Non solo Musk. Dal no vax Kennedy Jr. al falco Mike Pompeo: i 5 candidati in pole per la squadra di governo di Donald Trump
Messa in tasca la vittoria, Donald Trump è già proiettato mentalmente sulla Casa Bianca. Dopo la prima dormita da “re”, ieri sera s’è dedicato a un lungo giro di telefonate coi leader mondiali – inclusi Giorgia Meloni e Volodymyr Zelensky. Ma uno dei primi dossier che si dedicherà a sbrogliare è quello della squadra di governo che dovrà affiancarlo. Nel primo quadriennio il tycoon aveva portato con sé pezzi grossi dell’establishment economico e militare in grado di “guidarlo” nel mondo sconosciuto di Washington. Con molti di essi è poi entrato in collisione, quando hanno regolarmente cercato di frenarne gli istinti “animali” se non modificare o bloccare alcune sue decisioni. Questa volta non ripeterà quello che considera un peccato d’ingenuità, come ha messo in chiaro più volte in questi anni in pubblico e in privato. A Washington intende fare tabula rasa, verosimilmente anche in tutti i ranghi dirigenziali dei “ministeri”. E nelle posizioni chiave nominerà solo persone di provata fedeltà: fino a prova contraria, se non altro. A gestire il file, vagliare i profili e intrattenere le conversazioni del caso, Trump stesso a parte, sono i capi del suo transition team, Howard Lutnick e Linda McMahon. E secondo la Cnn gli annunci dei primi nomi chiamati al governo d’America accanto a The Donald e al vicepresidente designato J.D. Vance potrebbero arrivare già a giorni. Ecco dunque i cinque nomi più accreditati secondo i media Usa e fonti vicine alla squadra di Donald Trump consultate da Open.
Mike Pompeo
Origini italiane (ha quattro bisnonni originari dell’Abruzzo), l’ex capitano dell’esercito Usa e deputato Repubblicano ha visto la sua carriera decollare con l’arrivo al potere del “primo” Donald Trump. Fu lui a volerlo direttore della Cia, che guidò però per poco più di un anno: dal gennaio 2017 ad aprile 2018. Poi arrivò la chiamata direttamente al governo: segretario di Stato, ovvero deus ex machina della politica estera di The Donald. Pompeo lo ha affiancato e consigliato, traducendo in realtà le sue idee di confronto “muscolare” coi grandi rivali del pianeta – dalla Cina all’Iran – ma anche di aperture spettacolari – la Corea del Nord di Kim Jong-Un. Ed è stato l’artefice di due storiche svolte Usa in Medio Oriente: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e il conseguente spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv, e il varo degli Accordi di Abramo, a sancire la normalizzazione dei rapporti tra una serie di Paesi arabi e lo Stato ebraico. Sempre rimasto vicino a Trump, è dato ora in pole position come prossimo segretario alla Difesa. Bibi Netanyahu gongola all’idea. Ma sull’Ucraina potrebbe scontrarsi con altri consiglieri di Trump o lo stesso presidente: è per difendere a spada tratta Kiev dalla Russia di Putin.
Richard Grenell
58 anni, vicinissimo a Trump negli ultimi mesi, è stato ambasciatore Usa in Germania nel corso del suo primo mandato (2018-2020), poi direttore ad interim dell’intelligence. Dopo aver consigliato il tycoon sulla politica estera lungo tutta la cavalcata elettorale – era al suo fianco a fine settembre quando si sedette al tavolo con Volodymyr Zelensky – ora Grenell punta a un ruolo di spicco nel Trump-bis. Il suo sogno è quello di andare a guidare la diplomazia Usa, ereditando da Antony Blinken il ruolo di segretario di Stato. Ma proprio per la sua provata fedeltà al capo potrebbe andare a ricoprire anche un ruolo sempre legato ai dossier internazionali ma diverso e per certi versi più “strategico” a Washington, anche per fare piazza pulita di quello che Trump considera il deep state a lui avverso: consigliere per la Sicurezza nazionale, o ancora direttore della Cia. Comunque vada, pare in lizza per un posto chiave nella prossima squadra di governo.
