La vittoria di Trump rilancia le teorie del complotto sui «brogli del 2020»
Ancora prima che Donald Trump fosse dichiarato il presidente eletto degli Stati Uniti e successore di Joe Biden alla Casa Bianca, sui social media ha ripreso a circolare la teoria che le elezioni americane di quattro anni prima siano state rubate dai democratici. A riprova di questa tesi, viene condiviso un grafico in cui viene sottolineata la perdita di 15 milioni di voti da parte del partito di Kamala Harris rispetto al 2020. Secondo molti utenti quei voti «non sarebbero mai esistiti», e sarebbero quindi stati aggiunti “d’ufficio” per portare Joe Biden alla vittoria.
Per chi ha fretta
- Il dati usati per costruire il grafico sono parziali: lo spoglio elettorale non era ancora terminato.
- I democratici hanno effettivamente ricevuto meno voti rispetto a quattro anni prima, sintomo di uno shift dell’elettorato verso Trump e della diminuzione dell’affluenza rispetto al 2020.
- Il fatto che senatori repubblicani non siano stati eletti in Stati vinti da Trump non comporta la presenza di brogli: le schede elettorali erano distinte e permettevano il voto disgiunto.
Analisi
L’equazione è semplice: «Il risultato del 2024 certifica che il 2020 sia stata un’elezione rubata». A diffondere questa argomentazione, con tanto di grafico che fa il giro del web, sono fonti americane di area conservatrice che parlano di «Big Lie», la grande bugia in riferimento a quattro anni fa. Il grafico arriva fino in Italia e viene ripreso da alcuni utenti la mattina dopo l’Election Day del 5 novembre. I dati forniti sono i seguenti:
- Elezione 2020: 81 milioni di voti per Joe Biden, 74 milioni per Donald Trump
- Elezione 2024: 66 milioni per Kamala Harris, 71 milioni per Donald Trump
In realtà il grafico risulta fallace per due motivi. L’asse verticale del grafico, infatti, segna come il “livello 0” i 50 milioni di voti, esagerando visivamente la differenza tra i voti del 2020 e i voti del 2024. Non solo: i dati presi in considerazione non sono quelli definitivi, che ancora adesso non sono disponibili.
I dati parziali e il conteggio ancora in corso
Secondo il Center for an Informed Public della Università di Washington, la mattina di venerdì 8 novembre – 3 giorni dopo le elezioni – doveva essere ancora scrutinato circa il 10% delle schede elettorali. Se si tiene conto che il grafico ha iniziato a circolare poche ore dopo l’inizio dello spoglio, nella notte del 5 novembre, è facile capire come i dati utilizzati per la rappresentazione infografica siano parziali. Se nel grafico presente nel post di Facebook a Kamala Harris sono attribuiti 60 milioni di voti, al momento la candidata democratica ne conta oltre 71 milioni. Il numero cambia anche per Donald Trump, che passa da poco più di 70 milioni a quasi 75 milioni di preferenze.
In Maryland, Alaska, Oregon, Utah e California il conteggio dei voti è al di sotto di quota 90%. In soli 34 Stati lo spoglio si può ritenere concluso, essendo stato registrato il 99% delle schede. A questo conteggio a rilento contribuiscono i numerosi voti per corrispondenza, che in alcuni Stati possono arrivare settimane dopo l’Election Day a patto di essere stati contrassegnati con il bollo postale entro il 5 novembre.
L’affluenza in calo
Secondo le ultime stime dell’Election Lab dell’Università della Florida, durante le ultime elezioni l’affluenza è stata di oltre 154 milioni, il secondo dato migliore nella storia americana dopo quelle del 2020. Quattro anni fa, infatti, era stata di poco meno di 160 milioni: la differenza tra le due tornate elettorali è di 4,9 milioni di voti: una perdita del -3,1% rispetto all’anno della vittoria di Joe Biden. La fluttuazione del numero di aventi diritto che si presentano ai seggi è parte integrante del processo democratico. Anche tra 1988 e 1992 negli Stati Uniti si era registrato un picco di votanti, che immediatamente dopo si era regolarizzato in una progressiva crescita fino al 2020. «Se il risultato finale è diverso rispetto a quello del 2020», ha detto il professore di scienze politiche Paul Gronke ad Al Jazeera, «significa che milioni di elettori hanno deciso di non votare».
