Cosa succede dopo il nuovo stop dei giudici ai migranti in Albania: «Tutto fermo fino a luglio», «No, si continua»
Il governo se lo aspettava. Anzi, non aspettava altro. Il nuovo stop dei giudici ai migranti in Albania non ha preso alla sprovvista Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi. E adesso tra Palazzo Chigi e il Viminale si studiano le prossime mosse. Anche se il viaggio della Libra la scorsa settimana è diventato un altro flop, come da previsioni. E anche se le sentenze dei giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma rimandano alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione dei paesi sicuri che il governo pensava di aver risolto con un decreto. Adesso, scrive il Giornale, gli hotspot di Schengjin e Gjader sono «congelati» fino a luglio. Anche se la prima sentenza (quella per Bologna) è attesa per gennaio. E prima ancora, a dicembre, arriverà quella della Cassazione.
«Meglio la Cgue che i giudici italiani»
Secondo Meloni, è il racconto di un retroscena di Repubblica, «meglio dipendere dalla Corte di Giustizia europea che dai giudici politicizzati italiani». Perché, è il ragionamento della premier, sull’esito della sfida influirà il pragmatismo dell’Unione Europea. Con uno stop definitivo, sostiene Giorgia, si paralizzerebbero le politiche migratorie dei 27. Che però invece continuano a utilizzare la loro lista senza pretendere una procedura accelerata insieme a una standard. Quindi è difficile che una sentenza sull’Italia paralizzi il resto dell’Ue. Il Viminale si costituirà di fronte alla Corte. Intanto la Libra prepara un nuovo viaggio. Non subito, ma tra una decina di giorni. La nave tornerà a caricare naufraghi scegliendo quelli per il rimpatrio, li porterà in Albania, attenderà il diniego dei giudici e li riporterà in Italia. Uno schema che potrebbe in ogni caso regalare consenso all’esecutivo.
La sentenza della Cassazione
Il 4 dicembre intanto la Cassazione deve decidere su un altro caso. Che soltanto latamente c’entra con la questione Albania. «Ma i giudici potrebbero rinviare alla Cgue a loro volta», avverte Andrea Natale, giudice della sezione protezione internazionale di Torino. Natale spiega oggi in un’intervista a Repubblica che « governo ha la responsabilità di definire le politiche migratorie nel rispetto delle fonti di diritto sovraordinate, i magistrati di verificare che succeda». E che «nelle democrazie costituzionali la frizione fra poteri diversi è fisiologica, la patologia sta nei toni. I provvedimenti sono stati motivati dal punto di vista giuridico. Le sentenze si possono commentare e criticare, ma nel merito, non accusando noi magistrati di “essere tutti comunisti”. Non si rende un buon servizio al cittadino che ha il diritto di capire».
«Si continua fino a nuovo ordine»
«Continuiamo fino a che non ci sarà la sentenza», è l’ordine arrivato dai piani alti del governo. E diramato dal sottosegretario Giovambattista Fazzolari sulle chat dei parlamentari. Ma, è il ragionamento de La Stampa, se il decreto paesi sicuri andrà in conversione senza un pronunciamento della Corte Ue, potrebbe essere Sergio Mattarella a fermare tutto. Il presidente della Repubblica potrebbe respingere l’intero decreto chiedendo lo stralcio di quella parte. Oppure potrebbe fare come con i balneari: inviare una lettera dove mette per iscritto i rilievi e chiedere di correggere una legge in palese contrasto con il diritto europeo. Una via che però finirebbe per portare il Quirinale all’interno di una battaglia politica che si preannuncia complicata.
Le tre ragioni
Secondo il governo ci sono tre ragioni per ottenere ragione davanti al Palazzaccio. La prima è che il nuovo patto europeo sulle migrazioni, non ancora entrato in vigore, prevede le procedure accelerate e la costituzione di centri fuori dai confini nazionali. La seconda è che la sentenza della Grande Chambre sarebbe in qualche modo datata rispetto al patto politico. In ultimo, sempre secondo l’esecutivo, con il decreto legge varato appena pochi giorni fa, «abbiamo già fatto una scrematura ulteriore dei cosiddetti Paesi sicuri, quelli per i quali è consentita in Albania la procedura accelerata di massimo 28 giorni per il rimpatrio, e siamo scesi da 22 a 19 Stati». E occorre aggiungere, spiega il Corriere della Sera, che la Corte in ogni caso ha indicato dei parametri. Non ha mai fatto un elenco.
Le parti insicure dei paesi sicuri
E dunque resta la ferma convinzione, a Palazzo Chigi come al Viminale, che la legge nazionale non sia in contrasto con le norme europee, anzi, che ne abbia piuttosto definito e chiarito i contorni. Secondo il governo per i giudici europei il concetto di sicurezza di un Paese extraeuropeo può anche essere «segmentato», e dunque un Paese può essere al contempo sicuro ma anche no, almeno in una porzione dei suoi territori. «Ma se continuiamo a interpretare in questo modo i giudici euro pei, allora nemmeno l’Italia e la Francia sono Paesi sicuri, visto che nelle periferie francesi o in quelle napoletane albergano situazioni che con la sicurezza, sociale, economica, civile, hanno nulla a che fare», sostiene con il quotidiano una fonte di governo. Alla quale evidentemente sfugge la differenza tra i problemi di ordine pubblico e la persecuzione di etnie, classi sociali o singole persone per i gusti sessuali.
La disapplicazione
Vero è che non esistono negli altri paesi europei casi di disapplicazione degli elenchi di paesi sicuri. Ma è anche vero che l’elenco del governo italiano è tra i più lunghi. Anche perché è lo Stato Ue con il maggior numero di ingressi irregolari. Intanto Salvatore Casciaro, consigliere della Corte di Cassazione e membro di spicco di Magistratura Indipendente (la corrente conservatrice, opposta a Magistratura Democratica), a La Stampa spiega che «le nuove direttive entreranno in vigore solo con l’estate 2026. Non hanno immediata operatività. Nel frattempo valgono le vecchie. E la sentenza dell’ottobre scorso della Corte di giustizia ha interpretato la disciplina attuale vigente, dando una indicazione al giudice comunitario di valutare la sicurezza del paese, ai fini di un eventuale rimpatrio, nella sua generalità e interezza».
I costi
Prima o poi però il governo dovrà fare i conti con il punto debole della sua strategia. Ovvero i costi del centro. Stimati in 650 milioni di euro per i prossimi cinque anni, anche se soltanto per poliziotti e carabinieri si parla già di un milione di euro l’anno. 130 euro lordi in più al giorno per 4-6 mesi di servizio. Con la possibilità di rientrare in Italia a spese dell’amministrazione. 30 mila euro al giorno, 900 mila in un mese. Mentre per i costituzionalisti il decreto paesi sicuri è scritto sull’acqua e fa parte della politica-spettacolo.