John Paulson
I rapporti internazionali contano, ma se Trump vuole mantenere alto il consenso dopo aver ringhiato e attaccato a testa bassa su questo terreno per mesi, ha bisogno di un vero e proprio «mago» – meglio ancora, più d’uno – alla guida dell’economia Usa. Per il posto di segretario al Tesoro circolano al momento diversi nomi, ma il più accreditato pare al momento quello di John Paulson. Manager di fondi d’investimento, ha fondato nel 1994 la sua società (Paulson & Co.) e ha fatto i miliardi con le sue scommesse soprattuto dal 2007. Convinto sostenitore di Trump, è stato uno dei principali finanziatori delle sue campagne elettorali, dal 2016 ad oggi. Secondo Reuters avrebbe confermato ai suoi soci di essere interessato al grande salto dal privato al pubblico, nel ruolo chiave di segretario del Tesoro. È considerato d’altra parte allineato ai dettami di politica economica di Trump: tagli di tasse, deregulation, dazi per spaventare – se non ostacolare – i grandi competitor internazionali.
Doug Burgum
A proposito di fedeli alleati, ad essere premiato con un posto di rilievo dovrebbe essere pure Doug Burgum. Il governatore del North Dakota ha girato come un matto in comizi per e con Trump. Nel suo Stato i Repubblicani hanno poi trionfato più che doppiando i Democratici: 68 a 31% (solo in Wyoming ik risultato per Harris è stato più umiliante). L’imprenditore e falco Repubblicano – è duramente contrario all’aborto e all’immigrazione e vicino all’industria oil&gas – è stato tra i nomi considerati da Trump per la candidatura a vicepresidente. Ora potrebbe entrare nella sua squadra di governo, come segretario all’Interno (da lì passeranno gli ordini esecutivi di rimpatrio e sigillamento dei confini che il tycoon ha in mente) o all’Energia. «Non ho mai aspirato ad andare a Washington, ma se ci sarà l’opportunità di avere un grosso impatto sul Paese, ne parlerò direttamente col presidente Trump», ha detto ieri al risveglio dopo una notte elettorale – per loro due e il resto del circuito MAGA – da sogno.
Robert F. Kennedy Jr.
Un Kennedy “ministro” in un’Amministrazione Repubblicana, di più, in quella più ferocemente anti-Democratica di sempre? Non è solo una possibilità, è una quasi certezza. Quello di Robert Kennedy Jr. è uno dei pochi nomi fatti esplicitamente da Trump negli ultimi giorni prima delle elezioni come possibile componente della sua futura squadra di governo. 70 anni, figlio di quel Robert Kennedy icona dei progressisti assassinato nel 1968 mentre era in corsa per la Casa Bianca, nella vita ha fatto l’avvocato, specializzandosi in cause ambientaliste. Alla sua passione verde ha affiancato però in anni recenti altre convinzioni e battaglie assai discutibili: è salito agli onori delle cronache, negli Usa ed oltre, in particolare per le sue tesi controcorrente sulla pandemia da Covid-19 e i vaccini. Ha sostenuto in particolare il legame tra questi e l’autismo, e dato credito pubblicamente ad altre tesi infondate e teorie del complotto. È pure un duro oppositore del sostengo Usa e occidentale all’Ucraina. Allontanatosi dal Partito democratico, s’è candidato in prima persona da indipendente alle presidenziali di quest’anno. Infine, ad agosto, ha completato l’inversione a U ritirandosi dalla corsa e dando il suo appoggio a Donald Trump. Che ora progetta di ricambiare il favore affidandogli – come annunciato lo scorso weekend – un «ruolo chiave» nella gestione della salute pubblica. Potrebbe diventare quindi segretario alla Salute, o lavorare su temi analoghi in una posizione ad hoc all’interno della Casa Bianca. In predicato per tale ruolo, ieri ha risposto alle domande di Nbc negando di essere contro i vaccini e promettendo che non ne rimuoverà alcuno dal mercato.