Il «red shift» verso Trump
Parte del processo democratico è anche il fatto che, a livello percentuale, Harris ha perso punti rispetto a Biden e Trump ne ha guadagnati sulla sua candidatura di quattro anni fa. Secondo la piattaforma NewsGuard, la spiegazione è semplice: gli elettori, essendo liberi di esprimere una loro preferenza, hanno cambiato idea dal 2020 a oggi. Una posizione sposata anche da Kim Wyman, esperto elettorale del Bipartisan Policy Center: «Milioni di cittadini che nel 2020 hanno votato per Joe Biden potrebbero aver deciso di esprimere la loro preferenza per Trump o per il candidato di un terzo partito». E questa tendenza è chiara dagli exit poll, che evidenziano uno shift generale dell’elettorato verso il candidato repubblicano.
Meno elettori negli Stati blu
Altro fatto degno di nota deriva da un’analisi di una cartina che analizza le differenze nell’affluenza delle ultime due tornate Stato per Stato. Confrontandola con i risultati elettorali è evidente che quelli storicamente considerati “blue states”, le roccaforti democratiche come California o New York, hanno avuto un diffuso e netto calo di presenza ai seggi pur consegnando comunque la vittoria a Kamala Harris in quei territori. Forse proprio questa tendenza di “no-show” democratico negli Stati considerati già conquistati sta alla base della differenza di voti ricevuti tra 2020 e 2024. Anche perché guardando qualche roccaforte blu, il trend è quasi sempre lo stesso: Trump a distanza di quattro anni ha ricevuto più o meno lo stesso numero di preferenze, Harris invece è in netto calo rispetto all’attuale presidente americano.
Prendiamo due esempi. In Illinois il tycoon repubblicano ha guadagnato 2,48 milioni di voti nel 2020 e 2,44 milioni nel 2024. Nello stesso frangente i democratici sono passati dai 3,47 milioni di Biden ai 2,89 di Harris. Per una perdita netta di 580mila preferenze. Prendendo l’affluenza statale in entrambi i casi, la differenza tra 2020 e 2024 è -546mila voti. Al netto dei 77mila elettori che quest’anno hanno scelto Robert Kennedy Jr. in Illinois, si può dire che chi il 5 novembre non è andato a votare quattro anni fa aveva votato Joe Biden. Stessa identica cosa in New Jersey: Trump ha accumulato 23mila voti in più rispetto al 2020, i democratici ne hanno persi 482mila. L’affluenza di quest’anno è stata di circa 390mila, una cifra che si raggiunge contando i guadagni di Trump e i voti ricevuti dai candidati minori (Jill Stein, Robert Kennedy Jr. e Chase Oliver per un totale di 70mila preferenze).
Il voto disgiunto e il caso Rashida Tlaib
Secondo molti attivisti americani della destra iper-conservatrice, le presunte frodi del 2020 sarebbero dimostrate da un altro fatto: quest’anno in molti Stati in cui Trump ha vinto, i candidati repubblicani al Senato hanno ricevuto molte meno preferenze. Gli esempi sono numerosi, da Sam Brown in Nevada a Kari Lake in Arizona.
In realtà, trattandosi di schede distinte con possibilità di voto disgiunto, è naturale che ci siano differenze tra l’elezione presidenziale e l’elezione per il Congresso. Tanto che, in realtà, uno dei casi più clamorosi di voto disgiunto nelle elezioni dello scorso 5 novembre è andato a danno proprio della candidata democratica Kamala Harris. Nella Wayne County in Michigan, Stato in bilico vinto da Trump per 78mila voti, l’americana-palestinese Rashida Tlaib è stata eletta alla Camera dei rappresentanti con il 69,7% delle preferenze. In quella stessa contea Kamala Harris ha invece ricevuto solo il 62,3% delle preferenze. Questa differenza si spiega con il voto della città di Dearborn, città dal 79% abitata da arabi americani. Qui, dove Biden nel 2020 si era affermato con il 77% dei voti, Trump nel 2024 ha vinto con il 42% sfruttando l’impopolarità della gestione del conflitto in Medio Oriente da parte dell’amministrazione dem. Se nella contea di Wayne Kamala Harris avesse ribadito la percentuale ottenuta da Tlaib, avrebbe ricevuto 596mila preferenze, cioè 60mila voti in più.
Conclusioni
Il grafico che circolava sui social rappresenta dati parziali, presi a conteggio non ancora terminato. In più, la perdita di voti da parte dei democratici non è legato in alcun modo a brogli elettorali ma al calo dell’affluenza di oltre il 3% rispetto al 2020. Un lieve calo che per Kamala Harris si è tradotto in un duro colpo in molti Stati.
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