Cop29, parla l’inviato del governo Meloni per il clima: «Con Trump rischiamo la fine delle politiche green. Ora dialoghiamo, senza gli Usa non si va da nessuna parte»
La vittoria di Donald Trump arriva a meno di una settimana dall’inizio della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che quest’anno si terrà a Baku, in Azerbaigian. A guidare gli Stati Uniti, secondi dopo la Cina per quantità di CO2 emessa nell’atmosfera, torna un leader che non solo ignora la minaccia del riscaldamento globale ma arriva a negarne addirittura l’esistenza. Per quanto riguarda le politiche energetiche, il ritorno di Trump alla Casa Bianca si tradurrà in un massiccio aumento delle estrazioni di petrolio, gas e carbone. Ma è soprattutto sul fronte della diplomazia climatica che l’elezione del 47esimo presidente americano potrebbe avere un impatto. «C’è il rischio che la Cop29 si chiuda senza un accordo. È uno scenario che ad oggi non è possibile escludere», spiega in questa intervista a Open Francesco Corvaro, inviato speciale per il cambiamento climatico del governo italiano. Ci sarà anche lui a negoziare per l’Italia alla conferenza dell’Onu che si apre l’11 novembre a Baku e su cui aleggia l’incognita della rielezione di Trump.
Che conseguenze avrà il risultato delle elezioni americane sulla Cop29?
«Non le nascondo che fino a pochi giorni fa si stava procedendo in maniera ordinata e c’era la possibilità di trovare un compromesso tra le diverse posizioni. Ma ora può cambiare tutto. Se Trump non parlasse di cambiamenti climatici fino alla fine dei negoziati, potremmo ancora arrivare a un risultato mediamente positivo. Certo, lo scorso anno i negoziatori americani hanno avuto un ruolo decisivo per chiudere l’accordo finale, mentre questa volta mi aspetto un contributo molto limitato. Ma questa è solo l’ipotesi migliore».
E quale sarebbe l’ipotesi peggiore?
«Che Trump faccia dichiarazioni pubbliche sul tema, per esempio annunciando che a gennaio gli Stati Uniti usciranno di nuovo dall’Accordo di Parigi».
Si dice che Trump potrebbe addirittura uscire dalla convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici. Significa che gli Stati Uniti non parteciperebbero più alle Cop?
«Non solo. Significherebbe che gli Stati Uniti si chiamano fuori da qualsiasi forma di sostenibilità e spingono su un utilizzo massiccio di combustibili fossili, di cui peraltro sono già il primo produttore al mondo. Non voglio essere catastrofico, ma pragmatico: un disimpegno degli Stati Uniti significherebbe la fine della politica climatica globale. Non avrebbe più senso parlare di azioni climatiche, perché senza gli Usa non si va da nessuna parte. Se davvero questa sarà la direzione della Casa Bianca, dobbiamo accettare sin da ora che ci sarà una sorta di pausa. Le Cop si possono fare ugualmente, per carità, ma tutto sarà in pausa».
Tra pochi giorni iniziano i negoziati della Cop29 di Baku. Cosa ci possiamo aspettare?
«L’elezione di Trump potrebbe galvanizzare attori come l’Arabia Saudita a lasciare il tavolo. Si tratta di Paesi per cui è necessario un forte approccio multilaterale affinché accettino terminologie come il “transitioning away” dai combustibili fossili su cui è stato raggiunto un accordo lo scorso anno. Ora rischiano di trovare negli Stati Uniti un partner di un certo peso che sta zitto o gli dà addirittura ragione».
Non ci sono proprio possibilità di dialogo?
«C’è un tema su cui ho iniziato a lavorare da tempo in vista di un’eventuale amministrazione Trump e ha a che fare con l’intreccio tra cambiamenti climatici e fenomeni migratori. Potrebbe essere un primo tema su cui aprire un dialogo, perché il cambiamento climatico crea pressione alle frontiere, a prescindere che Trump lo riconosca oppure no. Certo, è poca roba rispetto a tutti gli altri temi sul tavolo. Però sento che c’è particolare attenzione anche da parte dei repubblicani».
