, capogruppo M5s in commissione Cultura, pubblicata qualche minuto dopo la chiusura dell’audizione. «Nulla di concreto ci ha detto sull’attuazione del ccnl dei lavoratori delle fondazioni e sulla ricostituzione dei corpi di ballo stabili. Per questi motivi alla fine dell’audizione sono intervenuto per pretendere le doverose risposte che se non vuole dare a noi deve dare ai cittadini. Sono stato intimidito dal presidente della commissione – Mollicone, ndr – che ha pure chiamato gli assistenti parlamentari per farmi portare fuori dalla sala. Questo comportamento dentro il Parlamento è inaccettabile e costituisce un precedente pericoloso. I ministri hanno il dovere di rispondere ai parlamentari e noi abbiamo il dovere di fare le domande a nome dei cittadini», conclude Pirondini.