Che ruolo giocherà l’Unione europea alla Cop29?
«L’Europa ha un mandato piuttosto ambizioso di continuare a premere su questi temi e mantenere la sua leadership climatica. Questa è la posizione. Certo, poi ci sono alcuni distinguo».
Per esempio da parte dell’Italia, che condivide la linea europea ma a Bruxelles e Strasburgo vota spesso contro i provvedimenti del Green Deal. Non è una contraddizione?
«Ogni tanto sento dire che l’Italia è negazionista, ma non è vero. La politica climatica europea non è sbagliata, ma se queste azioni non sono globalmente condivise non hanno nessun risultato utile e non portano da nessuna parte. Se l’Europa è leader e riesce a portarsi dietro il resto del mondo, è un successo straordinario. Ma essere i primi della classe, con il nulla cosmico dietro, non paga e soprattutto non ci mette al riparo dalle conseguenze del cambiamento climatico. Dopodiché, c’è da tenere in considerazione come si svolgono i negoziati alle Cop».
Cosa intende?
«Alle Cop si negozia per macro gruppi, non si negozia direttamente. L’Italia, per esempio, negozia insieme agli altri Paesi europei. Ma poi, nei fatti, non sempre è così. Alla Cop28 di Dubai è soprattutto grazie allo sforzo diplomatico di Italia e Giappone se siamo riusciti a ottenere un riferimento ai «low emissioni vehicles», ossia ai biocarburanti, nel testo finale. Lo stesso vale per la Germania, che non ha mai condiviso la decisione di inserire il nucleare nella tassonomia verde europea».
Secondo Copernicus, il 2024 sarà non solo il più caldo mai registrato ma anche il primo a superare gli 1,5°C di riscaldamento globale rispetto al periodo pre-industriale. Gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sono andati persi una volta per tutte?
«Da inviato speciale per i cambiamenti climatici, le dico che la strada è sempre più ripida e in salita ma c’è ancora la possibilità di centrare l’obiettivo. Da professore universitario, le dico che per me è andato. Matematicamente non siamo ancora fuori, ma la vedo dura».
Torniamo alla Cop29. Questa volta si parlerà soprattutto di finanza. Che novità si aspetta?
«Il mandato è di lavorare sul nuovo obiettivo che entrerà in vigore dal 2026, ossia quanti soldi si metteranno sul piatto per affrontare la crisi climatica. La base d’asta sono i 100 miliardi di dollari l’anno. Un obiettivo fissato nel 2009 ma che per molti anni non è stato assolutamente rispettato. Ma prima ancora di definire una nuova cifra ci sarà da discutere delle regole di ingaggio: come deve essere strutturato questo nuovo fondo? Chi contribuisce e chi no? Saranno soldi a fondo perduto oppure da distribuire? Cominciamo a raggiungere un accordo su questi aspetti».
A Dubai è stato raggiunto un accordo storico per istituire un fondo Loss&Damage. Come lo si rende operativo ora?
«Siamo molto soddisfatti del lavoro svolto, perché è stato attivato più rapidamente di molti altri strumenti e l’Italia è uno dei massimi contributori. Ora c’è bisogno di scrivere le regole, ossia definire come ci si iscrive al fondo, come arrivano i soldi e non solo».
Si sente ottimista o pessimista per la Cop29?
«Cerco sempre di essere ottimista, ma questa Cop si porta dietro alcune zavorre importanti».
Ovvero?
«Innanzitutto, la presidenza è stata scelta di corsa e si colloca a metà di due giganti: gli Emirati Arabi, che hanno investito molto a livello di immagine; e il Brasile, a cui già guardano tutti. Poi c’è da tenere in considerazione che il tema da affrontare quest’anno è difficilissimo e le elezioni americane creano incertezza».
Insomma, è pessimista…
«Non sarei realista se non mettessi nell’equazione tutti questi fattori aggravanti. Ma fino all’ultimo c’è speranza».
In copertina: Donald Trump durante un comizio a Milwaukee, in Wisconsin, 1 novembre 2024 (EPA/Jeffrey Phelps)